TAR LAZIO – ROMA, II BIS – sentenza 24 luglio 2024 n. 15126
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’obbligo dell’Ufficio di reperire la documentazione inerente lo stato edilizio ed urbanistico di un immobile è finalizzato (non solo alle esigenze ordinarie di conoscenza che sono proprie del diritto di accesso ex art. 22, l. n. 241/90, ma anche) a consentire l’utile e certo ricorso alle forme di attestazione che sono disciplinate dall’art. 9 bis del DPR 380/2001, ciò che rende evidente come tale obbligo non possa ritenersi assolto dalla indicazione fornita dall’Amministrazione di una “temporanea” inaccessibilità degli archivi che rendano indisponibile la documentazione “allo stato”, ossia con riserva di reperirla in futuro
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
L’odierno ricorrente rivolgeva a Roma Capitale una istanza di accesso agli atti ex art. 22 e 24 della l. n. 241/90 in data 28 marzo 2024, intesa a conoscere e prendere visione e copia della documentazione urbanistico – edilizia relativa all’immobile oggetto di un preliminare di compravendita sito in Via Lattanzio n. 64/66 […].
Precisa che a motivazione dell’istanza allegava la necessità di comprovare la regolarità edilizia dell’immobile – ai fini delle trattative relative alla compravendita – ovvero al reperimento della documentazione funzionale ai fini dell’art. 9 bis, comma 1 bis, del DPR n. 380/2001.
Nell’istanza si chiedeva di concludere il procedimento in maniera espressa, con il rilascio delle copie oppure con una attestazione di eventuale assenza o irreperibilità dei documenti.
Roma Capitale con il provvedimento oggetto di gravame (CT/2024/0053785 del 16.4.2024) rilasciava unicamente una ricevuta di protocollazione dell’inizio lavori relativa alla DIA prot. CT/200046 del 9.4.2002 e, quanto al resto, dichiarava che la documentazione cartacea era conservata parte in locali fuori sede e non accessibili in sicurezza, parte in deposito sito al piano seminterrato interdetto al personale dai Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione del Municipio, attestando quindi che “allo stato” la Direzione del Municipio sarebbe impossibilitata al reperimento degli atti, il cui rilascio sarebbe impossibile “prima della disponibilità di un archivio accessibile ed idoneo”.
Avverso tale atto, il ricorrente lamenta la “Violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 22 e 24 ss L. 241/1990 ss.mm.ii. – Violazione dell’artt. 2 e 3 L. 241/1990 -Eccesso di potere (difetto del presupposto – difetto di motivazione – difetto di istruttoria) – Violazione dei principi di pubblicità, trasparenza, buon andamento, efficacia ed efficienza dell’attività amministrativa. Violazione della Delibera di Assemblea Capitolina n. 6/2019 recante il “Regolamento per il diritto di accesso ai documenti, ai dati e alle informazioni””.
Nel richiamare precedenti della Sezione in materia, parte ricorrente argomenta circa il proprio interesse all’accesso; circa l’insufficienza delle ragioni di diniego addotte, anche qualora si volesse considerare il diniego come un mero differimento (senza termine finale); circa l’irrilevanza che la medesima istanza sia stata già avanzata da altro soggetto (l’alienante) ed evasa nella stessa maniera); sulla mancata attestazione della irreperibilità; sulla violazione della Delibera dell’Assemblea Capitolina nr. 6/2019 (regolamento in materia di accesso agli atti).
Si è costituita Roma Capitale che resiste al ricorso del quale chiede il rigetto, insistendo circa la rilevanza delle condizioni descritte che sarebbero ostative all’accertamento della sussistenza di atti o documenti afferenti l’immobile.
Le parti hanno scambiato memorie.
Nella camera di consiglio del 15 luglio 2024 la causa, sentiti i procuratori delle parti come da verbale, è stata trattenuta in decisione.
Avendo riguardo alla puntuale giurisprudenza della Sezione (TAR Lazio – Roma, sez. II bis, 24.5.2022, n. 6662; 12.5.2022, n. 5918; 15.3.2022, n. 2960), che parte ricorrente ha richiamato a fondamento dell’azione, il ricorso è fondato e come tale va accolto.
In particolare (v. TAR Lazio, II bis, nr. 16292/2022), è stato affermato che “A norma dell’art. 22, comma 6 della l. 241/90, “il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere”. Nel caso di specie, posto che l’Amministrazione responsabile è un Ente Locale, i termini per la conservazione dei documenti (che per le Amministrazioni dello Stato sono disciplinati dall’art. 41 del d.lgs. 42/2004, in materia di versamento all’Archivio Storico), dipendono dallo specifico piano di conservazione dei documenti di cui all’art. 68 del DPR n. 445/2000 e dalle altre disposizioni regolamentari e statutarie della stessa Amministrazione. Per Roma Capitale, viene in rilievo (nell’assenza di altre deduzioni specifiche da parte dell’Amministrazione) il “Regolamento per il funzionamento dell’Archivio capitolino” di cui alla delibera del Consiglio Comunale n.133/1981 (successivamente modificato), che, all’art. 62, comma 2, prevede che gli Uffici predispongono periodicamente gli elenchi di atti di cui si reputi inutile la conservazione “riferentesi agli anni anteriori all’ultimo quinquennio”; l’art. 63, inoltre, prevede che gli Uffici stessi “versano all’Archivio Capitolino le posizioni relative agli affari esauriti da oltre 40 anni, in analogia a quanto disposto dagli Archivi di Stato dall’art. 23 della ..legge 30 settembre 1963, n. 1409”.
A tanto deve anche soggiungersi – tenuto conto delle ragioni sostanziali che sono sottese all’interesse ostensivo come illustrate dalla ricorrente e correlate al giudizio pendente nr. RG2417/2022 – che l’attestazione dello stato legittimo delle opere presuppone la possibilità di documentarle ai sensi dell’art. 9 bis, comma 1 bis, del DPR n. 380/2001 (come introdotto dal DL 70/2020, conv. in l. 120/2020), ciò che radica ancora di più il corrispondente riscontro di tali attestazioni da parte dell’Ufficio; ne deriva la conseguenza che anche le operazioni di custodia e di eventuale discarico di atti e documenti tecnici o edilizi o urbanistici d’epoca, da parte degli uffici competenti e dell’Archivio Storico, dovrebbero essere (o risultare già) improntate funzionalmente a consentire l’accessibilità o la reperibilità (anche) dei documenti edilizi risalenti negli anni.
Inoltre, secondo la giurisprudenza prevalente, se determinati documenti che sono legittimamente richiesti dal privato, non risultino esistenti negli archivi dell’Amministrazione che li dovrebbe detenere per ragioni di servizio, quest’ultima è tenuta a certificarlo, così da attestarne l’inesistenza e fornire adeguata certezza al richiedente per quanto necessario a consentirgli di determinarsi sulla base di un quadro giuridico e provvedimentale completo ed esaustivo […].
Trattandosi di applicare la regola generale “ad impossibilia nemo tenetur”, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l’esercizio del relativo diritto non può che riguardare, per evidenti motivi di buon senso e ragionevolezza, i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili; ma la prova dell’impossibilità della prestazione (con argomento ex art. 1218 cod.civ.) secondo le regole generali, incombe sull’Amministrazione che deve dimostrare l’assoluta ineseguibilità dell’obbligo, tenuto conto delle soluzioni organizzative esigibili in concreto. Spetta, cioè, all’Amministrazione destinataria dell’istanza di accesso fornire l’indicazione, sotto la propria responsabilità, attestante la inesistenza o indisponibilità degli atti che non è in grado di esibire, con l’obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità (T.A.R. , Milano , sez. III , 11/10/2019 , n. 2131), secondo le regole archivistiche proprie dell’Amministrazione”.
La giurisprudenza ha quindi chiarito che l’obbligo dell’Ufficio di reperire la documentazione inerente lo stato edilizio ed urbanistico di un immobile è finalizzato (non solo alle esigenze ordinarie di conoscenza che sono proprie del diritto di accesso ex art. 22, l. n. 241/90, ma anche) a consentire l’utile e certo ricorso alle forme di attestazione che sono disciplinate dall’art. 9 bis del DPR 380/2001, ciò che rende evidente come tale obbligo non possa ritenersi assolto dalla indicazione fornita dall’Amministrazione di una “temporanea” inaccessibilità degli archivi che rendano indisponibile la documentazione “allo stato”, ossia con riserva di reperirla in futuro.
Alcuna certezza potrebbe infatti trarsi circa lo stato legittimo dell’immobile, essendo sempre possibile l’emersione di atti o documenti contrastanti o non coerenti con risultanze indirette quali quelle che sono ammesse dall’art. 9 bis del DPR 380/2001.
Più ancora, la indisponibilità di documenti conseguenti alle cattive o insicure condizioni di sicurezza dei locali degli archivi, quando è genericamente invocata come nel caso di specie (laddove non sono allegate ragioni precise della inaccessibilità) consegue pur sempre non ad un impedimento oggettivo, ma ad una negligenza dell’Ente, essendo imputabile ad un “fatto” che è nella disponibilità dell’Amministrazione (che non osserva le regole generali di sicurezza sui luoghi di lavoro, con ogni conseguenza in ordine alla responsabilità di dirigenti ed amministratori).
Quanto poi alla dislocazione di tali archivi presso sedi separate da quelle dell’ufficio, l’inconsistenza delle ragioni di diniego è autoevidente, non sussistendo alcun impedimento per il personale dell’Amministrazione a recarvisi oppure a farsi consegnare i documenti necessari da chi li abbia in carico.
Correttamente, quindi, parte ricorrente rileva come il richiamo alla precedente istanza della venditrice, contenuto nel provvedimento, in realtà confermi l’indebita sospensione procedimentale, posto che la condizione di indeterminatezza che consegue ad una negligenza organizzativa dell’Amministrazione viene confermata come non occasionale o transitoria, ma persistente.
Pertanto, in accoglimento del gravame, va ordinato all’Amministrazione resistente che l’Ufficio competente ratione materiae in ordine all’interesse sotteso alla richiesta d’accesso, provveda in ordine alla suddetta istanza, apprestando, nell’eventualità, ogni opportuna attestazione a firma del Dirigente responsabile circa l’inesistenza o la indisponibilità degli atti richiesti, sulla base delle regole archivistiche sancite dal Regolamento della stessa Amministrazione.
L’esecuzione dell’accesso dovrà avvenire entro i termini di sessanta giorni, determinati ex art. 116, comma 4, del c.p.a, tenuto conto della peculiarità della odierna fattispecie con riferimento alle condizioni dell’archivio e che avranno decorrenza dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte.
In caso di mancanza o irreperibilità dei documenti in archivio, dovrà essere rilasciata dal Responsabile dell’ufficio una attestazione formale di inesistenza, da redigersi nel rispetto di quanto sopra indicato.
[…]