Corte di Cassazione penale, Sezione III, sentenza 16 luglio 2024, n. 28545
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza del giudice penale ha natura di sanzione amministrativa da cui consegue l’inapplicabilità dell’estinzione della misura per il decorrere del tempo prevista per le sanzioni penali dall’art. 173 cod. pen.
Con il passaggio in giudicato della sentenza contenente l’ordine di demolizione di cui all’art. 31 comma 9 D.P.R. 380/2001, il destinatario, qualora nel possesso del bene è immediatamente tenuto a darvi esecuzione”, onde nel caso in cui il procedimento di esecuzione sia determinato dalla prolungata inerzia del condannato, è da escludere che lo stesso possa dolersi del tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza invocando la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
- Assume il ricorrente che la demolizione del manufatto abusivo, se ingiunta, come nel caso di specie, dopo oltre ventisei anni dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva accertato l’abuso edilizio, costituisce sanzione penale (per come sancito dalla Corte EDU nelle del 27/2/2008 nella causa Hamer c. Belgio) per cui la sua esecuzione comporterebbe una violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, risultando l’art. 6 CEIDU applicabile anche alla fase esecutiva (come precisato nelle sentenze Burdov c. Russia del 7/E5/2002, Immobiliare Saffi c. Itala del 28/7/1999; Hornsby c. Grecia, 19/3/1997).
Lamenta, quindi, che tale profilo sarebbe stato del tutto ignorato dalla Corte territoriale.
Il motivo è manifestamente infondato.
- L’ordinanza riprende principi ormai consolidati in sede di legittimità, primo fra tutti la natura di sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza del giudice penale cui consegue l’inapplicabilità dell’estinzione della misura per il decorrere del tempo prevista per la sanzioni penali dall’art. 173 cod. pen. (ex plurimis Sez. 3, n. 35835 del 3/11/2020, Santoro; Sez. 3, n. 11638 del 16/12/2020 (dep. 2021), Ciucci; Sez. 3, n.671 del 19/11/2020, Monti).
- L’incidenza della pronuncia della Corte EDU Hamer c. Belgio su tale conclusione è stata già valutata da questa Corte ed esclusa in base a molteplici considerazioni Sez. 3, n. 35835 del 3/11/2020, Santoro, ha messo in rilievo che la sentenza della Corte EDU, “ai fini dell’affermazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ha preso in considerazione il tempo trascorso tra la data della constatazione dell’illecito edilizio da parte dell’autorità di polizia e la decisione finale della Corte di cassazione, pari a quasi nove anni, e non anche l’ulteriore periodo maturato tra questa decisione e la demolizione del manufatto.
E, ancora, ha precisato che l’unico danno risarcibile era quello collegato alla irragionevole durata del procedimento, e lo ha liquidato in 5.000,00 euro, escludendo espressamente che da questo ritardo fosse derivato un danno ingiusto da perdita del bene, il cui valore era stato stimato in circa Euro 62.635,00, o alle spese di riparazione e ristrutturazione sostenute, pari a Euro 43.865,46, o ad un maggior danno morale, come richiesto dal ricorrente”;
Sez. 3, n. 11638 del 16/12/2020, Ciucci, e Sez. 3, n. 671 del 19/11/2021, Monti, hanno ribadito che l’ordine di demolizione ha natura di sanzione amministrativa, per cui non è sottoposto alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen., hanno richiamato i precedenti che avevano dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 31 del D.P.R. 309/90 avanzata in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., ed hanno ritenuto la pronuncia della Corte EDU in esame “non pertinente” alla vicenda sub iudice, in cui era stata lamentato che la demolizione era stata ingiunta dopo molti anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, rilevando che la decisione dei giudici di Strasburgo era stata assunta “tenendo anche conto del fatto che il procedimento penale conclusosi con l’ordine di demolizione era stato avviato, nel 1994, a distanza di 27 anni dalla data della scoperta dell’abuso (risalente al 1967) e che si era peraltro concluso, con riconosciuta violazione della ragionevole durata del processo, soltanto nove anni dopo, nel 2003”;
Sez. 3, n. 47300 del 30/11/2021, Baiocco, oltre a valorizzare le conseguenze prodotte sull’esecuzione dell’ordine di demolizione dalla domanda di condono edilizio inoltrata dal condannato, ha confutato l’argomento difensivo prospettante l’illegittimità dell’ordine di demolizione per effetto “dello sproporzionato arco temporale intercorso tra la sua messa in esecuzione e la scoperta dell’illecito”, mettendo in evidenza che l’obbligo di provvedere alla demolizione incombeva, in prima battuta, sul condannato, per cui era “quanto meno singolare che malgrado il vantaggio di cui hanno indebitamente fruito, siano i destinatari dell’ingiunzione demolitoria emessa dal Pubblico Ministero, consapevolmente rimasti inerti, a dolersi del tempo trascorso senza che l’ordine demolitorio sia stato eseguito“;
Sez. 3, n. 21198 del 15/2/2023, Esposito, riprende e approfondisce l’argomentazione appena esposta rilevando che ” il condannato non può lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine”.
- Tali pronunce rivelano l’errore di fondo cui è incorso il ricorrente che ha ritenuto che la violazione della ragionevole durata del processo fosse da parametrare all’arco temporale intercorso fra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e la notifica dell’ingiunzione a demolire. Sennonché, nel caso dell’ingiunzione contestata, si versa in una fase processuale successiva a quella di cognizione e del tutto “eventuale, posto che, con il passaggio in giudicato della sentenza contenente l’ordine di demolizione di cui all’art. 31 comma 9 D.P.R. 380/2001 , il destinatario, qualora nel possesso del bene è immediatamente tenuto a darvi esecuzione” (Sez. 3, n. 671 del 19/11/2021, Monti).
Per cui, essendo stato il procedimento di esecuzione determinato dalla prolungata inerzia del condannato, è da escludere che lo stesso possa dolersi del tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza.
Va anche segnalato che le sentenze della Corte EDU richiamate dal ricorrente sono tutte relative a ritardi nell’attuazione di provvedimenti favorevoli al privato (la sentenza Burdov c. Russia relativa all’erogazione di una prestazione previdenziale riconosciuta dagli organi giurisdizionali senza che alle decisioni fosse stata data esecuzione; la sentenza Immobiliare Saffi contro Italia è relativa al ritardo nell’esecuzione di uno sfratto; la pronuncia Hornsby c. Grecia ebbe a oggetto il diritto del privato all’apertura di una scuola in lingua inglese) mentre, nel caso di specie, la sentenza rimasta inattuata è di condanna e gli eventuali ritardi nella fase esecutiva, peraltro ancora non configuragli, da computarsi tenendo in considerazione la data di promovimento dell’incidente di esecuzione e quella di definizione, non potranno non tenere conto nel vantaggio goduto dal condannato che ha continuato a usufruire dell’immobile abusivo.
- Non corrisponde al vero, inoltre, l’affermazione del ricorrente secondo cui la Corte d’Appello non aveva tenuto conto della documentazione allegata all’istanza, rilevando l’ordinanza che l’organismo edilizio da demolire non presentava i caratteri dell’abuso di necessità, essendo costituito da tre piani per una superficie totale di mq. 360, ed era stato realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale violando ripetutamente i sigilli apposti per impedirne il completamento.
Tale argomentazione è stata ignorata dal ricorrente che si è limitato a richiamare la documentazione difensiva allegata all’istanza e a sostenere che non era stato effettuato “un approfondito e rigoroso scrutinio sotto il profilo del principio di proporzionalità”.
La censura è, quindi, inammissibile in quanto non si confronta con la motivazione della Corte territoriale e, comunque, manifestamente infondata, anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU che, di recente, ha escluso che la situazione personale del destinatario dell’ingiunzione a demolire, in età avanzata, in precarie condizioni reddituali e residente nell’immobile abusivo, assuma un peso determinante ai fini dell’esecuzione dell’ordine di demolizione “a fronte della consapevole realizzazione della costruzione edilizia in un’area vincolata paesaggisticamente, in assenza di qualsivoglia autorizzazione” (sentenza 4 agosto 2020, Kaminskas c. Lituania).
Analoghi principi sono stati affermati da questa Corte (Sez. 3, n. 2532 del 12/1/2022, Esposito), che ha precisato come nella valutazione del rispetto del principio di proporzionalità “un rilievo centrale assumono, da un lato, l’eventuale consapevolezza della violazione della legge nello svolgimento dell’attività edificatoria da parte dell’interessato, stante l’esigenza di evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente e, dall’altro, i tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l’attivazione del procedimento di esecuzione, per consentire all’interessato di “legalizzare”, se possibile, la situazione, e di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative“.
La sentenza ha anche chiarito che “ai fini del giudizio circa il rispetto del principio di proporzionalità, sono sicuramente rilevanti le condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito dell’interessato.
Queste condizioni, però,…, non risultano mai essere considerate, di per sé sole, risolutive…, (ma) non possono essere ignorate dal giudicante (e devono essere)… soppesate e devono trovare sede nella motivazione del suo provvedere”.
- Non si vede, pertanto, come l’ingiunzione contestata, adottata dopo oltre vent’anni dalla sentenza di condanna nei confronti dell’autore dell’abuso, rimasto da allora, senza mai ricercare sistemazioni alternative, all’interno della costruzione a tre piani edificata in zona vincolata senza autorizzazione alcuna e in spregio al vincolo di sequestro imposto dall’autorità giudiziaria, possa, alla luce di quanto innanzi esposto, violare il principio di proporzionalità invocato dal ricorrente.
- Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.