Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24. Febbraio 2025 n. 1505
PRINCIPIO DI DIRITTO
Sono da considerarsi nulle le clausole meramente potestative apposte al credito restitutorio delle somme versate, avente fonte nella rinuncia all’assegnazione di un lotto, già riconosciuto dalla controparte in quanto ,facendo dipendere la loro realizzazione dalla mera volontà del debitore, vanificano di fatto il diritto di credito della controparte e si pongono in aperto contrasto con l’art. 1355 c.c.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- L’appello censura la sentenza di primo grado per avere considerato inesigibile il credito alla restituzione dell’anticipo del prezzo di assegnazione del lotto PIP versato dalla società ricorrente, perché subordinato al completo rimborso delle somme percepite per effetto della riassegnazione del lotto, sulla base della volontà in questo senso espressa dal soggetto attuatore sulla base dei presupposti indirizzi comunali, con atti rimasti inoppugnati.
In contrario deduce che la posizione dell’Agenzia, espressa nella citata nota del 1° marzo 2011, prot. n. 1663, era stata contestata in modo esplicito dalla ricorrente.
Pertanto, in assenza di un «accordo valido ed efficace tra le parti in ordine alla predetta condizione» di avvenuta riassegnazione ad altra impresa del lotto rinunciato dalla società ricorrente. La sentenza avrebbe pertanto errato nell’attribuire all’atto ora menzionato «carattere provvedimentale ed autoritativo» e farne discendere l’onere di impugnazione e il carattere vincolante in sua mancanza.
Viene aggiunto al riguardo che la situazione conclamata di grave inadempimento dell’Agenzia per lo Sviluppo del Sistema Territoriale della Valle del Sarno, ex Agro Invest, a causa della mancanza di qualsiasi attività attuativa del PIP, oltre che di insolvenza, in ragione della quale in sede di approvazione del piano di riequilibrio finanziario ai sensi dell’art. 243-bis del testo unico sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il Comune di Sarno ha deliberato di accollarsi il 50% del maggior onere per gli espropri delle aree incluse nel piano, pari ad € 10.037.241,52, non potrebbero configurarsi ostacoli di ordine giuridico alla restituzione delle somme anticipate dalla ricorrente per l’assegnazione del lotto.
Si sostiene che l’Agenzia, in situazione di conclamata insolvenza, sarebbe decaduta dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 cod. civ.; inoltre la condizione senza la fissazione di un termine per l’avveramento sarebbe inefficace ai sensi dell’art. 1355 cod. civ.
- Ad analoghe conclusioni dovrebbe pervenirsi per l’appello sulla base di ragioni afferenti al diritto amministrativo.
A questo riguardo viene sottolineato che il piano per gli insediamenti produttivi è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione; come tale, trascorsi i dieci anni, l’amministrazione non potrebbe beneficiare di alcuna proroga, ma dovrebbe unicamente valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento con conseguente rinnovazione della scelta pianificatoria attuativa rimasta inattuata. Nel descritto automatismo derivante dalla scadenza del termine legislativamente previsto di efficacia dello strumento attuativo, nel caso di specie intervenuta il 15 gennaio 2011, sarebbe quindi inclusa la revoca dell’assegnazione previamente disposta di un lotto del piano e, in via di ulteriore conseguenza, la restituzione al proprietario delle somme a questo titolo anticipate, senza che residuino nel soggetto attuatore profili di discrezionalità.
- Con un ulteriore ordine di censure l’appello contesta che il recesso dell’assegnataria di un lotto del piano sarebbe nel caso di specie impedito dal mancato rinvio all’interno della citata convenzione con il soggetto attuatore per l’assegnazione del lotto del piano della sopra citata delibera comunale del 4 luglio 2008, n. 21.
In contrario si sottolinea che l’effetto risolutorio della convenzione tra le parti si sarebbe perfezionato per effetto della citata nota di prot. n. 1663 del 1° marzo 2011, con cui l’Agenzia di sviluppo territoriale ha preso atto della volontà della società ricorrente ed ha restituito parte del prezzo di assegnazione del lotto.
Il medesimo effetto non sarebbe inoltre impedito dalla mancata accettazione da parte della società ricorrente della convenzione integrativa a quella originaria, come invece ex adverso prospettato, la quale avrebbe tuttavia comportato un aumento del prezzo di assegnazione, per effetto dell’incremento dei costi di realizzazione del piano a causa degli oneri per l’espropriazione delle relative aree.
- Le censure così sintetizzate sono fondate nei termini che seguono.
- Esse sono innanzitutto ammissibili, contrariamente a quanto eccepito dal Comune di Scafati, che prospetta un difetto di specificità ex art. 101, comma 1, cod. proc. amm. smentita in modo evidente dall’idoneità dei motivi d’appello ad evidenziare possibili errori logico-giuridici del ragionamento che ha condotto la sentenza di primo grado ad accogliere l’opposizione a decreto ingiuntivo.
Più precisamente, si deduce che contrariamente a quanto da quest’ultima stabilito, il credito azionato in via monitoria sarebbe esigibile perché non validamente condizionato dal fatto che il lotto cui la società ricorrente in via monitoria ha rinunciato sia riassegnato ad altra impresa, invece considerato decisivo per l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Quindi, la prospettazione a base dell’appello, così sintetizzabile, contrappone motivi ed argomenti fondati sulle sopra citate disposizioni civilistiche di cui agli artt. 1186 e 1355 cod. civ., in grado di infirmare la pronuncia di primo grado, secondo cui invece la condizione poc’anzi menzionata sarebbe stata legittimamente apposta, a mezzo di atti amministrativi consolidatisi per effetto di mancata impugnazione.
- Risulta per contro inammissibile la pretesa dell’amministrazione comunale a che sia dichiarato il proprio difetto di legittimazione passiva nella presente controversa.
Come sopra accennato, la sentenza di primo grado reca una statuizione esattamente opposta, in cui la stessa amministrazione è stata riconosciuta passivamente legittimata unitamente al soggetto attuatore del PIP, ovvero l’opponente Agenzia per lo sviluppo del sistema territoriale della Valle del Sarno.
Ne deriva che sarebbe stato onere del Comune di Scafati impugnare la statuizione a mezzo di apposito atto di appello, in via incidentale rispetto a quello della società ricorrente in via monitoria.
- Nel merito, non può in primo luogo essere condivisa la tesi del carattere provvedimentale della nota dell’Agenzia di sviluppo territoriale della Valle del Sarno in data 1° marzo 2011, prot. n. 1663, con cui nel prendere atto della rinuncia all’assegnazione del lotto e della conseguente richiesta di restituzione del prezzo fino ad allora versato dall’assegnataria, per parte di esso è stato dato seguito alla richiesta, mentre per la restante parte è stata opposta la necessità di riassegnazione a terzi del lotto medesimo.
Come evincibile anche dal suo contenuto complessivo, la nota in questione si colloca infatti nell’ambito del rapporto obbligatorio di matrice paritetica originato dalla convenzione stipulata dalle parti in data 3 giugno 2008 (prot. n. 2415) per l’assegnazione del lotto del piano per gli insediamenti produttivi.
- Essa risulta più precisamente resa con la funzione di dilazionare la pretesa creditoria azionata dalla società ricorrente dapprima in via stragiudiziale, e poi con ricorso per decreto ingiuntivo ex art. 118 cod. proc. amm. nella presente sede giurisdizionale amministrativa, a titolo di restituzione dell’anticipo sul corrispettivo di assegnazione del lotto del piano.
In questo ambito non sono configurabili poteri pubblicistici in grado di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica dell’impresa interessata all’assegnazione, che onerino la stessa di agire con l’azione costitutiva di annullamento nel termine a pena di decadenza sancito dall’art. 29 cod. proc. amm., con correlativa moltiplicazione dei giudizi rispetto ad una vicenda evidentemente unitaria.
- A conclusioni analoghe deve peraltro giungersi con riguardo alla determinazione, richiamata nella medesima nota, in data 25 febbraio 2011, prot. n. 1608, dell’Agenzia di sviluppo territoriale opponente, una volta che la relazione giuridica tra le parti sia confluita nel rapporto derivante dall’assegnazione del lotto la cui fonte genetica è data dalla più volte richiamata convenzione «per la disciplina dei rapporti con le imprese assegnatarie delle aree ricadenti nel P.I.P. del Comune di Scafati…».
- Al medesimo riguardo deve ancora sottolinearsi che in seguito alla comunicazione del recesso lo stesso soggetto attuatore del piano si è riconosciuto debitore della somma ex adverso versata a titolo di pagamento del prezzo di assegnazione del lotto, con l’emissione della citata nota di credito del 1° marzo 2011, n. 40.
- Oltre a non costituire un ostacolo di ordine processuale alla pretesa restitutoria azionata in via monitoria, gli atti del soggetto attuatore adducono ragioni palesemente inidonee ad incidere su di essa.
Come sul punto deduce l’appello, il credito restitutorio derivante dalla rinuncia all’assegnazione, di cui quest’ultimo si è riconosciuto debitore, è stato nondimeno subordinato senza alcuna base giuridica ad un evento dipendente dalla mera volontà del soggetto passivo del rapporto obbligatorio.
La condizione così apposta in via unilaterale al credito restitutorio si palesa quindi contrastante con il sopra citato art. 1355 cod. civ., che sancisce la nullità delle condizioni meramente potestative, il cui avveramento è fatto «dipendere dalla mera volontà (…) del debitore», con conseguente vanificazione dell’altrui diritto.
La fattispecie controversa è in questo paradigmatica, posto che come deduce la società ricorrente ad oggi la condizione in questione non risulta verificata.
- Sono del pari condivisibili i rilievi di quest’ultima in ordine al fatto che l’Agenzia per lo sviluppo territoriale decaduta dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 cod. civ., in ragione della sua situazione di insolvenza.
Essa è ricavabile, secondo le incontestate deduzioni della società ricorrente in via monitoria, da un incremento degli oneri per l’espropriazione delle aree da includere nel piano per gli insediamenti produttivi, che in allora ha portato al riversamento dei costi sulle imprese assegnatarie, cui queste hanno risposto con le rinunce e le richieste di restituzione degli acconti versati, e che si manifesta tuttora con l’indebita posizione di rifiuto a restituire alla medesima ricorrente l’intero acconto versato per l’assegnazione di un lotto del piano rimasto tuttora inattuato per fatti non imputabili alle assegnatarie medesime.
- Considerazioni in parte diverse vanno svolte con riguardo al regolamento comunale per la concessione delle aree comprese nei PIP, approvato con la sopra richiamata delibera consiliare del 29 novembre 2004, n. 57, come modificato dalla parimenti richiamata delibera consiliare del 4 luglio 2008, n. 21, nel senso di prevedere il recesso dalle convenzioni per l’assegnazione dei lotti del piano, tuttavia alla condizione qui contestata nel presente giudizio.
Le disposizioni regolamentari in questione costituiscono infatti fonti regolatorie del rapporto di concessione del lotto, in ragione del richiamo ad esse operato nel testo delle convenzioni con le imprese assegnatarie, ivi compresa quella con la società ricorrente in via monitoria.
La conclusione tuttavia non muta, posto che le disposizioni civilistiche su cui si fonda l’esigibilità del credito azionato in via monitoria prevalgono su quelle di carattere regolamentare, sulla base del criterio gerarchico applicabile per dirimere il contrasto tra fonti del diritto (art. 3, comma 2, delle preleggi).
- In ragione delle norme di legge applicabili alla presente vicenda contenziosa non sono inoltre invocabili in senso contrario i precedenti di cui alle sentenze della IV sezione di questo Consiglio di Stato del 31 agosto 2023, n. 8089, e del 14 febbraio 2024, n. 1477, invece richiamate dal Comune di Scafati in funzione della conferma della sentenza di primo grado.
Come si ricava dalla lettura delle pronunce di giurisprudenza in questione, in quei casi alla condizione apposta in via unilaterale dal soggetto attuatore, alla condizione introdotta in via unilaterale dall’amministrazione comunale alla restituzione del prezzo di cessione dei lotti di piano in caso di recesso dell’assegnataria non erano state infatti opposte le disposizioni civilistiche di cui ai più volte citati artt. 1355 e 1186 cod. civ., ma la presunzione di avveramento della condizione ex art. 1359 cod. civ., di cui tuttavia non sono stati considerati dimostrati i relativi presupposti.
- Le considerazioni che precedono sono assorbenti per l’accoglimento dell’appello. Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado va respinto il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo, che va dunque confermato.
Le spese del doppio grado di giudizio sono regolate secondo soccombenza nei rapporti tra la società appellante e l’Agenzia per lo sviluppo del sistema territoriale della Valle del Sarno e sono liquidate in dispositivo; possono essere compensate nei rapporti tra la medesima appellante e il Comune di Scafati.