Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza 4 Aprile 2025 n. 8918
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di convenzioni urbanistiche, l’intervenuta sottoscrizione della convenzione a opera dell’ente pubblico non rende il rapporto del tutto assimilabile a un contratto tra privati, rimanendo invece integra (nonostante qualsiasi patto contrario) la potestà pubblicistica del Comune di liberarsi dal vincolo contrattuale in relazione a sopravvenute esigenze di pubblico interesse; la conclusione del procedimento amministrativo avente a oggetto la sorte della convenzione si pone, quindi come antecedente logico-necessario per l’azione del privato fondata sull’applicazione delle regole privatistiche del diritto dei contratti.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- Ca.Na. propone ricorso per Cassazione avverso la sent. della Corte di Appello di Roma che ha confermato la sent. n. 10865/2015 con la quale il Tribunale di Roma ha respinto la domanda originariamente proposta dall’attuale ricorrente recante impugnazione di delibera del Consiglio di Amministrazione della “Borgetto dei Pescatori” Società cooperativa edilizia S.p.a., che aveva disposto l’esclusione dell’attuale ricorrente dalla compagine sociale per grave inadempimento alle obbligazioni che ricadono sul socio, segnatamente per non aver corrisposto le quote di pre-ammortamento del mutuo contratto dalla società in vista della convenzione stipulato con il Comune di Roma per la concessione del diritto di superficie finalizzato alla edeficazione degli alloggi da assegnare in proprietà ai soci.
L’attuale ricorrente affidava alla Suprema Corte quattro motivi, rispetto ai quali, l’attuale commento si concentra sul primo (art 360 comma 1 n.3 cpc), che riguarda: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1456 c.c. e dell’art. 107 del D.Lgs. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – Funzioni e responsabilità della dirigenza).”
[…] ove, come nella specie, la convenzione urbanistica stipulata dalla società in vista dell’edificazione degli alloggi sia stata risolta di diritto ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., come nella specie pacificamente accaduto, nessuno spazio potevano assumere i successivi passaggi amministrativi interni all’ente locale, posto che l’effetto civilistico della risoluzione si era comunque indefettibilmente già consolidato. Il motivo è inammissibile, perché versato totalmente in fatto, posto che pretende da questa Corte una rivalutazione del materiale probatorio acquisito in atti, finalizzato a qualificare come definitivamente risolta la convenzione urbanistica tra la società controricorrente e l’ente locale. La Corte territoriale ha accertato in fatto (pag. 5 della sentenza) che le determine dirigenziali dell’ente locale erano state adottate nell’ambito del complesso procedimento amministrativo finalizzato alla valutazione delle sorti della convenzione stipulata con la società, e che erano state adottate al termine della fase istruttoria del procedimento amministrativo, non essendo state ancora prese dal Comune le decisioni definitive di carattere provvedimentale. Per ciò che in questa sede può essere oggetto di consentita indagine, va rilevato che, in diritto, è corretta l’affermazione della Corte di appello inerente alla necessità che fosse definito il procedimento ammnistrativo con cui il Comune intendeva sciogliersi dagli effetti obbligatori della sottoscritta concessione. Questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 2669 del 05/03/1993) ha infatti insegnato che, in tema di convenzioni urbanistiche, l’intervenuta sottoscrizione a opera dell’entepubblico non rende il rapporto del tutto assimilabile a un contratto tra privati, rimanendo invece integra (nonostante qualsiasi patto contrario) la potestà pubblicistica del Comune di liberarsi dal vincolo contrattuale in relazione a sopravvenute esigenze di pubblico interesse; la conclusione del procedimento amministrativo avente a oggetto la sorte della convezione si pone, quindi (alla stregua di quanto argomentato dalle citate Sezioni Unite in, come antecedente logico-necessario per l’azione del privato fondata sull’applicazione delle regole privatistiche del diritto dei contratti. Tanto comporta, nella specie, l’infondatezza della censura in esame dove pretende di ritenere ipso iure risolta la convezione per effetto di una clausola risolutiva espressa automatica, in assenza della relativa deliberazione provvedimentale dell’ente pubblico sottoscrittore di volersene avvalere. E ciò del tutto a prescindere dall’ulteriore espressione del Comune di Roma nella Deliberazione di Assemblea Capitolina prot. QI 57145 del 6 aprile 2022, che parte controricorrente inammissibilmente – rispetto alle produzioni consentite dall’art. 372 cod. proc. civ. – allega alla propria memoria conclusiva in questa sede.
COMMENTO
Premessa: differenza tra contratto e convenzione
Se il contratto – definito dall’Art. 1321 del Codice Civile come l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale – può essere considerato come quello strumento (negozio) giuridico volto a vincolare i soggetti stipulanti all’esecuzione delle rispettive prestazioni, la convenzione invece, pur essendo sempre un accordo (o patto) di natura contrattuale, tra due o più soggetti, (che possono essere persone fisiche, enti o Stati), regola aspetti di comune interesse, patrimoniali e non, attraverso la predisposizione di un elenco di regole e di diritti aventi lo scopo di disciplinare pro futuro la relazione giuridica, sociale ed economica dei rispettivi contraenti.
L’autonomia contrattuale dell’amministrazione e i limiti imposti dall’interesse pubblico nelle convenzioni urbanistiche
Nel panorama del diritto amministrativo, le convenzioni urbanistiche rappresentano strumenti di raccordo tra l’autonomia contrattuale dei privati e la programmazione urbanistica dell’ente pubblico. L’ordinanza n. 8918/2025 della Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ribadisce un principio di rilievo sistemico: la stipula di una convenzione urbanistica da parte del Comune non comporta la piena equiparazione del rapporto ad un contratto tra privati, proprio perché l’Amministrazione agisce pur sempre quale soggetto titolare di una funzione pubblica.
In questo quadro, la Cassazione chiarisce che il Comune conserva la propria potestà pubblicistica anche successivamente alla sottoscrizione della convenzione. Ne deriva che, in presenza di sopravvenute esigenze di interesse pubblico, l’Amministrazione può unilateralmente recedere, annullare o modificare l’accordo, in deroga al principio pacta sunt servanda, anche qualora la relativa convenzione urbanistica dovesse prevedere clausole vincolanti in senso contrario. Il potere amministrativo di auto-tutela e riesame, dunque, non può essere annullato da clausole pattizie, proprio in virtù della sua natura indisponibile e funzionalizzata alla tutela dell’interesse pubblico.
Di conseguenza, l’azione del privato che si ritenga leso dal recesso o dalla modifica unilaterale dell’ente (anche nel caso in cui, conformandosi al dettame ex art 1456 comma 2 cc, il medesimo avvesse previamente manifestato in modo formale la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa) non può prescindere dal previo esaurimento del procedimento amministrativo durante il quale il Comune valuta se mantenere, modificare o revocare gli accordi e impegni presi con la stipula della convenzione urbanistica, sempre sulla base del prioritario e preminente interesse pubblico. Solo al termine di questo iter, se il Comune conferma di non voler rispettare gli impegni, potrà trovare applicazione la disciplina privatistica del contratto e il privato potrà far valere le proprie pretese risarcitorie e/o restitutorie, eventualmente rivolgendosi al giudice civile al fine di ottenere un risarcimento o l’esecuzione coattiva della convenzione, secondo le regole del diritto civile.
In tal senso, l’ordinanza in esame si pone nel solco di un orientamento giurisprudenziale volto a bilanciare da un lato la certezza e l’affidamento del privato che stipula una convenzione con la pubblica amministrazione e dall’altro, la salvaguardia del potere-dovere dell’ente di perseguire l’interesse pubblico, anche in presenza di accordi già perfezionati.
Il potere del Comune di modificare o sciogliere una convenzione urbanistica, anche contro quanto stabilito nella convenzione stessa, trova fondamento nei principi generali del diritto amministrativo, che pongono al centro la tutela dell’interesse pubblico. Anche se una clausola contrattuale prevede che il Comune non possa recedere o modificare gli impegni presi, tale clausola non può limitare o annullare il potere dell’amministrazione di agire nell’interesse collettivo.
In altre parole, quando un Comune stipula un contratto, lo fa non solo come “parte contrattuale”, ma anche nella veste di soggetto pubblico, che ha l’obbligo di perseguire l’interesse pubblico generale. Questo obbligo è superiore agli impegni assunti con una singola parte privata. È per questo motivo che il potere di autotutela — cioè la possibilità di annullare o rivedere atti e accordi in presenza di motivi legittimi — non può essere disattivato da una clausola contrattuale.
La ratio è semplice: se un interesse pubblico nuovo o sopravvenuto richiede di modificare o interrompere l’accordo, il Comune ha il dovere di farlo, anche a costo di non rispettare quanto firmato. Diversamente, l’Amministrazione sarebbe costretta a sacrificare l’interesse collettivo per rispettare un impegno individuale. L’autonomia contrattuale, che tra privati è piena, nel diritto amministrativo trova un limite insuperabile nell’interesse pubblico; questo equilibrio tra contratto e interesse pubblico è ciò che distingue i rapporti tra privati da quelli con la pubblica amministrazione.
A cura di
Avv. Antonio Cordasco
Avv. Riccardo Lisi