Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 23 luglio 2024, n. 6635
PRINCIPIO DI DIRITTO
Come in giurisprudenza è già stato rilevato, «la fattispecie lottizzatoria può consolidarsi innanzitutto nella veste di c.d. lottizzazione materiale o sostanziale, che si realizza attraverso l’avvio non autorizzato di opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest’ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori. In particolare, siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e, soprattutto, di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione; devono, cioè, valutarsi alla luce della ratio dell’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, il cui bene giuridico tutelato risiede nella necessità di salvaguardare detta potestà programmatoria, nonché la connessa funzione di controllo, posta a garanzia dell’ordinata pianificazione urbanistica, del corretto uso del territorio e della sostenibilità dell’espansione abitativa in rapporto agli standards apprestabili» (Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2020, n. 6759).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
[…]
Con il primo motivo (Capo I, pagg. 4 e ss. dell’appello) l’appellante censura la sentenza nella parte in cui il Tar afferma la propria giurisdizione in relazione all’ordinanza di sgombero richiamando un proprio precedente ritenuto essere inconferente (n. 1637/2020) pervenendo, quindi, al rigetto del settimo e ottavo motivo di ricorso con i quali erano dedotte «l’assoluta carenza di potere e l’incompetenza» dell’amministrazione a provvedere. Espone a tal proposito che il giudice di prime cure avrebbe richiamato la motivazione del precedente in questione solo parzialmente, omettendo di riportare il passaggio in cui il Tar afferma che «sotto altro concorrente profilo, vertendosi in tema di acquisizione al patrimonio indisponibile dell’amministrazione comunale (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2017 n. 5022), tale atto potrebbe al limite essere inquadrato quale forma di manifestazione delle prerogative di polizia demaniale ex art. 823, comma 2, c.c., ma anche in tal caso la controversia resterebbe devoluta alla giurisdizione amministrativa, trattandosi di tipico sindacato sull’esercizio del potere di autotutela pubblicistica, nei cui confronti sono individuabili solo situazioni di interesse legittimo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 agosto 2019 n. 5934; TAR Basilicata, 19 febbraio 2003 n. 167)». Da tali statuizione si evincerebbe che le due fattispecie non sarebbero assimilabili atteso che, nel caso di specie, l’amministrazione dichiarava l’acquisizione del bene al patrimonio disponibile (e non indisponibile) del Comune e ciò escluderebbe l’esercizio dei poteri di autotutela di cui all’art. 823 c.c. che, invece, si sostiene essere stati esercitati nell’occasione. In tali ipotesi troverebbe applicazione il principio per il quale, nell’ipotesi in cui il bene pubblico appartenga al patrimonio disponibile, l’Amministrazione è tenuta ad avvalersi dei mezzi ordinari di tutela previsti dal codice civile con l’obbligo di motivare, in modo specifico e articolato, le ragioni della scelta della sua pretesa (Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). L’amministrazione avrebbe pertanto proceduto allo sgombero in carenza di potere, con conseguente attrazione della controversia nella giurisdizione del giudice ordinario. Il motivo è infondato. È pacifico che l’amministrazione non procedeva, come rilevato dal Tar, esercitando i poteri di cui all’art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000, così come non procedeva ai sensi dell’art. 823 c.c.. I provvedimenti censurati rappresentano invece un esito obbligato dall’accertata lottizzazione abusiva cui l’amministrazione ricorreva ai sensi dell’art. 30, comma 7, del d.P.R. n. 380/2001, a norma del quale «nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29, ne dispone la sospensione», e comma 8, laddove dispone che «trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8». Il provvedimento di sgombero si pone quindi come atto conclusivo del procedimento repressivo avviato dall’amministrazione a seguito di un accertato abuso, come tale pacificamente attratto nella giurisdizione del giudice amministrativo. La giurisprudenza ha di recente affrontato la questione pervenendo alla conclusione che, «ogni qualvolta in cui l’atto di sgombero costituisca “nient’altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380/2001), del connotato dell’esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l’intermediazione dell’autorità giudiziaria” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell’ art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. in tal senso anche Cons. giust. amm. sic., 194/2020 cit.)» (Cons. Stato, Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337).
[…]
Con il secondo motivo (Capo II, pagg. 8 e ss.) l’appellante censura la sentenza nella parte in cui afferma che «l’accertamento della lottizzazione … è statuizione coperta da giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c. poiché il ricorso avverso la relativa ordinanza (n. 17 del 2008 rettificata con ordinanza n. 78 del 29.7.2014 solo con riguardo ai riferimenti catastali originariamente indicati con errore), proposto dalla società realizzante l’intervento (….) è stato rigettato con sentenza di questa sezione n. –[…]-dell’11 settembre 2009, confermata in appello dalla sentenza Cons. Stato, IV sez., 3 agosto 2010, n. –[…]». Sotto un primo profilo, l’invocato giudicato non potrebbe avere effetto nei confronti di soggetti estranei a quel giudizio, né ricorrerebbero eccezionali ragioni di estensione ultra partes, mancando l’identità tanto dei provvedimenti impugnati quanto dei vizi dedotti. Sotto un secondo profilo, la richiamata sentenza n. –[…]-/2009 del Tar, confermata in appello nel 2010, non potrebbe esplicare effetti circa la legittimità della successiva ordinanza del luglio 2014 (recante rettifica dei dati catastali) da ritenersi atto avente natura sostitutiva della precedente ed autonomamente impugnabile con la quale veniva disposta la trascrizione dell’acquisizione. Il giudicato si sarebbe quindi formato su atti diversi e non sui provvedimenti impugnati per la prima volta con i motivi aggiunti proposti in primo grado. Sotto un terzo profilo, il Tar avrebbe errato omettendo lo scrutinio della dedotta violazione ex art. 650 c.p. del giudicato formatosi in sede penale circa l’insussistenza della lottizzazione accertata con la già citta sentenza del GUP n. –[…]/2007. Tanto il Tar quanto il Consiglio di Stato non avrebbero, pertanto, dovuto sindacare se nella fattispecie ricorresse astrattamente un’ipotesi di lottizzazione abusiva poiché già esclusa in altra sede. Il motivo è infondato. Quanto al primo degli evidenziati profili di illegittimità, non può che rilevarsi come in merito al giudicato formatosi all’esito della precedente vicenda processuale operi il principio di cui all’art. 2909 c.c., a norma del quale «l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa». È pacifico che l’appellante, in quanto promissario acquirente degli immobili realizzati da […], sia titolare non già di una situazione giuridica propria bensì di una posizione giuridica che può essere fatta valere nei confronti del costruttore e che trova un ostacolo insormontabile nel giudicato formatosi all’esito di un giudizio del quale quest’ultimo era parte. Quanto al secondo profilo di illegittimità, non può che rilevarsi la pretestuosità della doglianza. Con la richiamata ordinanza del luglio 2014 l’amministrazione, come si evince dal relativo oggetto, procedeva alla «Rettifica …» del precedente provvedimento con il quale disponeva il divieto «di disporre dei suoli e delle opere e contestuale annullamento» della concessione edilizia e delle successive varianti. In coerenza con il descritto oggetto il provvedimento, nelle motivazioni, dà atto della circostanza che «per mero errore materiale» le «aree di riferimento» venivano identificate in modo errato, disponendo per tale ragione la rettifica degli estremi catastali. Deve pertanto disattendersi la tesi di parte appellante circa la natura provvedimentale della richiamata rettifica che, contrariamente a quanto dedotto, non sostituiva la precedente ordinanza dando vita a una nuova espressione del potere sanzionatorio dell’amministrazione.
Privo di pregio è il terzo profilo di illegittimità, con il quale viene introdotta la questione riferita al contrasto di giudicati in merito all’accertamento della lottizzazione. In primis deve rilevarsi che, come già affermato in giurisprudenza, «non è dubbio che ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, sempre che la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione (fra le tante Cass. n. 27357 del 2020; n. 13804 del 2018; n. 2082 del 1998)» (Cass. civ. Sez. III, 25 gennaio 2024, n. 2462) ed è pacifico che il giudicato amministrativo sia successivo. In ogni caso, il tema del rapporto fra il giudizio penale e il giudizio amministrativo è già stato approfondito dalla Sezione pervenendo alla conclusione che «la regola, almeno tendenziale, è quella dell’autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all’art. 654 c.p.p., secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all’amministrazione per l’accertamento dei fatti rilevanti nell’attività di vigilanza edilizia … Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell’accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi» precisando che, sotto il profilo oggettivo, «il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile o dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. VI, 20/01/2022, n. 358; 15/2/2021, n. 1350; 23/11/2017, n. 5473; 28/7/2016, n. 3403; Sez. V, 17/3/2021, n. 2285)» (Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2022, n. 9656).
Ne deriva che, anche quando siano stati commessi gli abusi che hanno comportato l’emanazione da parte del giudice penale della misura prevista dall’art. 31, d.P.R. n. 380/2001, l’amministrazione continua ad essere titolare del potere di vigilanza sull’attività di natura urbanistico-edilizia svolta sul territorio comunale. Deve ulteriormente essere evidenziato che, nel caso di specie, non è configurabile il preteso contrasto poiché la questione veniva affrontata nelle due diverse sedi sotto prospettive differenti. Come già rilevato da questo Consiglio di Stato, con la più volte citata sentenza n. –[…]2010 che definiva il contenzioso insorto con la Società costruttrice, «a ben vedere, la sentenza richiamata, se pur rileva nel senso di escludere la responsabilità personale degli imputati in ordine ai reati contestati e alle modalità di loro commissione, non può, invece, rilevare ai fini della individuazione, nella fattispecie, di una ipotesi di lottizzazione abusiva sulla scorta dell’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale della Cassazione secondo cui, come nel caso in esame, la stessa si configura per effetto del mutamento di destinazione d’uso di un complesso immobiliare la cui originaria destinazione assentita dalla P.A era quella di manufatti in zona artigianale con destinazione laboratorio- alloggio del custode(cfr. Cass. Pen., III sez., n. 42471/08). E’ noto che il reato di lottizzazione abusiva, secondo la definizione contenuta nella L. n. 47 del 1985, art. 18, trasfuso senza modificazioni nel DPR n. 380 del 2001, art. 30, può essere realizzato mediante attività materiale costituita dalla esecuzione di opere che determinano una trasformazione edilizia o urbanistica del territorio, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o comunque di leggi statali e regionali, ovvero il compimento di attività negoziale che, attraverso il frazionamento dei terreni, ne modifichi inequivocabilmente la destinazione d’uso a scopo edificatorio(Cass. Pen. N. 10889/05). Particolare rilevanza assume, quindi, la destinazione del territorio stabilita dagli strumenti urbanistici, in quanto la lottizzazione abusiva viene ad incidere direttamente sul potere di programmazione dell’uso del territorio da parte dell’ente locale o sull’assetto del territorio già stabilito. Al riguardo è stata identificata la lottizzazione abusiva nel caso in cui le singole unità abitative perdano la originaria destinazione d’uso per acquistare quella residenziale, posto che tale modifica si pone in contrasto con lo strumento urbanistico (Cass. Pen., III Sez., n. 6990 del 2006). La fattispecie corrisponde a quanto verificatosi nella fattispecie, ove, secondo quanto accertato in sede istruttoria e in sede di consulenza tecnica, manufatti originariamente assentiti a scopo artigianale sono stati trasformati in unità residenziali» La posizione deve essere condivisa.
In sede penale, infatti, l’assoluzione si determinava in ragione della mancata prova dell’avvenuta edificazione in un’area non urbanizzata: posizione che presuppone la configurazione dell’illecito in questione nell’accezione di trasformazione del comparto ex novo mentre, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 380/2001, in applicazione del quale è stata adottata l’ordinanza impugnata, «si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio».
Come in giurisprudenza è già stato rilevato, «la fattispecie lottizzatoria può consolidarsi innanzitutto nella veste di c.d. lottizzazione materiale o sostanziale, che si realizza attraverso l’avvio non autorizzato di opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest’ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori. In particolare, come evidenziato da questo Consiglio, siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e, soprattutto, di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione; devono, cioè, valutarsi alla luce della ratio del citato art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, il cui bene giuridico tutelato risiede nella necessità di salvaguardare detta potestà programmatoria, nonché la connessa funzione di controllo, posta a garanzia dell’ordinata pianificazione urbanistica, del corretto uso del territorio e della sostenibilità dell’espansione abitativa in rapporto agli standards apprestabili» (Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2020, n. 6759). Nel caso di specie è pacifico, come già evidenziato, che la realizzazione di un quartiere residenziale veniva eseguita su area avente destinazione urbanistica incompatibile a nulla rilevando il grado di urbanizzazione del comparto circostante.
[…]
Per quanto precede, riconosciuta, in parziale riforma della sentenza impugnata, la legittimazione dell’appellante alla contestazione dei provvedimenti conosciuti solo a seguito del deposito in primo grado da parte del Comune, l’appello deve essere in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto nei suesposti sensi. La complessità della vicenda e delle questioni sottese, determina la compensazione delle spese di lite fra le parti.