Cass.pen., sez. III, sentenza 3 novembre 2021, n. 31320
PRINCIPIO DI DIRITTO
La L.R. Lazio 6 agosto 1999, n. 12, art. 11, comma 1, lett. c), va interpretato – anche alla stregua dello “ius superveniens” costituito dal comma 1-bis, introdotto dalla L.R. 22 ottobre 2018, n. 7, art. 80, comma 1, lett. a) – nel senso che il requisito per conseguire (e permanere) nell’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica destinato all’assistenza abitativa, requisito costituito dalla mancanza di “titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare nell’ambito territoriale del bando di concorso e nel comune di residenza, qualora diverso da quello in cui si svolge l’attività lavorativa”, deve essere apprezzato valutando la possibilità, in concreto, di adibire il bene oggetto di tali diritti a propria abitazione
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto, nei termini di seguito indicati.
6.1. Il primo motivo è fondato.
6.1.1. Nel procedere al suo scrutinio deve ribadirsi che l’oggetto del presente giudizio, come già sopra indicato, è l’opposizione al decreto con cui è stato intimato all’odierna ricorrente il rilascio di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, in quanto occupante “sine titulo”, intimazione a fronte della quale ella assume di vantare un diritto a subentrare nella disponibilità dell’immobile, già assegnato al di lei padre, V.P.
Ciò detto, deve osservarsi che nel caso in esame rileva, dunque, una fattispecie devoluta alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, visto che, in materia di edilizia residenziale pubblica, “appartiene al giudice ordinario la controversia introdotta da chi si opponga ad un provvedimento dell’amministrazione di rilascio di immobile occupato senza titolo, deducendo, al fine di paralizzare l’intimazione di rilascio, di avere diritto al subentro nell’assegnazione dell’alloggio, essendo contestato il diritto di agire esecutivamente e configurandosi l’ordine di rilascio come un atto imposto dalla legge, e non come esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione, la cui concreta applicazione richieda, di volta in volta, una valutazione del pubblico interesse” (da ultimo, Cass. Sez. Un., ord. 15 gennaio 2021, n. 621, Rv. 660144-01).
6.1.2. Tanto premesso, il presente motivo di ricorso contesta la legittimità del provvedimento che si pone quale atto presupposto di quello oggetto di causa, vale a dire la decadenza dall’assegnazione dichiarata dal Comune di Roma a carico del padre dell’odierna ricorrente, essendo stata accertata la sopravvenuta carenza di uno dei requisiti di legge, ovvero “la mancanza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare nell’ambito territoriale del bando di concorso e nel comune di residenza” (L.R. Lazio 6 agosto 1999, n. 12, art. 11, comma 2, lett. c). Difatti, la perdita di taluno dei requisiti di cui della L.R. del Lazio n. 12 del 1999, citato art. 11, costituisce motivo di decadenza dall’assegnazione, secondo quanto stabilito dall’art. 14 del regolamento regionale 20 settembre 2000, n. 2 (“Regolamento per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinata all’assistenza abitativa ai sensi della L.R. 6 agosto 1999, n. 12, art. 17, comma 1″).
Orbene, nel corso delle fasi di merito del presente giudizio l’odierna ricorrente ha sempre sostenuto che il vincolo di indisponibilità dei beni dei quali il suo genitore è risultato proprietario – vincolo derivante da provvedimento ex art. 321 c.p.p., adottato anteriormente all’avvio, il 21 dicembre 2009, della procedura di decadenza – costituirebbe condizione ostativa alla decadenza.
A supporto di tale tesi – nonché, più in generale, dell’illegittimità dell’atto presupposto (la decadenza dall’assegnazione, comminata a carico del proprio genitore) del decreto di rilascio adottato nei suoi confronti – la ricorrente invoca, nel presente giudizio, anche una sopravvenienza normativa. Difatti, in attuazione di quanto previsto dalla L.R. Lazio 10 agosto 2016, n. 11, art. 10, comma 2, lett. r), è stato introdotto – dalla L.R. 22 ottobre 2018, n. 7, art. 80, comma 1, lett. a) – il comma 1-bis nel testo della L.R. n. 12 del 1999, già citato art. 11, comma 2 cui, ai fini del possesso del requisito di cui al comma 1, lett. c), “non si considerano i diritti di proprietà o altri diritti reali di godimento relativi alla casa coniugale in cui risiedono i figli, se quest’ultima è assegnata, in sede di separazione o divorzio, al coniuge o comunque non è più nella disponibilità del soggetto richiedente“.
6.1.3. Così ricostruiti i termini della presente censura, deve osservarsi che essa risulta fondata, sebbene limitatamente alla contestazione, mossa a carico della sentenza impugnata, di non essersi confrontata – anche, come si vedrà, in relazione al fatto che gli immobili dei quali il padre dell’odierna ricorrente è risultato proprietario non erano adibiti a civile abitazione, essendo accatastati come “[…]” – con il suddetto “ius superveniens”.
6.1.3.1. Non fondata è, invece, la censura che si appunta sulla circostanza che gli immobili di cui è risultato proprietario il genitore della V. fossero stati colpiti, nel 2009, da provvedimento di sequestro ex art. 321 c.p.p.
Difatti, costituisce vero e proprio “diritto vivente” – nella giurisprudenza sia ordinaria che amministrativa – il “principio dell’automatico dispiegarsi degli effetti della decadenza ed il carattere vincolato del provvedimento dell’amministrazione che riscontri il venir meno di uno dei requisiti di legge per il permanere dell’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica”, avente come corollario “che la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio, correlata all’avvenuto accertamento della carenza del requisito dell’impossidenza e/o del superamento dei limiti reddituali, quale previsto dalla legge per il diritto alla conservazione dell’alloggio, costituisce atto con valenza dichiarativa di un fatto estintivo già verificatosi” (da ultimo, nella giurisprudenza amministrativa, Cons. St. Sez. 5, sent. 7 agosto 2018, n. 4848; nello stesso senza, per la giurisprudenza di legittimità, si veda, in motivazione, Cass. Sez. Un., ord. 28 dicembre 2011, n. 29095, Rv. 620144-01).
Da quanto precede deriva che, accertandosi “ora per allora” il difetto dei presupposti per l’assegnazione dell’alloggio, essendo quello di decadenza un provvedimento dichiarativo “di un fatto estintivo già verificatosi”, la ritenuta carenza, già anteriormente al 2007 (anno al quale risale il provvedimento di sequestro preventivo) del requisito “negativo” di cui della L.R. n. 12 del 1999, comma 1, lett. c), rende del tutto ininfluente il sopravvenire del vincolo di indisponibilità dei beni, ex art. 321 c.p.p., invocato dall’odierna ricorrente.
6.1.3.2. Fondata è, invece, la doglianza con cui si fa carico alla Corte territoriale di non aver preso in considerazione la modifica apportata – dalla L.R. 22 ottobre 2018, n. 7, art. 80, comma 1, lett. a), – della L.R. n. 12 del 1999, art. 11, nel fare applicazione di tale ultima norma.
Invero, a prescindere dalla questione relativa alla possibilità di applicare direttamente, alla presente fattispecie, lo “ius superveniens” (secondo cui “non si considerano i diritti di proprietà o altri diritti reali di godimento relativi alla casa coniugale in cui risiedono i figli, se quest’ultima è assegnata, in sede di separazione o divorzio, al coniuge o comunque non è più nella disponibilità del soggetto richiedente”), lo stesso si pone alla stregua di un elemento che – come ha correttamente osservato la ricorrente – non è affatto indifferente ai fini dell’interpretazione pure del previgente testo della norma sui cui ha inciso.
Difatti, come è stato dedotto con la censura che qui si esamina, la norma sopravvenuta effettivamente rivela che “il concetto di impossidenza di altri immobili” (alla quale dava già rilievo il testo originario della L.R. n. 12 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c) “non è da intendere nel senso strettamente giuridico della sussistenza o meno in capo all’assegnatario di diritti di proprietà o di altri diritti reali”, bensì come “possibilità in concreto di poter adibire a propria abitazione gli immobili di cui l’assegnatario sia titolare“.
La norma sopravvenuta, dunque, non poteva essere ignorata come invece avvenuto – dalla Corte capitolina, in special modo ove si consideri che, nel caso che occupa, la titolarità dei beni, ritenuta causa di decadenza dall’assegnazione, era riferita ad immobili non adibiti a civile abitazione. Il giudice di appello, dunque, avrebbe dovuto valutare – nell’accertare la legittimità, anche ai fini ed agli effetti di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, del provvedimento di revoca dell’assegnazione disposto a carico di V.P. (ovvero dell’atto presupposto del decreto di rilascio adottato nei confronti della di lui figlia) – la ricorrenza di taluna delle seguenti circostanze. Ovvero, se sussistesse il presupposto della revoca dell’assegnazione costituito dalla titolarità, in capo al genitore dell’allora appellante, della proprietà o di altro diritto reale “su beni patrimoniali di valore complessivo superiore al limite definito nel regolamento di cui stessa L.R. del Lazio n. 12 del 1999, art. 17, comma 1 (circostanza allegata dall’odierna controricorrente, ma della quale non vi è però riscontro nella sentenza impugnata, tutta incentrata sul tema della proprietà degli immobili accatastati come “[…]”), oppure quello della “titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare nell’ambito territoriale del bando di concorso e nel comune di residenza, qualora diverso da quello in cui si svolge l’attività lavorativa”, valutando, appunto, la “possibilità in concreto di poter adibire a propria abitazione” gli immobili di cui l’assegnatario risultava titolare.
Sotto questo profilo, dunque, deve riconoscersi che la norma sopravvenuta (inserendo nel testo della L.R. n. 12 del 1999, art. 11, comma 1-bis) ha concorso a precisare la portata di quella originaria di cui comma 1, lett. c), dello stesso articolo, in quanto – come ha osservato, già in passato, questa Corte – anche una modifica normativa, pur “non costituente certamente una interpretazione autentica”, può concorrere ad “eliminare ogni incertezza circa l’interpretazione effettiva della norma chiarendone la effettiva portata” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 3 dicembre 2010, n. 24630, Rv. 615105-01), e ciò in particolar modo quando sia possibile, come è nel caso che occupa, individuare “un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro” (così, recentissimamente, in motivazione Cass. Sez. Un., sent. 7 maggio 2021, n. 12154, non massimata sul punto).
6.2. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo e del terzo.
- La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione, rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito (occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, preclusi nella presente sede), oltre che sulle spese anche del presente giudizio, dovendosi il giudice del rinvio attenere al seguente principio di diritto:
“la L.R. Lazio 6 agosto 1999, n. 12, art. 11, comma 1, lett. c), va interpretato – anche alla stregua dello “ius superveniens” costituito dal comma 1-bis, introdotto dalla L.R. 22 ottobre 2018, n. 7, art. 80, comma 1, lett. a) – nel senso che il requisito per conseguire (e permanere) nell’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica destinato all’assistenza abitativa, requisito costituito dalla mancanza di “titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare nell’ambito territoriale del bando di concorso e nel comune di residenza, qualora diverso da quello in cui si svolge l’attività lavorativa”, deve essere apprezzato valutando la possibilità, in concreto, di adibire il bene oggetto di tali diritti a propria abitazione”.