<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> Consiglio di Stato, VI – sentenza del 14/10/2019 n. 6975</strong></p> <p style="text-align: justify;">La controversia esaminata dal Consiglio di Stato principia dalla seguente vicenda.</p> <p style="text-align: justify;">FATTO</p> <p style="text-align: justify;">Un privato cittadino impugnava innanzi al Tar Sardegna l’atto comunale del 9/01/2018, con il quale l’ente locale dichiarava l’inefficacia di una DIA presentata dal ricorrente il 28/11/2014 (la DIA riguardava un intervento edilizio per la realizzazione di un piano rialzato in un fabbricato oggetto di sanatoria).</p> <p style="text-align: justify;">Con la sentenza n. 761/2018, il Tar Sardegna accoglieva il ricorso del privato, in quanto il Comune non aveva comunicato l’avvio del procedimento e aveva altresì violato il termine di decadenza di 18 mesi per l’esercizio del potere di autotutela.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, il Comune proponeva appello, lamentando due ordini di censure, relative ai vizi dedotti dal privato. La parte appellata si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio giudicante, il gravame interposto dal Comune era infondato per le seguenti ragioni giuridiche.</p> <p style="text-align: justify;">DIRITTO</p> <p style="text-align: justify;">Preliminarmente, il Consiglio di Stato riteneva opportuno un inquadramento dei principi in tema di autotutela edilizia.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, il supremo consesso amministrativo rappresentava che, anche i provvedimenti di annullamento in autotutela erano attratti all’alveo normativo dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, la quale, a seguito delle riforme introdotte dal legislatore, ha riconfigurato il relativo potere, attribuendo all’Amministrazione un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la comparazione tra l’interesse pubblico e l’affidamento del destinatario dell’atto.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, per il Collegio, che richiamava i principi espressi dall’Adunanza Plenaria (Consiglio di Stato n. 8 del 2017), i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi erano i seguenti: 1) illegittimità del provvedimento; 2) interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione del provvedimento; 3) considerazione delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.</p> <p style="text-align: justify;">Il Consiglio di Stato riteneva applicabili detti principi anche all’istituto della DIA. In particolare, il supremo consesso amministrativo evidenziava che la DIA, una volta decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace, che può essere rimosso, per espressa previsione di legge, solo tramite l’esercizio del potere di autotutela decisoria.</p> <p style="text-align: justify;">Ne conseguiva che, l’adozione, da parte di un’amministrazione comunale, di un provvedimento repressivo-inibitorio della d.i.a. oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della medesima e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento, doveva ritenersi illegittima.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Consiglio di Stato doveva ribadirsi il principio di diritto in forza del quale, l’annullamento del provvedimento formatosi sulla d.i.a., oltre a dover essere preceduto dall’avviso di avvio del procedimento (ai fini della partecipazione al procedimento del soggetto passivo), va accompagnato dal rispetto di tutte le forme sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela: 1) tempo ragionevole per l’adozione del provvedimento di secondo grado, 2) comparazione dell’interesse pubblico con l’aspettativa del privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio giudicante, le motivazioni della sentenza di primo grado sul punto erano pienamente coerenti con i principi sopra richiamati. In proposito, secondo il Consiglio di Stato, un’adeguata e completa comunicazione appariva più che necessaria, dato che, nel caso di specie, il potere di autotutela veniva esercitato dopo diversi anni dal formarsi del titolo.</p> <p style="text-align: justify;">Nell’esaminare il secondo motivo di appello, il supremo consesso amministrativo rappresentava, in via di inquadramento, che il termine di 18 mesi previsto dal nuovo articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990 non può applicarsi in via retroattiva.</p> <p style="text-align: justify;">In seconda battuta, il Consiglio di Stato affermava il principio secondo il quale, detto termine di 18 mesi previsto per l’esercizio del potere di autotutela, può essere superato dalla p.a. solo nei casi in cui l’attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, sia falsa e penalmente rilevante; ovvero quando l’erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile all’Amministrazione, ed imputabile per contro al dolo della parte.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio giudicante riteneva che, nel caso in esame, da un lato, non era stata fornita alcuna prova di dolo della parte privata; e dall’altro, la motivazione del provvedimento inibitorio del Comune era stata perplessa e carente.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, il Consiglio di Stato rigettava anche il secondo motivo di impugnazione, respingendo in toto l’appello e compensando le spese di lite.</p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alessandro Piazzai</em></p>