Massima
Da tempo il mito della relatività del contratto ha ceduto il passo al coinvolgimento del terzo nella effettualità del contratto medesimo, tanto dal punto di vista fisiologico – con possibilità per il terzo di divenire creditore (contratto a favore di terzo) o debitore (promessa del fatto o dell’obbligo del terzo) di una delle parti contrattuali – quanto dal punto di vista patologico, con legittimazione del terzo ad agire per il risarcimento del danno, a titolo contrattuale, nei confronti delle parti di un negozio che lo ha visto apparentemente estraneo, ma in realtà presente sin dall’origine (contratto con finalità protettiva del terzo) ovvero coinvolto nella relativa dinamica esecutiva (contratto con effetti protettivi verso il terzo).
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
La codificazione liberale – con riferimento ai terzi rispetto al contratto – fissa in primo luogo una presunzione, onde ciascuno ha contrattato per sé e per i suoi eredi ed aventi causa, quando non siasi espressamente pattuito il contrario, o ciò non risulti dalla natura del contratto (art.1127): in sostanza, si contrae di regola nel proprio interesse (o in quello dei propri successori a titolo particolare o universale), e non nell’interesse di terzi. In secondo luogo, il codice afferma (art.1128) che si può stipulare in proprio nome (e dunque ci si può obbligare in proprio nome) solo per sé stesso (ovvero nel proprio interesse); tuttavia, prosegue la norma, può ciascuno stipulare a vantaggio di un terzo, quando ciò formi condizione di una stipulazione che fa per sé stesso, o di una donazione che fa ad altri; in questi casi, chi ha fatto questa stipulazione, non può più revocarla, se il terzo ha dichiarato di volerne profittare. Ancora, il codice prevede la promessa del fatto del terzo (art.1129): può taluno obbligarsi verso un altro, promettendo il fatto di una terza persona; tale promessa dà però soltanto diritto ad indennità verso colui che si è obbligato, o che ha promesso la ratifica del terzo, se questi ricusa di adempiere l’obbligazione. Infine, con norma di chiusura (art.1130), per il codice i contratti non hanno effetto che fra le parti contraenti: essi non pregiudicano né giovano ai terzi, fuorché nei casi stabiliti dalla legge.
1942
Il codice civile all’art.1372 dichiara che il contratto ha forza di legge “tra le parti” e che non produce effetti nei confronti dei terzi se non nei casi previsti dalla legge; ma prevede poi specifiche ipotesi di rilevanza del terzo, come nel caso della promessa del fatto del terzo (art.1381 c.c.) e, soprattutto, del contratto a favore di terzo (art.1411 c.c.). Importante anche l’art.1304, che – in tema di rapporti tra obbligazioni solidali e transazione – si applica al solo caso in cui la transazione riguardi l’intero debito solidalmente condiviso dai condebitori (e non una quota di esso); in questa fattispecie, la transazione – proprio perché investe l’intero debito solidale, e non già solo una quota del medesimo – diviene in qualche modo comune a tutti i condebitori solidali, assistendosi dunque ad una deroga al principio per cui il contratto produce normalmente effetti per le sole parti che lo concludono ex art.1372 c.c., poiché in questo caso la transazione tra il creditore solidale e uno dei condebitori estende i propri effetti agli altri condebitori solidali, che possono dichiarare di volerne profittare. In tale fattispecie, gli altri condebitori solidali possono allora collocarsi in una situazione analoga a quella che avrebbero avuto se avessero partecipato anch’essi alla transazione, dal momento che la transazione del condebitore solidale incide sull’intero debito, e non sulla sola quota di debito del condebitore che transige, con la conseguenza onde gli altri condebitori non dovranno pagare l’intero ridotto di quanto pagato pro quota dal condebitore solidale transigente (ad esempio, dati 5 condebitori solidali, 100-20 = 80), ma dovranno pagare l’importo totale decurtato dalla concessione transattiva del creditore (nell’esempio fatto, 100-30= 70, dove 30 è l’importo della transazione ed il rimanente 70 andrà pagato in solido dai 4 condebitori solidali rimasti), dovendosi peraltro considerare che – attribuendo l’art.1304 c.c.ai condebitori solidali non transigenti un diritto potestativo che consente loro di profittare della transazione stipulata dal creditore con uno di loro – tali ultimi due soggetti (creditore e debitore transigente) non potrebbero neppure escludere tale effetto attraverso una clausola derogatoria rispetto a tale regime.
1962
Il 28 marzo esce una sentenza della Corte d’Appello di Napoli che assume la promessa del fatto del terzo quale obbligazione (direttamente) indennitaria, avente dunque ad oggetto ab origine l’indennizzo ex art.1381 c.c., la cui efficacia è tuttavia sospensivamente condizionata al rifiuto del terzo di compiere il fatto o di assumere l’obbligo divisato. La medesima Corte afferma come, con riguardo all’indennizzo ex art.1381 c.c. (promessa del fatto o dell’obbligo del terzo rimasta senza esito), debba assumersi indennizzabile il solo danno emergente (e non anche il lucro cessante) subito dall’oblato in conseguenza della vacuità della promessa stessa.
1966
Il 9 luglio esce la sentenza della Cassazione n. 1807 che afferma come in tema di contratto a favore di terzo l’interesse dello stipulante a beneficiare il terzo può atteggiarsi anche ad interesse di natura morale (e dunque personale).
1974
Il 13 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3601 (in tema di concordato fallimentare e di assunzione di garanzia) che si occupa anche della promessa del fatto o dell’obbligazione del terzo ex art.1381 c.c. rappresentando come essa consista nell’impegno assunto dal promittente di adoperarsi affinché il terzo faccia o si obblighi a fare ciò che il promittente medesimo ha promesso: si tratta per la Corte di promessa che non produce effetti reali e che dunque non esige la forma scritta ancorché abbia ad oggetto il trasferimento di beni immobili da parte del terzo (che è invece atto formale ad substantiam).
1975
Il 29 aprile esce la sentenza della Cassazione n.1666 alla stregua della quale è da intendersi come terzo chi non è parte né in senso formale, né sostanziale del contratto stipulato. In particolare, per la Corte il successore a titolo particolare (inter vivos o mortis causa) è considerato terzo.
1979
*Il 3 luglio esce la sentenza della Cassazione n. 3749 che afferma come in tema di contratto a favore di terzo l’interesse dello stipulante a beneficiare il terzo può atteggiarsi anche ad interesse di natura morale.
1980
Il 13 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1379 secondo la quale dalla promessa del fatto del terzo sorge a carico del promittente un’unica obbligazione di facere, consistente nell’adoperarsi a convincere il terzo a tenere il comportamento promesso.
1984
Il 10 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.1024, secondo la quale all’indennizzo ex art.1381 c.c. (promessa del fatto o dell’obbligo del terzo rimasta senza esito) va applicato l’art.1223 c.c., dovendo dunque assumersi indennizzabile sia il danno emergente che il lucro cessante subito dall’oblato in conseguenza della vacuità della promessa stessa.
1987
Il 18 novembre esce la sentenza della Cassazione n.8483 che assume come l’indennità dovuta nel caso in cui il terzo non compia il fatto promesso o non si obblighi nel senso promesso costituisce un debito di valore, con termine di prescrizione decennale che decorre dalla promessa laddove la prestazione sia subito esigibile, ovvero dalla fissazione di un termine da parte del giudice laddove detto termine debba assumersi necessario, ma non sia stato preventivamente fatto oggetto di accordo tra le parti.
* * *
Il 21 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9500 alla cui stregua, allorché un coniuge, in sede di separazione consensuale, assuma l’obbligo nei confronti dell’altro coniuge di provvedere al mantenimento del figlio minore, impegnandosi a tal fine a trasferirgli un bene immobile, questi pone in essere con il ridetto coniuge un contratto preliminare a favore del figlio, con la conseguenza che l’atto scritto con cui il coniuge – obbligatosi all’esecuzione di tale contratto preliminare – dichiara di trasferire al figlio quel bene, essendo privo dello spirito di liberalità, non configura una donazione, ma piuttosto una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico che, ai sensi dell’art.1333 c.c., in assenza di rifiuto del destinatario in un termine adeguato alla natura dell’affare o stabilito dagli usi, determina l’irrevocabilità della pertinente proposta e quindi la conclusione del contratto medesimo, nonostante la volontà di accettazione della controparte non risulti da atto scritto, dovendosi assumere assolto l’onere della forma attraverso le modalità con le quali è stata formulata la proposta.
La Corte preliminarmente – al fine di fissare l’ambito dei propri poteri – rammenta come i motivi d’impugnazione vadano interpretati dal giudice che deve porli a fondamento della pronuncia richiestagli; ciò nel senso che il giudice medesimo, al di la’ di imprecisioni formali e di impostazioni giuridiche non corrette, e’ tenuto a cogliere le ragioni essenziali effettivamente espresse con la doglianza formulata dal soccombente contro la sentenza soggetta a riesame e, sulla base dei fatti accertati e delle eccezioni in senso proprio tempestivamente sollevate, e’ tenuto ad applicare ad essi, in relazione ai motivi esposti dall’interessato ed intesi nel senso accennato, le norme adeguate e gli istituti giuridici opportuni.
Tanto premesso, esattamente per il Collegio la corte napoletana ha nel caso di specie ritenuto (con la sentenza gravata) che il negozio intercorso nel 1959 tra i coniugi Z. T., mediante cui il primo si e’ obbligato a “donare” una appezzamento di terreno alla figlia minorenne Antonietta per provvedere così, mediante elargizione una tantum, al relativo mantenimento, configurasse un contratto preliminare a favore di terzo (figura giuridica ammissibile secondo la giurisprudenza della Corte; cfr. sent. 5 aprile 1974, n. 967).
Altrettanto ineccepibilmente la stessa corte territoriale ha rilevato che l’atto con cui Z., dando attuazione e tale obbligo, ha manifestato l’irrevocabile volontà di trasferire alla figlia il terreno ridetto, non costituiva affatto una donazione, secondo l’erronea indicazione del rogito, esulando da esso ogni intento di liberalità, ma avendo piuttosto essa causa nell’esigenza di soddisfare un preciso obbligo legale: quello ineludibile di provvedere al mantenimento dei figli, fino a che questi non siano posti in condizioni di autonomia economica.
Ne deriva – prosegue la Corte – che l’atto notar G. del 26 giugno 1960 sancisce la volonta’ dello Z. di trasferire, con effetto immediato, irrevocabilmente e gratuitamente ad Antonietta Z. il piccolo fondo de quo.
Col secondo motivo di ricorso – chiosa ancora il Collegio – la destinataria, dolendosi della circostanza che sia stato ritenuto revocabile tale atto e legittima la revoca concretamente espressa dal padre nel 1975, pure tra molte inesattezze e non condivisibili costruzioni giuridiche, ha colto il punto nodale della controversia, conferendo alla Corte il potere dovere di intervenire al fine di eliminare alcuni errori riscontrabili nelle ulteriori argomentazioni del giudice del merito e, in conseguenza, nell’impugnata decisione.
Ha ritenuto, la corte pertenopea, che il rogito G. piu’ volte menzionato, del giugno 1960, costituisse una proposta di trasferimento immobiliare, in adempimento di un obbligo giuridico, revocabile perché privo della indicazione del termine per l’accettazione e, in effetti, legittimamente revocata essendo nel frattempo mancata l’accettazione dell’interessata, da esprimere nel rispetto della forma richiesta per i trasferimenti immobiliari. Ha aggiunto, il giudice d’appello, che tra i modi di acquisto della proprietà (art. 922 c.c.), non sono annoverati gli atti unilaterali.
Senonché – osserva la Corte – mediante tale impostazione e’ stato omesso di considerare che, ai sensi dell’art. 1333 c.c., la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente, e’ irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale e’ destinata. E’ vero che, a tenore della medesima norma, il destinatario puo’ rifiutare la proposta entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi; ma, in mancanza di tale rifiuto, il contratto e’ concluso.
Nelle specie e’ assolutamente pacifico che la cosiddetta donazione e’ pervenuta a conoscenza della destinataria, dato che e’ avvenuto il trasferimento del possesso del bene.
Inoltre e’ altrettanto certo che il rifiuto del trasferimento immobiliare non v’e’ stato; anzi l’acquisizione e il prolungato e pacifico esercizio del possesso suddetto implica, addirittura, una tacita e inequivoca manifestazione della volontà contraria.
Dato ciò il contratto – di tipo unilaterale perché comportante prestazioni solo a carico di una delle parti – si e’ concluso ed ha determinato, con il passaggio della proprietà immobiliare dal padre alla figlia, una nuova situazione giuridica non modificabile unilateralmente. A ragione, quindi, la ricorrente censura l’impugnata sentenza che ha ritenuto revocabile una manifestazione di volontà, ed i connessi effetti giuridici, che tale non era.
Ne’ e’ possibile obiettare per il Collegio, in ipotesi, che l’accettazione del trasferimento immobiliare non sarebbe avvenuta con la forma richiesta: va considerato che la disciplina delineata dall’art. 1333 c.c., all’infuori dei casi espressamente previsti dalla legge, come in tema di donazione, non soffre deroga allorché il contratto unilaterale sia soggetto all’esigenza della forma scritta ad substantiam; tale esigenza, invero, deve ritenersi soddisfatta sol che sia consacrato in iscritto l’obbligo del promittente (che nella specie si riscontra), mentre a conferire certezza al negozio concluso e’ sufficiente la produzione in giudizio, da parte del promissario, dello scritto contenente l’obbligazione dell’altro contraente, unico obbligato.
L’impostazione e la soluzione della controversia nel senso sopra delineato rendono palese l’inconsistenza della tesi, esposta nel primo motivo, del litisconsorzio necessario nei confronti di Vincenza T.: il contratto preliminare a favore di terzo da lei concluso con il marito si e’ realizzato nel contratto unilaterale atipico e gratuito con cui quest’ultimo ha trasferito alla figlia la proprietà di un fondo, secondo gli impegni assunti; e la presente controversia – precisa la Corte – riguarda esclusivamente gli effetti di quest’ultimo contratto e le parti che lo hanno concluso.
Il ricorso deve quindi per la Corte essere accolto per quanto di ragione e l’impugnata sentenza cassata; il giudice di rinvio, nel procedere al nuovo giudizio di secondo grado, si atterra’ ai seguenti principi di diritto: allorché taluno, in sede di separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle nel prossimo futuro un determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto preliminare a favore di terzo. Quando poi, in esecuzione di detto obbligo, dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità, esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico che, ai sensi dell’art. 1333 c.c., in mancanza di rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l’irrevocabilità della proposta; ciò a nulla rilevando che la volontà di accettazione non risulti da atto scritto, dovendosi ritenere assolto l’obbligo della forma attraverso le modalità con cui e’ stata formulata la pertinente proposta.
1989
Il 6 febbraio esce la sentenza del Tribunale di Monza in tema di promessa del fatto del terzo che – pur distinguendo l’indennizzo dal risarcimento del danno – ribadisce come all’indennizzo ex art.1381 c.c. (promessa del fatto o dell’obbligo del terzo rimasta senza esito) vada applicato l’art.1223 c.c., dovendo dunque assumersi indennizzabile sia il danno emergente che il lucro cessante subito dall’oblato in conseguenza della vacuità della promessa stessa.
1991
Il 21 giugno esce la sentenza della Cassazione n.6984 che, con riguardo all’indennizzo previsto dall’art.1381 c.c., assume come esso possa assumersi liquidabile soltanto in via equitativa.
1992
L’11 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 12118 che ribadisce come dalla promessa del fatto del terzo sorga a carico del promittente un unica obbligazione di facere, consistente nell’adoperarsi a convincere il terzo a tenere il comportamento promesso. L’indennità dovuta dal promittente all’oblato nel caso in cui il terzo non compia il fatto promesso o non assuma l’obbligo divisato si configura, per la Corte, come risarcimento del danno soggetto a limitazione legale.
Il 12 novembre esce una sentenza del Tribunale di Milano che qualifica la lettera di patronage obbligatoria come promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.
1993
Il 12 ottobre esce una sentenza del Tribunale di Monza che qualifica la lettera di patronage obbligatoria come promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.; una presa di posizione che viene criticata dalla dottrina, la quale osserva come nella lettera di patronage il patronnant non promette il fatto del terzo, ma si obbliga in proprio.
1995
Il 27 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 10235, assai importante ancora sul tema delle lettere di patronage (o di gradimento), onde la funzione tipica delle dichiarazioni in esse contenute non consiste propriamente nel “garantire” l’adempimento altrui, nel senso in cui tale termine viene assunto nella disciplina della fideiussione e delle altre garanzie personali specificamente previste dal legislatore; mentre infatti in queste ultime il garante assume l’obbligo di eseguire la medesima prestazione dovuta dal debitore principale, la funzione propria della lettera di patronage va piuttosto ravvisata nel tentativo di rafforzare nel creditore il convincimento che il debitore patrocinato farà fronte ai propri impegni, onde non si è al cospetto, per la Corte, di una forma di garanzia tipica, quanto piuttosto di una garanzia impropria. Tale peculiare natura – precisa tuttavia la Corte – non vale ad escluderne qualsiasi valore giuridico, palesandosi esse sovente collegate ad operazioni di notevole rilievo economico, non essendo pertanto ragionevole supporre che con il relativo rilascio le parti abbiano inteso dar vita ad impegni considerevoli solo da un punto di vista sociale. Per la Corte, quando la lettera di patronage ha contenuto meramente informativo, si è al cospetto di una lettera “debole”, laddove una eventuale responsabilità del patronnant può essere affermata solo alla stregua dei principi sanciti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. in tema di responsabilità precontrattuale, il patrocinante venendo ad inserirsi nello svolgimento di trattative avviate tra altri soggetti, proprio al fine di agevolarne la positiva conclusione e di rafforzare il convincimento del creditore, e così creando ragionevoli aspettative sul buon esito dell’operazione. Per la Corte, tale situazione è sufficiente a giustificare l’applicazione di quelle regole di diligenza, di correttezza e di buona fede dettate proprio al fine di evitare che gli interessi di quanti partecipano alle trattative possano essere pregiudicati da comportamenti altrui scorretti, e quindi in violazione dell’art. 1337 c.c., che impone alle parti l’osservanza della buona fede nelle trattative e nello svolgimento del contratto. Diversa è invece la rilevanza giuridica attribuibile alle lettere di patronage c.d. “forti”, in ordine alle quali può piuttosto assumersi per la Corte configurabile una ipotesi di autentica responsabilità negoziale a carico del patronnant: in questo diverso modello di lettere di gradimento c.d. “forti”, il patrocinante non si limita invero ad esternare la propria (rassicurante) posizione di influenza, assumendo piuttosto veri e propri impegni, quale ad esempio quello di salvaguardia della solvibilità della società controllata, o di futuro mantenimento della propria partecipazione nella medesima, dovendosene ritrarre la genesi di una vera e propria obbligazione di fonte negoziale avente ad oggetto un facere; il patronnant si obbliga a tenere una certa condotta, in modo che la controllata sia sempre in condizioni economiche tali da consentirgli di adempiere agli obblighi assunti con il soggetto (normalmente, una banca) che abbia concesso il finanziamento alla società garantita proprio sulla base di tale lettera di conforto. Dal punto di vista della natura giuridica, non si configura nondimeno – per la Corte – una promessa del fatto del terzo, quanto piuttosto un’obbligazione assunta in proprio dal patronnant, costituente impegno giuridico vincolante di natura contrattuale e con finalità di garanzia. Più in particolare, la lettera di patronage “forte” viene ricondotta nello schema negoziale delineato dall’art. 1333 c.c., una norma apparentemente riferibile ai soli contratti, e dunque non a negozi unilaterali, ma il cui schema può assumersi estendibile anche ad ogni promessa gratuita con obbligazioni a carico del solo proponente come accade nella lettera di patronage, in quanto nella particolare ipotesi contemplata dall’articolo in esame, il rapporto può costituirsi senza bisogno di accettazione e quindi anche per effetto di un atto unilaterale. Per la Corte, lo schema delineato dall’art. 1333 c.c. si adatta perfettamente alle lettere di patronage, ed in particolare a quelle che abbiano carattere impegnativo per il patronnant, non potendosi per tale via dubitare della relativa efficacia vincolante, posto che tali dichiarazioni si palesano pur sempre intese a rafforzare la protezione dei diritti del creditore e, quindi, a realizzare interessi certamente “meritevoli di tutela” secondo l’ordinamento giuridico ai sensi dell’art.1322 comma 2 c.c.
Il 20 dicembre esce la sentenza della Cassazione n.12973 che procede a sdoppiare la promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.: chi promette il fatto o l’obbligo del terzo, si obbliga ad adoperarsi con la dovuta diligenza affinché il terzo compia il fatto promesso ovvero si obblighi nel senso divisato. Si tratta dunque di una obbligazione di mezzi che, laddove rimasta inadempiuta, obbliga il promittente a risarcire il danno al promissario. Laddove invece, pur al cospetto del doveroso sforzo, il terzo non compia il fatto o non si obblighi nel senso divisato, scatta l’indennità prevista dall’art.1381 c.c., quale obbligo secondario. Il risultato resta dunque, secondo questa opzione ermeneutica, al di fuori dell’obbligo assunto dal promittente, che compendia una mera obbligazione di mezzi.
1996
*Il 27 settembre esce la sentenza della Cassazione n.8522 che, con riguardo all’indennizzo previsto dall’art.1381 c.c., assume come esso possa assumersi liquidabile soltanto in via equitativa.
1997
*Il 5 settembre esce la sentenza della Cassazione n.8614 che ribadisce lo sdoppiamento della promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.: chi promette il fatto o l’obbligo del terzo, si obbliga ad adoperarsi con la dovuta diligenza affinché il terzo compia il fatto promesso ovvero si obblighi nel senso divisato. Si tratta dunque di una obbligazione di mezzi che, laddove rimasta inadempiuta, obbliga il promittente a risarcire il danno al promissario. Laddove invece, pur al cospetto del doveroso sforzo, il terzo non compia il fatto o non si obblighi nel senso divisato, scatta l’indennità prevista dall’art.1381 c.c., quale obbligo secondario. Il risultato resta dunque, secondo questa opzione ermeneutica, al di fuori dell’obbligo assunto dal promittente, che è una mera obbligazione di mezzi.
1999
Il 01 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10864, che si occupa in particolare della causa della c.d. clausola negoziale di garanzia “a prima richiesta e senza eccezioni”: in forza della medesima, il creditore può esigere dal garante il pagamento immediato del credito che egli vanta verso il debitore, senza che quegli possa eccepirgli né l’eventuale già avvenuto adempimento da parte del debitore principale medesimo, né l’eventuale giustificazione del relativo inadempimento per fatto della controparte creditoria medesima. Per la Corte si è al cospetto di una valida espressione di autonomia negoziale, che configura una fideiussione atipica nella quale vi è una chiara deroga al principio della accessorietà, ma che in ogni caso non fa venire meno (dal punto di vista causale) la connessione tra il rapporto di garanzia ed il rapporto principale (quello di valuta tra creditore e debitore), dovendosi l’autonomia del contratto di garanzia assumersi non già assoluta, quanto piuttosto relativa. Quando poi il creditore escuta la garanzia dal garante autonomo in presenza dei presupposti che facoltizzano quest’ultimo a spiccare l’exceptio doli, in realtà per la Corte il garante ha l’onere di spiccare tale eccezione, riconducibile al principio di buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., in quanto titolare di un dovere di protezione nei confronti del debitore (terzo), nei cui riguardi – in caso di mancata eccezione – perde il diritto di rivalsa (o di regresso), residuandogli solo l’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti del creditore beneficiario (in una con l’eventuale azione di risarcimento del danno).
2001
Il 26 giugno esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.8744 onde, con riferimento al contratto a favore di terzo, tale terzo deve essere determinato o quanto meno determinabile al momento della stipula del contratto che lo beneficia: quest’ultimo deve dunque o designare direttamente il terzo, ovvero almeno contenere i criteri per identificarlo nel momento in cui dovrà essere eseguita.
2002
Il 18 aprile esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.5556 onde va distinto il contratto a favore di terzo dal contratto di assicurazione per conto di chi spetti ex art.1891 c.c.; per la Corte, nel contratto a favore di terzo, laddove il terzo beneficiario rifiuti la prestazione, di essa è legittimato a beneficiare lo stipulante; nell’assicurazione per conto di chi spetti, che ha natura indennitaria, laddove non ne benefici il soggetto cui spetti, non potrà avvantaggiarsene chi la ha stipulata. Normalmente si tratta di un contratto stipulato dal vettore con la compagnia assicuratrice, ed è a vantaggio di colui che risulti proprietario delle cose trasportate (“chi spetti” o assicurato), essendo orientato a garantire un bene determinato da qualsiasi danno che possa incidere sul relativo valore economico, e dunque a garantire chi risulti proprietario del ridetto bene: quest’ultimo può scegliere di rinunciare all’indennità assicurativa e di chiedere direttamente il risarcimento dei danni al vettore, ed in quel caso non può il vettore beneficiare lui dell’indennità assicurativa (come invece potrebbe fare lo stipulante in caso di rifiuto del terzo); solo l’espresso consenso dell’assicurato (ex art.1891, secondo comma, c.c.) potrebbe legittimare il vettore a chiedere l’indennizzo che sarebbe dovuto all’assicurato medesimo, ma tale espresso consenso non può evincersi dal mero rifiuto del proprietario del bene (l’assicurato, appunto) di beneficiare dell’indennizzo.
Il 18 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10403 che si occupa della distinzione tra contratto per persona da nominare e contratto a favore di terzo. Secondo la Corte, nel contratto per persona da nominare campeggia una indeterminatezza soggettiva, in quanto non è detto che il terzo sarà nominato; laddove manchi la relativa nomina (ovvero essa sia invalida o non tempestiva), non essendo stata esercitata la pertinente facoltà dalla parte che se la era riservata, il contratto spiega effetti tra le relative parti originarie; il terzo nominando potrebbe peraltro anche non essere esistente all’atto del contratto, mentre deve essere esistente all’atto della nomina, con subentro del terzo negli obblighi già gravanti sull’originario contraente. Nel contratto a favore di terzo invece campeggia la determinatezza soggettiva, essendo il terzo beneficiario determinato o quanto meno determinabile sin dal momento della stipula del contratto tra stipulante e promittente.
2003
*Il 24 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.1137 che ribadisce lo sdoppiamento della promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.: chi promette il fatto o l’obbligo del terzo, si obbliga ad adoperarsi con la dovuta diligenza affinché il terzo compia il fatto promesso ovvero si obblighi nel senso divisato. Si tratta dunque di una obbligazione di mezzi che, laddove rimasta inadempiuta, obbliga il promittente a risarcire il danno al promissario. Laddove invece, pur al cospetto del doveroso sforzo, il terzo non compia il fatto o non si obblighi nel senso divisato, scatta l’indennità prevista dall’art.1381 c.c., quale obbligo secondario. Il risultato resta dunque, secondo questa opzione ermeneutica, al di fuori dell’obbligo assunto dal promittente, che è una mera obbligazione di mezzi.
*Il 29 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.16225 che ribadisce lo sdoppiamento della promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.: chi promette il fatto o l’obbligo del terzo, si obbliga ad adoperarsi con la dovuta diligenza affinché il terzo compia il fatto promesso ovvero si obblighi nel senso divisato. Si tratta dunque di una obbligazione di mezzi che, laddove rimasta inadempiuta, obbliga il promittente a risarcire il danno al promissario. Laddove invece, pur al cospetto del doveroso sforzo, il terzo non compia il fatto o non si obblighi nel senso divisato, scatta l’indennità prevista dall’art.1381 c.c., quale obbligo secondario. Il risultato resta dunque, secondo questa opzione ermeneutica, al di fuori dell’obbligo assunto dal promittente, che è una mera obbligazione di mezzi.
Il 01 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.18321 onde è ammissibile il contratto preliminare di compravendita a favore di terzo, nonché quello di opzione a favore di terzo nel caso in cui il soggetto promittente (nel caso di specie, promittente venditore), piuttosto che obbligarsi soltanto, nella forma del contratto preliminare bilaterale o unilaterale, con l’altro stipulante a prestare il consenso alla definitiva vendita di un suo bene a favore di un terzo, resti già vincolato alla propria dichiarazione di irrevocabile proposta contrattuale, sicché al terzo beneficiario, libero di accettarla, basta la semplice accettazione perché a suo favore si producano gli effetti del contratto, per la conclusione del quale l’opzione è stata accordata
*Il 19 dicembre esce la sentenza della Cassazione n.19472 che ribadisce lo sdoppiamento della promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.: chi promette il fatto o l’obbligo del terzo, si obbliga ad adoperarsi con la dovuta diligenza affinché il terzo compia il fatto promesso ovvero si obblighi nel senso divisato. Si tratta dunque di una obbligazione di mezzi che, laddove rimasta inadempiuta, obbliga il promittente a risarcire il danno al promissario. Laddove invece, pur al cospetto del doveroso sforzo, il terzo non compia il fatto o non si obblighi nel senso divisato, scatta l’indennità prevista dall’art.1381 c.c., quale obbligo secondario. Il risultato resta dunque, secondo questa opzione ermeneutica, al di fuori dell’obbligo assunto dal promittente, che è una mera obbligazione di mezzi.
2004
Il 18 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3960 che, resa in tema di effetti del giudicato ex art.2909 c.c., pur dichiarando che il diritto del terzo è autonomo rispetto all’interesse dello stipulante, ammette tuttavia la possibilità che ad agire in giudizio (legittimazione) per la prestazione dovuta al terzo sia anche lo stipulante stesso (che vi ha interesse), oltre ovviamente al terzo beneficiario.
Il 29 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.14488 in tema di diritto a nascere sano che si occupa anche del contratto a favore di terzo assumendo come esso possa essere stipulato anche a favore di soggetto ancora non venuto ad esistenza al momento della stipulazione, perché non nato ove persona fisica, o perché non ancora costituito ove si tratti di ente.
2005
Il 4 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 9284 che, in tema di contratto a favore di terzo, afferma come l’interesse dello stipulante sia da intendersi come interesse in senso ampio, ovvero quale beneficio intenzionale a favore del terzo medesimo. Non deve essere un interesse necessariamente giuridico, potendo risolversi anche in una situazione soggettiva di mero fatto, morale o di immagine. Qui la Cassazione sembra dire che l’interesse dello stipulante non deve necessariamente essere patrimoniale, potendo atteggiarsi anche a mero interesse personale a beneficiare il terzo (si pensi allo spirito di liberalità tipico dell’atto donativo).
2006
Il 17 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5997 onde nel contratto autonomo di garanzia, il garante assume per la Corte l’obbligo di effettuare il pagamento di una determinata somma di denaro in favore del creditore beneficiario della garanzia per il solo fatto che tale soggetto, allegando l’inadempimento dell’obbligazione principale, ne faccia richiesta; nell’assumere tale obbligo – prosegue la Corte – il garante rinuncia a opporre al creditore le eccezioni inerenti al rapporto che lo avvince al debitore principale, anche se dirette a far valere l’invalidità del contratto dal quale deriva tale rapporto, a meno che non siano fondate sulla nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, dovendosi ritenere che in questo ultimo caso l’invalidità del contratto presupposto si propaga al contratto di garanzia, rendendone la causa, del pari, illecita. Sotto altro profilo, la buona fede, nell’ambito dei rapporti obbligatori, opera per la Corte su di un piano di reciprocità, quale fonte integrativa degli effetti degli atti di autonomia privata, integrando ovvero restringendo – a seconda dei casi – gli obblighi letteralmente assunti dalle parti o derivanti da specifiche norme di legge, onde il garante autonomo- tenuto a prima richiesta e senza eccezioni – quando esistano prove evidenti (c.d. prove liquide) del carattere fraudolento o anche solo abusivo della richiesta di pagamento avanzata dal beneficiario della garanzia, può (e deve) rifiutare il pagamento richiesto. Più in particolare, quando il creditore escuta la garanzia dal garante autonomo in presenza dei presupposti che facoltizzano quest’ultimo a spiccare l’exceptio doli, in realtà per la Corte il garante ha l’onere di spiccare tale eccezione, riconducibile al principio di buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., in quanto titolare di un dovere di protezione nei confronti del debitore (terzo), nei cui riguardi – in caso di mancata eccezione – perde il diritto di rivalsa (o di regresso), residuandogli solo l’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti del creditore beneficiario (in una con l’eventuale azione di risarcimento del danno).
Il 12 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.26509 che si occupa della promessa del fatto del terzo nel particolare caso in cui il terzo sia la P.A.; in particolare, secondo la Corte l’obbligo del venditore di far ottenere al compratore il certificato di abitabilità, avendo ad oggetto un fatto del terzo (la PA appunto), è un obbligo incoercibile e, in caso di inadempimento, comporta l’obbligo per il venditore di indennizzare il compratore: in questa pronuncia l’indennizzo viene totalmente equiparato al risarcimento del danno per inadempimento contrattuale.
2007
*Il 5 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 13058 che, in tema di contratto a favore di terzo, afferma come l’interesse dello stipulante sia da intendersi come interesse in senso ampio, quale beneficio intenzionale a favore del terzo medesimo.
2009
Il 28 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.20756 onde, in tema di contratto di trasporto, qualora il vettore abbia affidato di sua iniziativa l’esecuzione totale o parziale del trasporto di cose ad altro vettore (subvettore), è configurabile l’ipotesi del contratto a favore di terzo di cui all’art. 1411 cod. civ., e la qualità di terzo va riconosciuta, anche per il contratto di subtrasporto, al destinatario, la cui adesione – manifestata con la richiesta della riconsegna della merce trasportata – corrisponde alla dichiarazione del terzo di voler beneficiare della stipulazione in suo favore. Ne consegue che spetta al destinatario stesso, quale beneficiario del suddetto contratto, la legittimazione ad esercitare nei confronti del subvettore i diritti che, una volta chiesta la riconsegna, gli competono ex art. 1689 cod. civ., compreso quello di chiedere il risarcimento del danno per la perdita o l’avaria delle cose trasportate.
2010
Il 18 febbraio esce la sentenza delle SSUU n.3947 che si occupa della cd. polizza fideiussoria: per la Corte si tratta di un negozio che, sotto il profilo genetico, si distingue dalle convenzioni fideiussorie sia perché necessariamente oneroso, mentre la fideiussione pura può essere anche a titolo gratuito, sia perché stipulato, non tra il fideiussore e il creditore, ma, di regola, tra l’appaltatore (debitore principale) e il fideiussore, su richiesta ed in favore del committente beneficiario (creditore principale); inoltre, esso è strutturalmente articolato secondo lo schema del contratto a favore di terzo, il quale non è parte né formale né sostanziale del rapporto, ed è funzionalmente caratterizzato dall’assunzione dell’impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione (promittente), di pagare un determinato importo al beneficiario, (terzo) onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione che gli è dovuta dal contraente (stipulante). Per quanto più direttamente concerne la c.d. polizza fideiussoria, le SSUU chiariscono – con specifico riferimento allo schema applicato al contratto di appalto – come si sia al cospetto di un contratto a favore di terzo, in cui è il terzo (il committente dell’appalto, creditore) a richiedere allo stipulante (l’appaltatore, debitore) di stipulare con una banca o con un’assicurazione (in veste di promittente) detta polizza: in tal modo il promittente (banca o assicurazione) si obbliga a pagare una somma al terzo (il committente, spesso la PA) nel caso in cui lo stipulante (l’appaltatore) resti inadempiente ad obbligazioni contratte in seno al contratto di appalto. Anche se è il terzo (che è il committente dell’appalto) a promuovere la stipula della polizza fideiussoria (e, in qualche modo, ad imporla), esso resta per l’appunto terzo, e dunque estraneo rispetto ad un rapporto contrattuale del quale egli beneficia ai sensi dell’art.1411 c.c. (contratto a favore di terzo), ma che intercorre tra stipulante (l’appaltatore) e promittente (la banca o l’assicurazione che rilascia la polizza): se, come terzo, dichiara di volerne profittare, lo stipulante non potrà più revocare né modificare (ex art.1411, comma 3, c.c.) la relativa previsione contrattuale. Si configura una variante a questo schema laddove il terzo (il committente dell’appalto e creditore garantito) partecipi anch’egli al contratto consacrato nella polizza fideiussoria, circostanza nella quale l’operazione acquisisce – anche formalmente, oltre che sostanzialmente – veste trilaterale.
2011
L’11 febbraio esce la sentenza della Corte d’Appello di Ancona alla cui stregua con la promessa (“impegnativa”) del fatto del terzo – ossia, nel caso di specie, l’assunzione del promissario presso altra società – il promittente assume una prima obbligazione di facere, consistente nell’adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso, ed una seconda obbligazione di dare, cioè di corrispondere l’indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi.
Ne consegue per il Collegio che, qualora l’obbligazione di facere non verga adempiuta e l’inesecuzione sia imputabile al promittente, ovvero venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l’inadempimento e, qualora sussista il nesso di causalità tra inadempimento ed evento dannoso, il risarcimento del danno; qualora, invece, il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di facere e, ciononostante, il promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo (nel caso di specie, la società che dovrebbe assumerlo e che non lo fa), diverrà attuale l’altra obbligazione di dare, in virtù della quale il promittente sarà tenuto a corrispondere l’indennizzo.
* * *
Il 30 dicembre esce l’importante sentenza delle SSUU n.30174, che si occupa del complesso regime della transazione con riguardo alle obbligazioni solidali, nel caso in cui sia intervenuto accordo transattivo tra il creditore e uno dei condebitori in solido. In primo luogo le SSUU distinguono l’ipotesi della transazione parziaria, che investe dunque non l’intero credito solidale, ma solo una quota ideale del debito gravante in capo ad uno dei condebitori solidali, dalla transazione che investe l’intera obbligazione solidale: soltanto in quest’ultimo caso (transazione che investe l’intera obbligazione solidale, e non già la quota ideale di condebito solidale gravante su uno dei debitori in solito), si applica l’art.1304 c.c., con conseguente diritto dei condebitori non transigenti di profittare della transazione stipulata da uno di loro con il creditore, senza che eventuali clausole inserite nella transazione possano impedirlo (trattandosi di diritto potestativo, riconducibile ad un caso eccezionale in cui, ai sensi dell’art.1372, comma 2, c.c., il contratto (di transazione) produce per legge effetti nei confronti di terzi (i condebitori solidali non transigenti); nel diverso caso di transazione parziaria, che investe dunque non l’intera obbligazione solidale, ma soltanto la quota ideale di uno dei condebitori solidali, l’art.1304 c.c. non si applica, essendosi al cospetto di una obbligazione divisibile in cui la solidarietà è stata prevista nel solo interesse del creditore (al fine di meglio garantirne la soddisfazione del pertinente credito); è il giudice del merito a dover di volta in volta verificare, applicando i canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., se ci si trovi dinanzi ad una transazione parziaria (con conseguente inapplicabilità dell’art.1304 c.c.) o ad una transazione sull’intera obbligazione (con conseguente piena applicabilità dell’art.1304 c.c.). Le SSUU si soffermano poi, più in specie, sul caso in cui la transazione sia parziaria, al fine di verificare come si calcola il residuo credito che il creditore solidale può esigere dagli altri condebitori solidali (che non possono profittare della transazione del condebitore transigente per la ridetta inapplicabilità dell’art.1304 c.c.): la Corte distingue l’ipotesi in cui il condebitore solidale transigente abbia pagato al creditore una somma pari o superiore all’importo della relativa quota ideale di debito, fattispecie nella quale – anche al fine di scongiurare la locupletazione del creditore medesimo – quest’ultimo potrà pretendere dagli altri condebitori solidali non transigenti l’importo globale del credito decurtato di quanto ricevuto in pagamento dal condebitore solidale transigente; dall’ipotesi in cui il condebitore solidale transigente abbia pagato al creditore una somma inferiore all’importo della relativa quota ideale di debito, fattispecie nella quale – anche al fine di scongiurare un vulnus ai condebitori solidali non transigenti (i quali non possono profittare della transazione, ma non possono neppure risultarne alfine pregiudicati, circostanza che si verificherebbe se fossero costretti a pagare in più quel tanto in meno che ha pagato il condebitore solidale transigente in forza della transazione con il creditore) – il creditore in parola potrà pretendere dagli altri condebitori solidali non transigenti l’importo globale del credito decurtato in misura proporzionale rispetto a quanto ricevuto in pagamento dal condebitore solidale transigente.
2012
Il 3 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.14105 alla cui stregua in un contratto preliminare di compravendita immobiliare, la clausola con cui il promissario acquirente si impegna ad acquistare per sé o per persona da nominare comporta la configurabilità o di una cessione del contratto, ai sensi dell’art. 1406 ss. c.c., con il preventivo consenso alla cessione a norma dell’art. 1407 c.c., o di un contratto per persona da nominare, di cui all’art. 1401 c.c., e ciò sia in ordine allo stesso preliminare che con riferimento al contratto definitivo, o, infine, di un contratto a favore del terzo, ai sensi dell’art. 1411 c.c., mediante la facoltà di designazione concessa all’uopo al promissario fino alla stipulazione del definitivo; tale pluralità di configurazioni giuridiche in relazione al regolamento dell’intervento di terzi nella fattispecie contrattuale – preliminare o definitiva – va, tuttavia, riferita necessariamente al contenuto effettivo della volontà delle parti contraenti che l’interprete deve per la Corte ricercare in concreto, anche in correlazione alla funzione – invalsa nella pratica quotidiana degli affari – di impiegare il contratto preliminare per la disciplina intertemporale dei rapporti contrattuali delle parti, al di fuori di una coincidenza (se non meramente nominale) con gli schemi tipici approntati dal legislatore.
2014
Il 21 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 24853 in tema di tutela del promissario acquirente di una porzione di fabbricato oggetto di futura costruzione. Per la Corte, nel caso di specie non si è al cospetto di un preliminare di vendita di immobile, quanto piuttosto di un contratto definitivo che ha ad oggetto la promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.. In sostanza, si ha una vendita definitiva di cosa futura in cui il venditore assume l’obbligo nei confronti del compratore di procurargli l’acquisto della res futura venduta, e dunque l’obbligo di sforzarsi per consentire la venuta ad esistenza del bene attraverso l’opera del terzo costruttore.
2015
Il 5 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.19785, alla cui stregua tra i negozi di vendita (o appalto) da una parte e di leasing dall’altra si configura un indispensabile collegamento, e ciò in quanto la vendita (o l’appalto) vengono stipulati in funzione della successiva concessione in leasing del bene acquistato da concedente (a mezzo vendita o a mezzo realizzazione appaltata), mentre per parte sua il leasing, o locazione finanziaria, presuppone che il concedente (lessor) si sia procurato il bene che concede poi in godimento all’utilizzatore (lessee); resta però il fatto – per la Corte – che i due negozi sono sostanzialmente autonomi: solo il concedente è parte di entrambi, mentre da un lato l’utilizzatore è terzo rispetto al contratto di fornitura (vendita o appalto) intercorrente tra fornitore e concedente, e dall’altro il concedente è terzo rispetto al contratto di leasing o locazione finanziaria, che interviene tra concedente ed utilizzatore. La vicenda deve assumersi, per le SSUU, non additabile quale contratto plurilaterale ex art.1420 c.c., configurando piuttosto un collegamento negoziale in cui le parti dei rispettivi negozi – che restano contratti distinti – gestiscano i ridetti negozi assecondando le rispettive funzioni o cause, ed assegnando rilevanza giuridica non già a tutte le possibili interdipendenze, ma a quelle sole dalle quali in concreto dipende l’attuazione della divisata operazione economica unitaria: tale rilevanza giuridica si ottiene mediante apposite clausole previste dalle parti ed inserite in ciascuno dei due contratti giuridicamente bilaterali volontariamente avvinti tra loro dalle parti medesime proprio attraverso tali specifiche clausole. I due contratti, corredati dalle ridette, specifiche clausole che li legano, restano tuttavia strutturalmente bilaterali, connettendo da un lato il fornitore ed il concedente, e dall’altro il concedente e l’utilizzatore. Il collegamento tra i due contratti – prosegue la Corte – può tuttavia talvolta essere esaltato giusta partecipazione dell’utilizzatore al contratto (vendita o appalto) che lega il fornitore al concedente, ed al quale quegli sarebbe estraneo, così facendosi luogo ad una vendita (o ad un appalto) produttivo di taluni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza che all’uopo occorra ipotizzare – all’interno del contratto di leasing – un mandato implicito inteso ad assicurare quei diritti di azione che il codice (art.1705, comma 2, c.c.) riconosce al mandante senza rappresentanza (nella specie, l’utilizzatore appunto) nei confronti del terzo (nella specie, il fornitore) che ha contratto con il mandatario senza procura (nella specie, il concedente).
2016
Il 19 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.763 che si occupa di strumenti derivati. Secondo la Corte, il mandato conferito ad una banca (mandataria) da un sottoscrittore di un’opzione put (mandante) ed avente oggetto il trasferimento di azioni depositate presso la banca stessa in favore del titolare della corrispettiva opzione call (terzo anche nel cui interesse il mandato viene stipulato), laddove quest’ultima opzione sia stata esercitata, non configura un contratto a favore di terzo ex art. 1411 cod. civ, con la conseguenza onde la banca mandataria va esente da responsabilità nei confronti di quest’ultimo, che non può agire direttamente contro di essa, come invece potrebbe fare laddove fosse terzo beneficiario della prestazione ex art.1411 c.c. (e non già terzo meramente interessato al mandato). Per la Corte – che ricostruisce nell’occasione la natura dello strumento finanziario derivato di tipo ‘option’, quale titolo derivato asimmetrico – il mandato intercorso tra la società proprietaria delle azioni (mandante) e la banca mandataria costituisce un contratto stipulato anche nell’interesse del terzo ai sensi dell’art 1723, comma 2, c.c. e quindi anche nell’interesse del beneficiario dell’opzione, ma non già a relativo favore. L’esistenza – innegabile nel caso di specie – dell’interesse del terzo non può infatti per la Corte modificare la natura giuridica del mandato in un contratto nell’esclusivo interesse del terzo medesimo: il terzo beneficiario dell’opzione, ed anche nel cui interesse è stato stipulato il mandato, è tuttavia estraneo al mandato medesimo e non è terzo beneficiario dello stesso, non potendosi per conseguenza assumere legittimato ad intraprendere qualsiasi azione nei confronti dell’istituto bancario mandatario (che, nell’ipotesi in cui venisse abbracciata la tesi del contratto a favore di terzo, sarebbe il promittente).
Il 15 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.5068 alla cui stregua in caso di donazione di cosa inconsapevolmente altrui non può essere utilizzato lo schema dell’art.1381 c.c., e dunque la promessa del fatto del terzo, dovendo piuttosto assumersi tale donazione (solo apparentemente dispositiva) nulla. La Corte è chiamata in proposito a dirimere il contrasto tra due diverse posizioni della giurisprudenza a sezioni semplici: la prima – muovendo dall’art.771 c.c. sulla nullità di beni futuri, interpretabile analogicamente alla donazione di bene altrui, in una con il fondamento della donazione sul c.d. principio consensualistico – assume per l’appunto nulla la donazione di beni altrui stante anche la necessità di una immediatezza dell’arricchimento del donatario, che come tale presuppone l’appartenenza al patrimonio del donante del bene donato; la seconda ritiene all’opposto valida una donazione di bene altrui sia perché la donazione stessa, ex art.769 c.c., può assumere anche foggia obbligatoria (oltre che immediatamente traslativa) e sia perché, ferma la nullità della donazione di beni futuri, nel caso della donazione di beni altrui scatta l’operatività dell’art.1381 c.c. e dunque della promessa del fatto del terzo. Per le SSUU la donazione di cosa totalmente (o parzialmente) altrui è nulla e ciò non già perché si applichi in via analogica l’art.771 c.c. in tema di nullità della donazione di beni futuri, quanto piuttosto per difetto di causa del contratto di donazione (dispositiva). In sostanza, per la Corte la donazione dispositiva di beni inconsapevolmente altrui è totalmente nulla (e non già valida ma inefficace, come pure predicato da parte della giurisprudenza) dovendosi considerare come dall’art.769 c.c. affiori la imprescindibile appartenenza del bene donato al patrimonio del donante, quale elemento essenziale in difetto del quale (laddove dunque il bene donato appartenga ad un terzo) è inconcepibile la realizzazione della causa tipica, sorretta dal c.d. spirito di liberalità, del contratto di donazione traslativa o dispositiva; la donazione ha infatti alla propria base il depauperamento del donante, il contestuale arricchimento del donatario ed il c.d. animus donandi, vale a dire quello spirito di liberalità (corrispondente ad un interesse personale del donante) che fa da ponte tra il depauperamento e l’arricchimento citati; il donante è consapevole di attribuire al donatario un vantaggio patrimoniale senza alcuna costrizione di tipo morale o giuridico. Se così è, prosegue la Corte, la presenza del bene donato nel patrimonio del donante costituisce un elemento costitutivo ed essenziale del contratto di donazione con effetti immediatamente traslativi, mentre la consapevolezza – da parte di entrambi i protagonisti della vicenda – dell’appartenenza ad un terzo del bene donato si configura una donazione obbligatoria; laddove invece la res donata sia inconsapevolmente altrui, la donazione va assunta nulla per difetto di causa, facendosi luogo ad una operazione che non è riconducibile appunto allo schema causale della donazione dispositiva, il quale ultimo presuppone la consapevolezza in capo al donante di sottrarsi un bene proprio per, impoverendosi, attribuirlo al donante così arricchendolo, senza che occorra alcuna (artificiosa) riconducibilità del bene altrui ad un bene futuro ex art.771 c.c.
2017
Il 27 marzo esce la sentenza delle SSUU n.7756 che – aderendo, sulla base di ragioni d’interpretazione storico-evolutiva, letterale e teleologica, all’orientamento pretorio meno restrittivo – formulano il principio di diritto onde l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, non già solo alle opere di nuova costruzione, ma anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo. Per la Corte dunque anche opere più limitate, aventi ad oggetto riparazioni straordinarie, ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura immobiliare possono rovinare o presentare evidente pericolo di rovina del manufatto, tanto nella porzione riparata o modificata, quanto in quella diversa e preesistente parte che ne risulti altrimenti coinvolta per ragioni di statica. L’attenzione va tuttavia per la Corte soffermata principalmente sull’ipotesi dei “gravi difetti“, sia perché limitrofa rispetto al regime ordinario degli artt. 1667 e 1668 c.c., sia per il rilievo specifico che tali “gravi difetti” assumono nel caso sottoposto al vaglio della Corte medesima, sia per ragioni di carattere più generale. Se ne ricava per la Corte, inconfutabile nella relativa oggettività, un preciso dato di fatto: è del tutto indifferente che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova, ovvero lavori su una costruzione preesistente: la circostanza che le singole fattispecie siano derivate o non dall’edificazione primigenia di un fabbricato non muta infatti per la Corte i termini logico-giuridici dell’operazione ermeneutica compiuta in ormai quasi mezzo secolo di giurisprudenza. Questo – prosegue la Corte – non implica di necessità propria che si tratti della prima realizzazione dell’immobile, essendo ben possibile che l’opus oggetto dell’appalto consista e si esaurisca in quegli stessi e soli elementi mano mano evidenziati dalla giurisprudenza a sezioni semplici. Ferma tale angolazione, a fortiori deve ritenersi che ove l’opera appaltata consista in un intervento di più ampio respiro edilizio (come, appunto, una ristrutturazione), quantunque non in una nuova costruzione, l’art. 1669 c.c. sia ugualmente applicabile; considerare anche gli elementi “secondari” ha significato distogliere il focus dell’attenzione dell’interprete dal momento “fondativo” dell’opera per direzionarlo sui “gravi difetti” di essa per desumere i quali è stato necessario indagare altro, vale a dire l’aspetto funzionale del prodotto conseguito. La Corte osserva altresì come – su di un piano maggiormente sistematico – la categoria dei gravi difetti tenda a spostare il baricentro ermeneutico dell’art. 1669 c.c. dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene da parte del committente e dei suoi aventi causa, e dunque da un’ottica pubblicistica ed aquiliana ad una privatistica e contrattuale; inoltre, per la Cassazione va considerata la maggior importanza che sul tema della tutela dei terzi ha assunto, invece, l’esperienza dell’appalto pubblico (rispetto a quello privato), nonché l’espresso riconoscimento dell’azione ex art.1669 c.c. anche agli aventi causa del committente, i quali possono agire anche contro il costruttore-venditore (vengono richiamate, fra le tante, le pronunce n. 467/14, 9370/13 e 2238/12 e 4622/02), il che per la Corte ha privato del suo principale oggetto la teoria della responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 c.c.. Infine, significativi per la Corte in ottica “contrattualistica” (piuttosto che aquiliana) della responsabilità ex art.1669 c.c. sono i più recenti approdi della dottrina sull’efficacia ultra partes del contratto e — da ultima, ma non ultima — la possibilità che tale efficacia operi in favore dei terzi nei casi previsti dalla legge (art. 1372, cpv. c.c.). Tutto ciò per a Corte rende ormai meno attuale il tema della natura extracontrattuale della responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., che se non ha esaurito la propria funzione storica (per presunto difetto di rilevanza), di sicuro per la Corte ha perso l’originaria centralità che aveva nell’interpretazione della norma.
Il 27 giugno esce la sentenza del Giudice di Pace di Vicenza n.368 alla cui stregua il destinatario di un pacco postale che non gli sia mai stato consegnato, pur intrattenendo rapporti con il vettore, può chiedere il risarcimento dei danni a Poste Italiane, il contratto di trasporto configurandosi come contratto a favore di terzi nel quale campeggia la sostituzione del destinatario al mittente nella legittimazione ad agire verso il vettore per far valere i diritti che derivano dal contratto di trasporto.
Il 27 luglio esce la sentenza delle SSUU n. 18725 in tema di bancogiro nullo in difetto di atto pubblico, configurando il medesimo una donazione diretta e non già indiretta: per la Corte infatti in tema di proprietà di beni mobili e di donazione, l’atto recante il trasferimento, a mezzo banca, di strumenti finanziari, dal conto deposito-titoli a quello del beneficiario, si qualifica quale donazione diretta, e ciò anche se trans-mortem, l’ordine di bonifico richiedendo dunque la forma scritta pubblica tra beneficiante e beneficiario. Nel contesto motivazionale della pronuncia, la Corte precisa peraltro che una liberalità non donativa può essere realizzata anche con un contratto a favore di terzo, ossia in virtù di un accordo tra disponente/stipulante e promittente con il quale al terzo beneficiario è attribuito un diritto, senza che quest’ultimo paghi alcun corrispettivo e senza prospettiva di vantaggio economico per lo stipulante. Il contratto a favore di terzo, per la Corte, può bensì importare una liberalità a favore del medesimo, ma costituendo detta liberalità solo la conseguenza non diretta né principale del negozio giuridico avente una causa diversa, si tratta di una donazione indiretta, la quale, se pure è sottoposta alle norme di carattere sostanziale che regolano le donazioni, non sottostà invece alle norme riguardanti la forma di queste ( viene richiamata Cass., Sez. I, 29 luglio 1968, n. 2727). Seguendo quest’ordine di idee, precisa il Collegio, si è ricondotta alla donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario (vengono richiamate Cass., Sez. II, 10 aprile 1999, n. 3499; Cass., Sez. I, 22 settembre 2000, n. 12552; Cass., Sez. II, 12 novembre 2008, n. 26983); per la Corte anche la cointestazione di buoni postali fruttiferi, ad esempio operata da un genitore per ripartire fra i figli anticipatamente le proprie sostanze, può configurare, ove sia accertata l’esistenza dell’animus donandi, una donazione indiretta, in quanto, attraverso il negozio direttamente concluso con il terzo depositario, la parte che deposita il proprio denaro consegue l’effetto ulteriore di attuare un’attribuzione patrimoniale in favore di colui che ne diventa beneficiario per la corrispondente quota, essendo questi, quale contitolare del titolo nominativo a firma disgiunta, legittimato a fare valere i relativi diritti (viene richiamata Cass., Sez. II, 9 maggio 2013, n. 10991). La Corte precisa poi, con riguardo al c.d. bancogiro, che il passaggio di valori patrimoniali a titolo di liberalità dal beneficiante al beneficiario eseguito a mezzo banca non ricade nell’ambito del contratto a favore di terzo, schema attraverso il quale lo stipulante può realizzare un’attribuzione patrimoniale indiretta a favore del terzo avente i connotati della spontaneità e del disinteresse, e ciò in quanto nel contratto a favore di terzo il patrimonio del promittente è direttamente coinvolto nel processo attributivo e non si configura – come è stato affermato – come mera “zona di transito” tra lo stipulante e il terzo: l’oggetto dell’attribuzione donandi causa in favore del terzo si identifica con la prestazione del promittente e non con quanto prestato dallo stipulante al promittente medesimo, come invece accade appunto nel bancogiro. A ciò deve aggiungersi per la Corte che, mentre nel contratto a favore di terzo nasce immediatamente un diritto azionabile del terzo verso il promittente, il terzo beneficiario che sia destinatario di un ordine di giro non acquista alcun diritto nei confronti della banca proveniente dal contratto che intercorre tra la banca medesima e l’ordinante, e ciò in quanto secondo la giurisprudenza della Corte (vengono richiamate Cass., Sez. III, 1° dicembre 2004, n. 22596; Cass., Sez. I, 19 settembre 2008, n. 23864; Cass., Sez. I, 3 gennaio 2017, n. 25, cit.), l’ordine di bonifico ha natura di negozio giuridico unilaterale, la cui efficacia vincolante scaturisce da una precedente dichiarazione di volontà con la quale la banca si è obbligata ad eseguire i futuri incarichi ad essa conferiti dal cliente, ed il cui perfezionamento è circoscritto alla banca e all’ordinante, con conseguente estraneità del beneficiario, nei cui confronti, pertanto, l’incarico del correntista di effettuare il pagamento assume natura di delegazione di pagamento. Anche il delegato al pagamento può essere obbligato, ma solo se il medesimo si obbliga personalmente verso il creditore delegatario e questi accetti l’obbligazione del delegato, ai sensi dell’art. 1269, comma 1, cod. civ..
Il 3 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 19368 che, pronunciandosi su una ipotesi in cui la circolazione di un mezzo di trasporto è avvenuta con modalità tali che lo hanno reso piuttosto simile ad un’arma che non, appunto, ad un mezzo di trasporto, il contratto di assicurazione della responsabilità civile opera in favore del terzo danneggiato – che ha dunque diritto di ottenere dall’assicuratore del responsabile il risarcimento del danno – ma non anche in favore dell’assicurato danneggiante, contro il quale l’assicuratore avrà pertanto il diritto di regresso come se il contratto non sia stato in realtà stipulato.
Il 2 novembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 26072 che si occupa dei limiti ai poteri di rappresentanza di una azienda capogruppo nei confronti della stazione appaltante; per la Corte, in fattispecie di ATI (associazione temporanea di imprese) il potere di rappresentanza, anche processuale, spetta all’impresa capogruppo esclusivamente nei confronti della stazione appaltante in relazione agli atti relativi all’appalto e non anche nei confronti di terzi estranei a quel rapporto, e ciò atteso come la presenza del pertinente mandato collettivo non determina un centro autonomo di imputazione giuridica, essendo esso solo finalizzato ad agevolare l’amministrazione appaltante nella tenuta dei rapporti con le imprese appaltatrici (viene richiamata Cass. 29/12/2011, n. 29737).
Il 20 dicembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.30653 alla cui stregua, in tema di assicurazione per conto altrui, il danneggiato deve assumersi avere azione diretta nei confronti dell’assicuratore, pur essendo terzo rispetto appunto al contratto di assicurazione; più in specie, per la Corte in caso di assicurazione contro infortuni stipulata dal datore di lavoro in favore dei lavoratori, questi ultimi in caso di infortunio possono agire direttamente nei confronti dell’assicuratore per il pagamento dell’indennizzo previsto in polizza, dovendosi assumere nel caso di specie che la lavoratrice ricorrente abbia dunque azione diretta nei confronti della società assicuratrice, in quanto, trattandosi di assicurazione per conto altrui, fanno capo direttamente all’assicurato, ai sensi del comma 2 dell’art. 1890 cod. civ., i diritti derivanti dal rapporto assicurativo (vengono richiamate Cass. 23/12/2011, n. 28695 e Cass.19/07/2004, n. 13329).
2018
Il 5 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 2675 in tema di nascita indesiderata per non corretta diagnosi di aborto interno. Secondo il Collegio la responsabilità di natura contrattuale della struttura sanitaria copre anche i danni arrecati al padre del nascituro atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti “protetti” e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento: deve infatti considerarsi che, a seguito della nascita, il padre diviene obbligato al mantenimento del figlio.
* * *
Il 15 ottobre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.25635 secondo la quale nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell’art. 1920, comma 3, c.c., un diritto proprio che trova la propria fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante e non può, quindi, essere oggetto delle sue (eventuali) disposizioni testamentarie né di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima; sicché la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, in modo che qualora i beneficiari siano individuati, come nella specie, negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all’eredità (Cass. Sez. 2 n. 26606 del 21/12/2016 e Cass. n. 9388 del 1994; Cass. n. 6531 del 2006); nel momento in cui l’assicurato individua il beneficiario, questi acquista un diritto iure proprio (giurisprudenza costante), ma nello stesso tempo la liquidazione dell’indennizzo da parte dell’assicuratore non farà più parte del patrimonio dell’assicurato, al momento della morte di questi. Residua in capo all’assicurato un unico potere, quello previsto dall’articolo 1921 c.c. di revocare la designazione del beneficiario. Ma la designazione del beneficiario – prosegue la Corte – non si realizza attraverso la modificazione della generica categoria degli eredi legittimi, ma attraverso una specifica individuazione di un nuovo soggetto beneficiario. Quest’ultimo, infatti, acquista un diritto iure proprio del tutto autonomo rispetto alle vicende successorie. La polizza configura infatti per la Corte un contratto a favore del terzo, dal quale deriva il diritto del beneficiario al pagamento dell’indennità; la designazione può essere compiuta con il contratto o con il testamento; nella specie la designazione a favore degli eredi legittimi contenuta in contratto era una modalità per individuare i beneficiari fra i quali andava divisa l’indennità prevista nel contratto, restando esclusa l’applicabilità delle norme sulla successione ereditaria; la revoca deve avvenire nelle stesse forme della designazione; nella specie, prosegue ancora la Corte, il testamento non contiene pacificamente alcuna revoca; la questione risolutiva concerne infatti la interpretazione della clausola apposta nel contratto di assicurazione in caso di morte dell’assicurata, laddove individua i beneficiari negli eredi legittimi. Escluso dunque che l’attribuzione del diritto avvenga in applicazione e per effetto della disciplina che regola la successione ereditaria, il riferimento contenuto in tale clausola alla qualità di eredi (legittimi) integra un criterio di determinazione per relationem dei beneficiari in funzione della loro appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, non incidendo sulla fonte del diritto (che, come si è detto, è l’atto inter vivos). Peraltro, la individuazione dei soggetti designati – seppure va compiuta necessariamente al momento della morte dell’assicurato – non postula che i medesimi si identifichino con coloro che siano effettivamente chiamati all’eredità: nell’ipotesi in cui siano individuati con riferimento alla categoria degli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che in astratto, seppure con riferimento alla qualità esistente al momento della morte, siano i successibili per legge, e ciò indipendentemente dalla effettiva vocazione e anche se poi interviene una successione testamentaria; la Corte ribadisce in proposito che, quando la designazione sia avvenuta con il contratto di assicurazione, che è stato stipulato in epoca anteriore alla redazione del testamento, la volontà negoziale va correttamente interpretata, ritenendo che i beneficiari dovessero identificarsi negli eredi ab intestato, così da escludere rilevanza alla successiva istituzione testamentaria dell’attrice (odierna ricorrente), quale erede universale: infatti, per la Corte deve negarsi che, in difetto di alcun riferimento alla designazione formulata nel contratto, tale disposizione testamentaria possa di per se sola integrare univoca manifestazione di volontà di revoca, anche tacita, della (ovvero che sia incompatibile con la) designazione avvenuta nel contratto di assicurazione, atteso che, per quel che si è detto, il diritto azionato dall’attrice trova fonte nel contratto di assicurazione stipulato dal(la) de cuius a favore dei terzi ivi indicati e pertanto, al momento della morte dell’assicurata, non rientra nel patrimonio ereditario. La Corte si sofferma poi sul passaggio in cui, nel contesto letterale della sentenza innanzi ad essa gravata, la Corte territoriale rileva l’articolo 1921 c.c. consentire all’assicurato di revocare la designazione del beneficiario attraverso il testamento e osserva che la redazione di un testamento successivo alla stipula del contratto di assicurazione con istituzione di un erede assumerebbe chiara valenza di revoca dell’originario beneficiario, individuato negli “eredi legittimi“; anche questa seconda motivazione è per la Corte in contrasto con il citato orientamento secondo cui in difetto di alcun riferimento alla designazione formulata nel contratto, la disposizione testamentaria non può di per se sola integrare univoca manifestazione di volontà di revoca; è evidente – precisa la Corte – che la volontà dell’assicurato è quella di beneficiare chi le è stato vicino, ma tale parametro riguarda la volontà del testatore, più che quella del contraente, rispetto alla quale operano i principi affermati dalla giurisprudenza sopra indicata, secondo cui, una cosa è il contratto di assicurazione per la vita, altra cosa è la regola della successione legittima e testamentaria. L’articolo 1920 c.c. consente di legare i due ambiti, prevedendo che la revoca della indicazione del beneficiario possa essere fatta con successiva dichiarazione scritta, cioè negoziale, o per testamento. Nell’ipotesi in esame non vi è tuttavia per la Corte una revoca esplicita, essendo pacifico e sufficientemente allegato che il testamento non tratta dell’assicurazione sulla vita e la motivazione della Corte è esclusivamente sostanziale laddove si limita a precisare che una delle forme di revoca della designazione del beneficiario è il testamento (ma la dichiarazione di revoca va interpretata con i criteri stabiliti dall’articolo 1362 e seguenti c.c. e non con le norme in tema di successione testamentaria, con il favor testamenti). Pertanto, per il Collegio c’è un salto logico laddove la Corte afferma che la stessa redazione di un testamento successivo alla stipula del contratto di assicurazione, che contenga l’istituzione di erede, assumerebbe chiara valenza di revoca dell’originario beneficiario, individuato negli “eredi legittimi“. In sostanza la Corte non interpreta il contenuto del testamento per individuare una implicita dichiarazione di revoca della designazione del beneficiario, ma erroneamente considera il fatto storico dell’esistenza in sé di un testamento – che quindi sostituisce la categoria degli eredi legittimi con quella degli eredi testamentari – quale elemento che assumerebbe chiara valenza di revoca della ridetta designazione.
2019
Il 16 ottobre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 26212 che si allinea al precedente secondo cui la convenzione stipulata fra un istituto di assistenza dei lavoratori ed un avvocato o procuratore, la quale preveda che quest’ultimo difenda in giudizio gli assistiti percependo il solo importo delle spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice in caso di vittoria, è idonea a vincolare il professionista nei confronti del lavoratore che gli conferisca l’incarico della difesa in giudizio, nel presupposto della qualità di assistito del predetto istituto ed in riferimento a quella convenzione, secondo la disciplina del contratto a favore di terzo, di cui all’art. 1411 cod. civ., e, quindi, indipendentemente sia da un’accettazione della convenzione da parte del lavoratore stesso (la quale rileva al diverso fine di rendere irrevocabile il beneficio da parte dello stipulante), sia da un’ulteriore specifica manifestazione di volontà nei suoi confronti da parte del professionista medesimo. Peraltro, la circostanza che la suddetta convenzione possa tradursi, in caso di conclusione del giudizio con esito sfavorevole o compensazione delle spese, in una rinuncia preventiva dell’avvocato o procuratore alle proprie spettanze, non ne comporta la nullità, per violazione del principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari (art. 24 della legge 13 giugno 1942 n. 794), qualora tale rinuncia risulti giustificata da un fine di liberalità od uno spirito di solidarietà sociale, meritevole di tutela, e non si presenti come mero strumento del legale per conseguire maggiori vantaggi economici attraverso un non consentito accaparramento di affari futuri.
2020
Il 9 settembre esce la sentenza della sez. Lavoro della Cassazione n. 18686 secondo la quale, qualora in un contratto di appalto pubblico di servizi, un’impresa appaltatrice assuma nei confronti dell’amministrazione committente l’obbligo di fornire e organizzare idoneo personale, debitamente formato in relazione alle peculiarità del servizio, indicandone anche il livello di inquadramento, la pattuizione tra le due parti è diretta alla definizione dello standard qualitativo del servizio esigente la presenza di figure professionali adeguate. Da tale conclusione discende che non si configura un vantaggio per il terzo lavoratore che le parti abbiano consapevolmente assunto quale oggetto di un deliberato proposito, comportante l’obbligo dell’impresa, quale promittente, nei confronti dell’amministrazione, quale stipulante, in favore del terzo che lo renda titolare di una prestazione patrimoniale diretta, attribuendogli per ciò solo il diritto ad una qualifica superiore che egli possa autonomamente azionare.
Il 15 settembre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 19188 alla cui stregua la figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è ammessa solo per il caso di contratto stipulato dalla gestante e dunque con effetti protettivi verso il padre ed il figlio nascituro, mentre è esclusa per fattispecie diverse. In particolare, secondo la Suprema Corte, la figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è giustificata con l’argomento che il terzo ha un interesse identico a quello dello stipulante, un interesse che viene coinvolto dall’esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l’interesse della parte contrattuale, ovvero del creditore della prestazione. Nel contratto tra la struttura e la gestante, l’interesse di quest’ultima è la nascita del figlio; l’esecuzione del contratto, pertanto, soddisfa (o lede, in caso di inadempimento) l’interesse dell’altro genitore allo stesso modo di come soddisfa (o lede) l’interesse della gestante contraente. Nel caso di specie (domanda di risarcimento iure proprio proposta dalle figlie di una donna deceduta) la Corte ha ritenuto non sussistente il presupposto dell’identità dell’interesse coinvolto dall’esecuzione del contratto, in quanto l’interesse delle figlie non era il medesimo di quello dedotto in contratto dalla madre. Quest’ultima si era affidata alla struttura per la cura della salute e l’inadempimento della obbligazione assunta dalla struttura aveva leso due beni diversi: la salute della donna (o la vita, più precisamente), e il rapporto parentale quanto alle figlie.
Questioni intriganti
Che cosa deve intendersi per “terzo” rispetto al contratto?
- è terzo chi non è parte del contratto (c.d. relatività contrattuale);
- chi non è dunque parte formale, non avendo partecipato alla relativa formazione e stipula;
- e chi non è neppure parte sostanziale, non avendo alcun interesse proprio legato al contratto, che non propaga dunque su di esso i relativi effetti (neppure riflessi);
- quando gli interessi del terzo vengono lambiti dal contratto (inteso come atto, come autoregolamento negoziale), il relativo ruolo di terzo scema attraendolo sempre più nell’orbita della parte contrattuale;
- gli effetti diretti del contratto – quelli da riconnettersi al contratto come atto – lambiscono il terzo solo se questi li vuole e li accetta (sono eccezioni al principio di relatività ex art.1372 c.c.);
- gli effetti indiretti del contratto – quelli da riconnettersi al rapporto che dal contratto discende – sono invece effetti riflessi che possono lambire il terzo anche al di fuori della relativa volontà, compendiando peraltro effetti di natura non giuridica, ma fattuale (seppure con effetti giuridici).
Quali regole generali presidiano i rapporti tra contratto e terzo?
- il contratto può produrre per il terzo effetti favorevoli, che tuttavia quegli può rifiutare (relatività temperata);
- il contratto non può impedire al terzo di acquistare aliunde diritti;
- il contratto non può sottrarre al terzo propri diritti (disciplina dell’evizione: articoli 1478 e 1479 c.c.);
- il contratto non può imporre al terzo degli obblighi (promessa del fatto del terzo,art.1381 c.c.).
Quali sono i casi in cui si producono effetti diretti nei confronti di terzi da parte del contratto inteso come atto/negozio?
Si tratta, fondamentalmente, della fattispecie del contratto a favore di terzo ex art.1411 e seguenti c.c., che è la più vistosa deroga al principio di relatività del contratto ex art.1372 c.c.
Quali sono i casi in cui si producono effetti riflessi nei confronti di terzi, da parte del contratto inteso come fatto/rapporto?
- qualunque contratto impone ai terzi di rispettare il regolamento negoziale divisato tra le parti, non potendo tali terzi né indurre una parte all’inadempimento, né tampoco cooperare nell’inadempimento;
- nella cessione del credito, il debitore ceduto è terzo rispetto al contratto di cessione, che è fatto capace di produrre riflessi nei relativi confronti laddove la cessione gli venga comunicata;
- talvolta il terzo può pretendere che la parte di un contratto (al quale egli è estraneo) esegua nei relativi confronti una prestazione: sono i casi dell’azione diretta del danneggiato (terzo) verso l’assicuratore del responsabile civile (art.1917 c.c.; art.144, comma 1, del codice delle assicurazioni private, decreto legislativo 209.05); del mandante (terzo) che agisce nei confronti del sostituto del mandatario non autorizzato (art.1717 c.c.); dei dipendenti dell’appaltatore (terzi) rispetto al committente (art.1676 c.c.); qui il contratto va assunto come fatto che consente di individuare un debitore per il terzo;
- nella mediazione e nell’agenzia, laddove l’affare venga concluso attraverso la stipula del contratto: l’agente o il mediatore maturano il diritto alla provvigione, e vanno qualificati terzi rispetto ad un contratto inteso come fatto;
- laddove condebitore e creditore transigano, la transazione è contratto rispetto al quale gli altri condebitori sono terzi, ma questi possono dichiarare di volerne profittare (art.1304 c.c.) facendo sì che essa produca effetti anche nei relativi confronti;
- in ogni caso di collegamento negoziale, gli effetti propagatori che un contratto produce sull’altro non riguardano il contratto come atto regolativo (stante l’art.1372 c.c., che limita tali effetti alle parti che lo hanno stipulato), ma come mero fatto che spiega riflessi sul contratto collegato;
- nella fattispecie del d. falsus procurator (art.1399 c.c.) il contratto viene concluso tra falso rappresentante e terzo (che sono dunque le parti del contratto), mentre il rappresentato è terzo rispetto al contratto medesimo e tuttavia esso rileva come fatto con riflessi nei relativi confronti, potendo egli ratificarlo, ovvero impegnarlo laddove abbia colposamente contribuito a far luogo ad una apparenza di rappresentanza;
- nel contratto per persona da nominare, il nominato è terzo rispetto al contratto concluso tra le parti, ma il “fatto” contrattuale può spiegare riflessi nei relativi confronti, potendo egli accettare la electio;
Quali sono i casi in cui si producono effetti solo apparenti nella sfera del terzo?
Si tratta di fattispecie in cui dal contratto nascono obblighi e diritti, come è fisiologico, per le sole parti contrattuali, anche se vi viene citato un terzo:
- vendita di cosa altrui (art.1479 c.c.): il terzo non è detto che metterà a disposizione la cosa sua che altri vendono;
- divieto di alienazione (art.1379 c.c.): se chi non può vendere vende in ogni caso, al terzo non può essere impedito di acquistare;
- promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo (art.1381): il terzo il cui fatto o la cui obbligazione viene promessa può non compiere il fatto o non obbligarsi come divisato dalle parti.
In cosa consiste il contratto a favore di terzo?
- è uno schema generale che vede prodursi effetti favorevoli a favore di un soggetto che non ha preso parte né sostanzialmente, né formalmente ad un contratto; la presenza anche solo di un modesto effetto sfavorevole esclude che si configuri contratto “a favore” di terzo;
- due (o più) soggetti stipulano un contratto e dichiarano di voler attribuire al terzo il diritto di esigere una prestazione da uno di loro; chi è tenuto alla prestazione verso il terzo (promittente) lo è perché esiste un interesse giuridicamente apprezzabile della controparte (stipulante) a che ciò avvenga, dovendosi altrimenti lo schema assumersi invalido;
- un terzo (determinato o determinabile) che non ha preso parte al contratto si vede attribuito un diritto da una pattuizione resa inter alios; egli non ha fissato la disciplina del contratto dal quale discendono per lui effetti favorevoli (parte in senso sostanziale), né ha agito come rappresentante di una delle parti (parte in senso formale): si tratta dunque di un temperamento al principio della relatività degli effetti del contratto. Per parte della dottrina si configura una obbligazione alternativa sul crinale soggettivo allorché il contratto a favore di terzo preveda che sia lo stipulante a determinare successivamente, con atto unilaterale, il terzo a favore del quale il promittente deve effettuare la prestazione dovuta piuttosto che a lui, con concentrazione della pertinente alternativa soggettiva (ma la fattispecie in questo caso si sovrappone, configurandola, a quella del contratto per persona da nominare, laddove il terzo sia incerto all’atto della stipula);
- la stipulazione produce l’acquisto automatico del diritto del terzo alla prestazione da parte del promittente (e nell’interesse dello stipulante), salvo patto contrario (che può prevedere una condizione o un termine);
- lo stipulante può revocare o modificare la stipulazione a favore del terzo, ma solo fino a che quest’ultimo non dichiari di volerne profittare, ovvero sostanzialmente finché il terzo non accetti la stipulazione a relativo favore, rendendo intangibile l’acquisto del diritto in capo a lui;
- la designazione del terzo da parte dello stipulante (che può essere tanto contestuale quanto successiva alla stipula del contratto a relativo favore) secondo alcuni è recettizia rispetto al terzo, essendo prevista la possibilità per lui di accettarla con effetti giuridici precisi; secondo altri è recettizia rispetto al solo promittente, che è il soggetto parte del contratto che deve effettuare la prestazione a beneficio di un soggetto estraneo al contratto stesso;
- la dichiarazione del terzo di voler profittare è atto unilaterale recettizio che quando giunge al promittente ne consolida la posizione di debito verso il terzo medesimo, mentre quando giunge allo stipulante ne consuma il potere di modifica o revoca; essa produce effetti legali tipici, ma non è accettazione in senso tecnico (elemento perfezionativo strutturale del contratto) in quanto il terzo non è parte del contratto tra promittente e stipulante, limitandosi piuttosto a beneficiare dei relativi effetti; tale dichiarazione del terzo potrebbe al più valere come condizione sospensiva rispetto al contratto tra promittente e stipulante, incidendo nondimeno sempre sugli effetti del contratto tra loro, e non sulla relativa struttura. Laddove il terzo dichiari di non voler profittare, la prestazione del promittente si reindirizza verso lo stipulante, e questo giustifica perché tale dichiarazione sia recettizia sia verso il promittente che verso lo stipulante;
- si considera ammissibile l’opzione a favore di terzo (onde il potere unilaterale di accettare la proposta contrattuale del concedente viene attribuito dallo stipulante, per l’appunto, ad un terzo), l’art.1411 c.c. forgiando uno schema di tipo generale applicabile ad una pluralità eterogenea di rapporti contrattuali dai quali possono scaturire del pari eterogenee situazioni giuridicamente rilevanti, tra le quali appunto anche la soggezione tipica del concedente e la potestà tipica dell’opzionario.
Quale è la natura giuridica dell’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo?
Si tratta di una domanda alla quale può rispondersi in modo diverso a seconda di come si qualifichi la causa nel contratto a favore di terzo:
- si tratta dell’interesse del creditore ex art.1174 c.c., ovvero l’interesse del creditore alla prestazione che, tuttavia, viene effettuata a favore del terzo (tesi abbracciata dalla relazione al codice civile); si guarda allora ad una causa tutta interna al contratto (a favore di terzo) che viene siglato tra stipulante e promittente. Poiché tuttavia nel contratto a favore di terzo previsto dal codice gli effetti a favore del terzo vengono esplicitati nel contratto e non restano un effetto meramente interno tra le parti, acquisendo il terzo un proprio ed autonomo diritto soggettivo di credito, la tesi non viene assunta soddisfacente;
- si tratta non dell’interesse alla prestazione, in quanto questa viene effettuata dal promittente al terzo, e non allo stipulante, ma di altro interesse meritevole di tutela ex art.1322 c.c.; si guarda ad una causa che non è interna al contratto tra stipulante e promittente, ma che è piuttosto esterna, e che giustifica la disposizione patrimoniale che lo stipulante fa al terzo avvalendosi della prestazione del promittente, onde lo stipulante ha un interesse meritevole di tutela a che il promittente adempia nei confronti del terzo secondo uno schema causale che, pur lambendolo, in realtà non entra nella struttura del contratto a favore di terzo, rimanendovi estraneo e coinvolgendo solo il rapporto tra stipulante e terzo beneficiario. Ove lo stipulante sia privo di interesse, o il suo interesse si configuri come illecito, si è al cospetto di una mancanza o di una illiceità non già del contratto a favore di terzo (intercorso con il promittente), quanto piuttosto della disposizione patrimoniale (a titolo di donazione, di scambio, di adempimento od altro) che coinvolge da un lato lo stipulante e dall’altro il terzo Poiché tuttavia in astratto qualunque contratto potrebbe essere calato nello schema del contratto a favore di terzo, come dimostrano talune specifiche ipotesi tipizzate (il caso più noto è l’assicurazione sulla vita ex art.1920 c.c., ma si possono richiamare anche il trasporto di cose a favore del terzo ex art.1689 cc.; il deposito nell’interesse del terzo ex art.1773 c.c. e la rendita vitalizia a favore del terzo ex art. 1875 c.c.), viene considerato riduttivo assumere l’interesse dello stipulante quale interesse autonomo rispetto al predetto (e generalizzato) schema contrattuale, limitandolo ai soli rapporti tra stipulante e terzo beneficiario senza che alcuna rilevanza assuma la posizione del promittente;
- si tratta di un interesse che va collocato al centro di due rapporti che si intersecano tra loro, ovvero il rapporto di valuta (tra stipulante e terzo beneficiario) e quello di provvista (tra stipulante e promittente); per quanto concerne il rapporto di valuta (con il terzo beneficiario), l’interesse dello stipulante può essere giustificato dallo spirito di liberalità (causa donandi) ovvero dalla necessità di controprestare a fronte di una prestazione ricevuta dal terzo (causa di scambio o corrispettiva), ovvero ancora dalla necessità di adempiere ad una obbligazione assunta verso il terzo (causa solvendi); lo spostamento patrimoniale tra stipulante e terzo deve dunque essere giustificato, e tale giustificazione causale deve affiorare dal contratto con il promittente, avendo le parti (stipulante e promittente) piena consapevolezza che la prestazione del promittente sarà indirizzata a beneficio del terzo per soddisfare un interesse dello stipulante nei confronti di quest’ultimo; per quanto concerne invece il rapporto di provvista, deve sussistere un interesse (anche) del promittente a sorreggere lo spostamento patrimoniale a favore del terzo: interesse che può essere personale (atto di liberalità nei confronti del terzo) ovvero patrimoniale (corrispettivo rispetto ad una prestazione ricevuta dallo stipulante). Da questo prisma ermeneutico, l’interesse dello stipulante (in rapporto al terzo) si profila collegato all’interesse del promittente (rispetto allo stipulante e al terzo), affiorando una causa complessa tipica dello schema contrattuale del contratto a favore di terzo;
- muovendo da quest’ultima tesi, se difetta l’interesse dello stipulante, il contratto non è allora nullo tout court, ma solo laddove sia da ritenersi che – in difetto di attribuzione del beneficio al terzo – le parti (promittente e stipulante) non lo avrebbero stipulato (art.1419 c.c.), rimanendo esso altrimenti valido con prestazione da effettuarsi, da parte del promittente, allo stipulante e non al terzo.
Quale è, più precisamente, la posizione del terzo laddove sia stipulato un contratto a relativo favore?
- acquista il diritto di credito verso il promittente immediatamente e per effetto della sola stipulazione;
- la dichiarazione di voler profittare ha effetti legali tipici, ma non condiziona l’acquisto del diritto, non essendo tecnicamente una accettazione; l’acquisto del diritto è invece (risolutivamente) condizionato alla revoca o alla modifica da parte dello stipulante (con prestazione reindirizzata sullo stipulante medesimo o su altro soggetto terzo), ma solo fino al momento della dichiarazione del terzo di voler profittare;
- l’acquisto del diritto da parte del terzo, normalmente immediato, può essere sottoposto dalle parti contraenti (stipulante e promittente) ad un termine o ad una condizione;
- il terzo può rifiutare la prestazione a proprio favore in quanto res inter alios acta, sia perché alla prestazione medesima potrebbero essere associati oneri patrimoniali non graditi, sia anche solo per ragioni morali; il rifiuto è, a seconda delle diverse tesi: d.1) condizione risolutiva rispetto all’acquisto del diritto alla prestazione a proprio favore; d.2) rinuncia al diritto alla prestazione a proprio favore; d.3) atto volto a togliere efficacia alla stipulazione, quale atto di terzi che ingerisce arbitrariamente nella relativa sfera giuridica;
- la prestazione del promittente può essere rinviata, quanto a relativa esecuzione, ad un momento successivo alla morte dello stipulante (post mortem: art.1412 c.c.): si tratta di fattispecie peculiare in cui, anche laddove il terzo dichiari di voler profittare, lo stipulante può comunque revocare il beneficio nel testamento (a meno che non abbia rinunciato per iscritto a tale potere di revoca); se il terzo muore prima dello stipulante, beneficiari della prestazione saranno i relativi eredi (sempre alla morte dello stipulante), salva ancora una volta la possibilità di revoca e l’eventuale diversa volontà dello stipulante;
- il terzo ha azione autonoma verso il promittente, se del caso con intervento ad adiuvandum dello stipulante; laddove il promittente non adempia nei confronti del terzo, lo stipulante può opporgli l’eccezione di inadempimento; il credito del terzo verso il promittente è autonomo, ma derivato dal rapporto di provvista tra promittente e stipulante, onde il promittente può a propria volta opporre al terzo beneficiario le eccezioni che derivano dal rapporto di provvista con lo stipulante (ma non quelle che derivino da rapporti diversi con lo stipulante).
Cosa accomuna e cosa separa il contratto a favore di terzo rispetto al contratto con effetti protettivi verso terzi e al contratto con finalità protettive del terzo?
- si tratta sempre di sostanziali eccezioni al principio di relatività del contratto ex art.1372 c.c.;
- il contratto può produrre effetti diretti nei confronti delle parti ed effetti riflessi nei confronti dei terzi;
- tali riflessi possono rivelarsi dannosi per il terzo, che può agire ex art.2043 c.c. e, secondo taluni (in accordo con gli studi della dottrina tedesca), anche a titolo contrattuale, proprio superando il principio di stretta relatività del contratto;
- si tratta di valorizzare il canone di solidarietà di cui all’art.2 della Costituzione ed il connesso principio di buona fede oggettiva contrattuale, interpretando in modo costituzionalmente orientato l’art.1372c.;
- le parti hanno l’obbligo di comportarsi con correttezza e diligenza non solo nei rapporti tra loro, ma anche al fine di scongiurare danni a chi, terzo, sia inerente o comunque prossimo rispetto alla fase esecutiva del contratto divisato;
- in sostanza, laddove dall’esecuzione del contratto derivino danni a soggetti terzi “prossimi” a tale esecuzione, e come tali destinatari di un effetto protettivo scaturente dal contratto medesimo, questi ultimi possono agire per il risarcimento dei danni a titolo contrattuale nei confronti del contraente inadempiente;
- quando allora l’art.1372 parla di casi previsti dalla legge in cui il contratto produce effetti verso terzi, esso, interpretato in modo costituzionalmente orientato, fa riferimento a quei terzi che – in disparte l’obbligo avente ad oggetto la prestazione principale dedotta in contratto – sono destinatari di obblighi collaterali, diversi ed ulteriori, che garantiscono effetti protettivi nei confronti di tali terzi;
- mentre nel contratto a favore di terzo, il terzo è individuato nel contratto come creditore della prestazione principale dedotta in contratto e diviene creditore di tale prestazione immediatamente per effetto della sola stipula del contratto medesimo (potendo peraltro anche intervenire la modifica o la revoca da parte dello stipulante fino a dichiarazione di volerne profittare), nel caso del contratto ad effetti protettivi il terzo entra in gioco solo in fase esecutiva del contratto e solo laddove subisca un pregiudizio, e dunque un danno, in violazione dei collaterali obblighi di correttezza e buona fede gravanti sulle parti contrattuali e che impongono loro di comportarsi in modo da preservare i terzi coinvolti nell’esecuzione del contratto proteggendoli in misura adeguata e scontando in caso contrario l’inadempimento ex art.1218 c.c.;
- il contratto con effetti protettivi a favore di terzi vede questi ultimi non identificabili a priori, trattandosi dei terzi coinvolti nella esecuzione del contratto stipulato inter alios; ciò teoricamente lo differenzia (ma tale distinzione è più dottrinale che pretoria, accomunando la giurisprudenza tutte le fattispecie sotto il cappello categoriale appunto dei “contratti con effetti protettivi dei terzi”) dal “contratto con finalità protettiva del terzo”, nel cui contesto il terzo da proteggere è invece subito individuato ed additato come tale in sede di stipula tra i paciscenti originari, almeno uno dei quali riveste una posizione di garanzia rispetto appunto al terzo previamente individuato e normalmente incapace, che come tale è da considerarsi destinatario specifico, immediato e diretto (e non riflesso) della prestazione di protezione; si tratta delle ipotesi: i.1) del contratto tra gestante e medico, in cui il terzo da proteggere è il concepito (che non ha né capacità giuridica, né tampoco capacità di agire, e dunque non può tecnicamente essere terzo nel senso di cui all’art.1411 c.c., non essendo capace di divenire immediatamente titolare di un diritto di credito nei confronti del promittente); i.2) del contratto tra familiare e casa di cura o tra familiare e badante, o ancora tra famliiare e baby sitter, in cui il terzo da proteggere (anziano o minore) è il parente in stato di incapacità (che quand’anche dotato di capacità giuridica, non ha tuttavia capacità di agire o la ha ridotta).
In cosa si risolve strutturalmente la promessa del fatto del terzo?
- E’ una fattispecie (art.1381 c.c.) di “contratto sul patrimonio del terzo”, che la dottrina accosta ad altre due ipotesi, ovvero la vendita di cosa del terzo (art.1478 c.c.) e la concessione di ipoteca su bene altrui (art.2822 c.c.);
- si promette in modo “reale” il fatto di un terzo, ovvero si promette in modo “obbligatorio”, avendo ad oggetto la promessa l’assunzione di un obbligo da parte del terzo;
- la promessa è inefficace per il terzo, palesandosi per lui svantaggiosa;
- si tratta di un’obbligazione (direttamente) di “dare”: versare al promissario l’indennità (e dunque di una obbligazione pecuniaria), sospensivamente condizionata al rifiuto del terzo di compiere il fatto o di assumere l’obbligo divisato (tesi giurisprudenziale più remota); una tesi che sembra tuttavia non tenere conto del fatto che la promessa ha ad oggetto il fatto o l’obbligo del terzo, che è ciò che ha veramente di mira l’oblato, e non l’indennità (che scatta solo in via sussidiaria e secondaria); vi è poi un paradosso che si profila quando l’oblato paga un corrispettivo per la promessa, in quanto se – all’atto della stipula – al corrispettivo si giustappone l’indennità, laddove il fatto del terzo abbia luogo scatta la condizione sospensiva, l’indennità non è più dovuta e l’originario pagamento del corrispettivo potrebbe profilarsi senza una reale giustificazione causale; si replica tuttavia che in realtà, anche laddove l’indennizzo sia soggetto a condizione sospensiva, il sinallagma avvince sempre e comunque la promessa da un lato ed il vantaggio che l’oblato eroga al promittente dall’altro, sicché l’indennizzo (quale effetto dell’evento condizionante, ovvero il rifiuto del terzo di compiere il fatto o di obbligarsi) resta sempre sullo sfondo quale forma di ristoro residuale per il vantaggio senza contropartita che l’oblato ha ottenuto al promittente;
- si tratta di una obbligazione di “facere”, e precisamente di una obbligazione di mezzi assunta dal promittente, restando il risultato al di fuori dell’obbligo assunto, che ha ad oggetto il solo sforzo diligente orientato a far sì che il terzo compia il fatto promesso ovvero assuma l’obbligo divisato; se non vi è sforzo diligente del promittente, si è al cospetto di un vero e proprio inadempimento che obbliga al risarcimento del danno, mentre se l’obbligo di mezzi viene adempiuto ma il risultato non viene raggiunto, il promittente deve al promissario un mero indennizzo (tesi giurisprudenziale recente);
- si tratta di una obbligazione di risultato, in quanto il promittente non si obbliga solo a profondere lo sforzo diligente necessario (cura) a convincere il terzo a compiere il fatto o ad assumere l’obbligo divisati, ma si obbliga a garantire al promissario il raggiungimento di questo risultato (effectus), tanto che si parla in proposito di “cura cum effectu” (tesi dottrinale): al di là dei dubbi che circondando la stessa distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, si tratta di una tesi che sconta il fatto che l’opera del terzo si colloca in realtà al di fuori dell’effettivo potere di controllo del promittente;
- si tratta di una obbligazione che non ha ad oggetto né un dare (l’indennità) né un facere (lo sforzo orientato a sospingere il terzo verso il fatto o verso l’obbligo divisati), quanto piuttosto un praestare, ovvero un garantire in via autonoma al promissario quale pura prestazione di sicurezza giusta assunzione di un rischio. Si tratta dunque di una forma di contratto autonomo di garanzia nella cui economia un rischio che normalmente cadrebbe sull’oblato (il terzo farà quella tal cosa? Si obbligherà in quel tal senso?) viene assunto dal promittente, e laddove il rischio si concretizzi, l’oblato potrà dirsi sollevato dalle conseguenze pregiudizievoli in forza del pagamento dell’indennità;
- la promessa del fatto del terzo non produce effetti reali e non è assimilabile allo schema preliminare-definitivo, onde non deve rivestire necessariamente la stessa forma del negozio oggetto della promessa, in quanto l’impegno del promittente va assunto autonomo rispetto a quello (eventualmente) assunto dal terzo; ove tuttavia sia contenuta in un negozio formale, assume la forma del negozio al quale accede;
- essa può inserirsi in un contratto a prestazioni corrispettive, ovvero in un contratto con prestazione a carico del solo proponente (che promette l’obbligazione o il fatto del terzo), e in questo secondo caso è applicabile lo schema di cui all’1333 c.c.;
- laddove si prometta l’obbligo del terzo, nel momento in cui il terzo si obbliga, il promittente va considerato adempiente, anche se poi il terzo si renda inadempiente all’obbligo assunto a valle della promessa.
Quando la impossibilità di fatto o la illiceità colpisono il fatto del terzo o l’obbligazione del terzo promessi, quali sono gli effetti sulla promessa?
- genericamente, la promessa è nulla per difetto originario di causa, non potendo essere soddisfatto l’interesse dell’oblato;
- tesi dell’obbligo di facere: la promessa ha ad oggetto un fatto o una obbligazione impossibili o illeciti, sicché la stessa promessa va assunta nulla perché impossibile o illecita;
- tesi della garanzia: la promessa va assunta nulla per carenza originaria dell’oggetto garantito in quanto – collocandosi a monte – non vi è nulla di incerto da garantire da parte del promittente.
Che cosa compendia a livello di natura giuridica l’indennità prevista dall’art.1381 c.c.?
- si tratta di un vero e proprio indennizzo, da non riconnettersi ad un illecito;
- si tratta di un vero e proprio risarcimento del danno, ricollegabile ad un inadempimento del promittente;