Cass. pen., III, ud. dep. 03.03.2022, n. 7631
MASSIMA
L’ordine di demolizione ha natura amministrativa, configurandosi quale sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione. Stante la natura amministrativa dell’ordine di demolizione, si è coerentemente negata l’estinzione della sanzione per il decorso del tempo, ai sensi dell’art. 173 c.p., la quale si riferisce alle sole pene principali, e comunque non alle sanzioni amministrative; ed è stata altresì negata l’estinzione per la prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative, stabilita dall’art. 28, I. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto riguardante le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, mentre l’ordine di demolizione integra una sanzione “ripristinatoria”, che configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio.
Le caratteristiche della sanzione amministrativa in esame – che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso – non consentono di ritenerla “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza di tutti motivi, che sono stati rigettati dalla Corte di appello con motivazione immune da violazioni di legge e da profili di illogicità, e con la quale il ricorrete omette di misurarsi criticamente.
- Il primo motivo è inammissibile. In disparte del fatto che non è chiaro, dalla lettura del ricorso, il motivo in relazione al quale sarebbe competente l’autorità amministrativa a disporre l’esecuzione dell’ordine di demolizione e che la Corte di appello, in risposta al motivo qui riproposto, ha escluso l’incompetenza della Procura Generale in quanto la direttiva indicata dalla difesa, che pare riferirsi alle esecuzioni fino al 28 novembre 1997, non è comunque applicabile alla vicenda in esame, essendo il passaggio in giudicato della sentenza avvenuto il 2 aprile 1998, in ogni caso è dirimente osservare che, come già affermato da questa Corte, spetta al pubblico ministero la competenza ad eseguire l’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna per violazione della normativa urbanistica, essendo vincolato nello svolgimento di tale attività solo al rispetto della legge e non all’osservanza di circolari interpretative del dato normativo emesse dalla pubblica amministrazione o di direttive adottate da uffici requirenti diversi da quello di appartenenza per disciplinare le modalità della sua azione (Sez. 3, n. 28781 del 16/05/2018, dep. 21/06/2018, Milano, Rv. 273359).
- Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
3.1. Invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità – con il quale il ricorrente omette di confrontarsi – l’ordine di demolizione ha natura amministrativa, configurandosi, appunto, quale sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (ex multis, Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016 – dep. 30/12/2016, Fontana, Rv. 268844; Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, Russo, Rv. 258518; Sez. 3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; si veda anche Sez. U, n. 15 del 19/06/1996 – dep. 24/07/1996, P.M. in proc. Monterisi, Rv. 205336). Stante la natura amministrativa dell’ordine di demolizione, si è coerentemente negata l’estinzione della sanzione per il decorso del tempo, ai sensi dell’art. 173 cod. pen., la quale si riferisce alle sole pene principali, e comunque non alle sanzioni amministrative (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 – dep. 15/12/2015, P.M. in proc. Delorier, Rv. 265540; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670); ed altresì è stata negata l’estinzione per la prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative, stabilita dall’art. 28 I. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto riguardante le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, mentre l’ordine di demolizione integra una sanzione “ripristinatoria”, che configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio (Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015 – dep. 09/09/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, Sentenza n. 16537 del 18/02/2003, Filippi, Rv. 227176).
Sulla scorta di tale ricostruzione, è stata perciò dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa – che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso – non consentono di ritenerla “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all’art. 117 Cost. (Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016 – dep. 04/10/2016, Porcu, Rv. 267977).
3.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha espressamente richiamato e applicato i principi poc’anzi richiamati, qui da ribadire, sicché l’ordinanza impugnata deve essere confermata.
- Il terzo motivo è inammissibile.
4.1. Va ricordato che l’applicazione del condono dall’art. 32, comma 25, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modif. da I. 24 novembre 2003, n. 326 esige, tra l’altro, il concomitante rispetto di un duplice limite di cubatura: 750 mc in relazione a ciascuna unità abitativa, e 3.000 mc in relazione all’intera costruzione.
4.2. Orbene, questa Corte ha sempre interpretato l’art. 39, comma 1, I. n. 724 del 1994, nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest’ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso edificatorio (ex multis, cfr. Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013 – dep. 17/03/2014, Cantiello, Rv. 259292; Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Merra, Rv. 231643; Sez. 3, n. 16550 del 19/02/2002, Zagaria, Rv. 223861; Sez. 4, n. 36794 del 24/01/2001, Murica, Rv. 220592).
4.3. Dalle considerazioni che precedono, ne discende che non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l’unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l’espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015 – dep. 18/05/2015, Esposito, Rv. 263639). Il riferimento oggettivo all’unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce, perciò, che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era (ed è) quella di sanare abusi modesti. Ancora di recente, si è affermato che in materia di condono edilizio disciplinato dalla legge 24 novembre 1994, n. 724, ai fini dell’individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera. Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016 – dep. 24/10/2016, Boccia, Rv. 269280: fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inapplicabile il condono, essendo emerso che l’immobile era stato interamente realizzato ed era di proprietà di un unico soggetto).
4.4. Nel caso in esame, la Corte di appello si è attenuta ai principi ora richiamati, correttamente evidenziando come, con ordinanza del 17 luglio 2018, le cui statuizioni, non essendo stata impugnata, sono definitive, la medesima Corte, sempre in funzione di giudice dell’esecuzione, avesse ritenuto che la presentazione separata (e non per l’intero immobile) di tre distinte domande di condono tutte afferenti la medesima proprietà abbia consentito l’aggiramento del limite di 750 mc., e considerando che la destinazione non residenziale delle opere in oggetto non solo non è stata in alcun modo dimostrata, ma è contraddetta dalla successiva richiesta della difesa, la quale invoca il rispetto dei diritti sanciti dalla Costituzione e dalla CEDU, deducendo che una parte dei beni risultano abitati da Antonella Riggio, a riconferma della destinazione residenziale del manufatto.
- Il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono manifestamente infondati.
5.1. Secondo il constante orientamento assunto da questa Sezione, qui da confermare, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” all’inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato (Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016 – dep. 06/05/2016, Contadini e altro, Rv. 267024). In motivazione, la Corte ha osservato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l’opposto principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento – in luogo della confisca – delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Invero, nel noto caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009 la Corte EDU ha affermato che l’interesse dell’ordinamento è quello di abbattere l’immobile abusivamente realizzato, sottolineando i giudici europei come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati, “demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti”, anziché procedere alla confisca dei medesimi. Proprio da tale inciso è quindi evidente come la stessa Corte europea consideri del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l’ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all’abitazione dell’immobile abusivamente realizzato.
5.2. Nello stesso senso si colloca una decisione più recente, in cui si è affermato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018 – dep. 04/06/2018, Ferrante, Rv. 273368).
5.3. Invero, nell’ordinamento italiano l’ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, dunque, non è quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l’autore dell’illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando quell’equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti – ciascuno per la propria competenza – hanno voluto stabilire. Al punto che tale ordine, quando imposto dall’autorità giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l’omologo ordine emesso dall’autorità amministrativa, ferma restando la necessità di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva (tra le molte, Sez. 3, n. 55295 del 22/9/2016, Fontana, Rv. 268844).
5.4. In un caso del genere, le posizioni giuridiche soggettive trovano sì espressione nell’art. 8 CEDU (a tenore del quale “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”), così come negli artt. 14-15 Cost., ma esse non afferiscono al caso di specie, nel quale l’ordinamento intende non violare in astratto il diritto individuale di un soggetto a vivere nel proprio domicilio legittimo, bensì riaffermare in concreto il diritto collettivo a rimuovere la lesione di un bene (del pari) costituzionalmente tutelato, quale il territorio, eliminando le conseguenze dell’abuso riscontrato e così ripristinando quell’equilibrio già sopra richiamato.
5.5. Del pari, non può esser qui neppure invocata la sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale il diritto all’abitazione di cui al citato art. 8 – tra cui dovrebbe annoverarsi, nella lettura del ricorrente, anche l’abitazione abusiva – richiede una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l’interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio. Va, al riguardo, osservato che la Corte EDU, nella decisione in esame, ha ribadito la legittimità “convenzionale” della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell’interessato. Tenuto conto, in particolare, del fatto che il problema dell’edilizia abusiva è diffuso in Bulgaria, al fine di garantire l’efficace attuazione della regola per cui gli edifici non possono essere costruiti senza permesso, la Corte EDU ha affermato che l’ordine di demolizione costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria “alla difesa dell’ordine” e alla promozione del “benessere economico del paese”, ai sensi dell’art. 8. Tuttavia, per quanto riguarda la necessità di tale interferenza, la Corte EDU ha ritenuto i rimedi interni, previsti nell’ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione – anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile – dovrebbe in linea di principio disporre della possibilità che la valutazione della proporzionalità di tale misura (che comporta la perdita dell’abitazione) sia effettuata da un giudice indipendente. Di conseguenza, il rispetto del principio di proporzionalità impone che l’autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione ai sensi dell’art. 8 CEDU (o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rileva) e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo, sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà “reale” sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire. In altri termini, il rispetto del principio di proporzionalità implica, a carico dell’autorità giudiziaria, una valutazione, nel singolo caso concreto, se l’esecuzione dell’ordine di demolizione possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione ai sensi dell’art. 8 CEDU e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo. Ciò comporta che sia il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se demolire la casa di abitazione abusivamente costruita sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire prevedendo la demolizione. Infine, va evidenziata l’affermazione della Corte EDU laddove esclude che l’ordine di demolizione contrasti con l’art. 1 del protocollo n.1 (protezione della proprietà). Sul punto, la Corte EDU (§ 75) afferma, da un lato, che l’ordine di demolizione dell’immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l’obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio; dall’altro, che l’ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento è al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell’8 novembre 2005), ciò che non deve essere trascurato in vista della diffusività del problema delle costruzioni abusive in Bulgaria.
5.6. Quest’orientamento è stato recentemente ribadito dalla Corte EDU con la sentenza del 4 agosto 2020, Kaminskas c. Lituania, la quale ha escluso la violazione del diritto all’abitazione tutelato dall’art. 8 CEDU nell’ipotesi in cui l’ordine di demolizione dell’abuso edilizio riguardi un immobile costituente l’unica abitazione del contravventore e quest’ultimo sia un soggetto in età avanzata e si trovi in precarie condizioni reddituali, qualora la situazione personale del destinatario dell’ordine demolitorio non assuma un peso determinante a fronte della consapevole realizzazione della costruzione edilizia in un’area vincolata paesaggisticamente, in assenza di qualsivoglia autorizzazione. La Corte EDU, in particolare, pur dimostrandosi consapevole della difficile situazione personale del ricorrente in considerazione della sua età avanzata, delle cattive condizioni di salute e del basso reddito, ha tuttavia evidenziato come i giudici lituani avessero congruamente comparato gli interessi del ricorrente con l’interesse pubblico generale per la conservazione delle foreste e dell’ambiente. Inoltre, e soprattutto, ha considerato che né l’età del ricorrente, né le altre circostanze personali potessero avere un peso determinante, in considerazione del fatto che egli aveva consapevolmente costruito l’abitazione in un’area protetta senza alcuna autorizzazione. Di conseguenza, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che le autorità nazionali avessero correttamente valutato tutte le circostanze pertinenti e affrontato adeguatamente gli argomenti prospettati dal ricorrente in merito alla sua situazione individuale.
5.7. Nel caso di specie, non solo la Corte d’appello ha correttamente richiamato i principi ora evocati, ma il motivo è del tutto generico. A ciò si aggiunge l’ulteriore considerazione che il ricorrente nemmeno ha dato prova di aver interpellato i servizi sociali per ottenere un’altra soluzione abitativa nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica, tenuto anche conto del fatto che l’ordine di demolizione è suscettibile di esecuzione sin dal 1998 e, nonostante ciò, il ricorrente è sempre stato totalmente inerte.
5.8. Le medesime considerazioni valgono con riferimento all’asserita violazione del principio di proporzionalità in conseguenza della normativa nazionale per contrastare la pandemia da Covid 19: non solo tale disciplina ha progressivamente allentato le misure restrittive per fronteggiare tale pandemia, ma, in ogni caso, risultano del tutto indimostrate le condizioni economiche “disastrose” in cui verserebbe la figlia del ricorrente, anche considerando, come si è detto, la totale inerzia mantenuta sin dal 1998 nel trovare soluzioni abitative nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica.
- Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.