Corte di Cassazione, I Sezione Civile, sentenza 02 aprile 2024, n. 8635
PRINCIPIO DI DIRITTO
Con riferimento agli oneri di urbanizzazione, perché l’obbligazione di pagamento si trasmetta in capo ai successivi cessionari, se essi non se la sono espressamente accollata con il loro atto di acquisto, è necessario che la trasmissione sia prevista nell’atto di convenzione fra il comune e il concessionario.
Difatti, la natura reale dell’obbligazione riguarda i soli soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione, e quelli che realizzano l’edificazione avvalendosi della concessione rilasciata al loro dante causa, avendo, pertanto, la qualificazione di obbligazione propter rem rilievo nel rapporto tra Comune e soggetto proprietario dell’area fabbricabile (cui viene rilasciato il provvedimento permissivo della costruzione).
Di contro, al di fuori di tale rapporto, qualora il soggetto titolare del provvedimento concessorio, avendo eseguito le opere di urbanizzazione, intenda rivalersi della spesa già sostenuta presso i diversi soggetti successivamente divenuti proprietari della medesima area fabbricabile, tale prestazione è ottenibile soltanto in virtù di un’espressa pattuizione negoziale, nella quale non rileva più il carattere reale dell’obbligazione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3, cod. proc. civ., il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’istituto dell’accollo interno e agli artt. 1273 e 1322 cod. civ.
5.1. Secondo il Comune, nel caso in esame gli appellati, tramite accollo interno contenuto nell’atto di acquisto, avevano accettato di pagare quanto oggetto di ingiunzione. Il Comune osserva che nella convenzione fra il Comune di Torremaggiore e la Cooperativa Giardini, stipulata ai sensi dell’art.35 della legge n.865 del 1971 in data 18.11.1981 a rogito del Notaio Eccellente e trascritta presso la Conservatoria del registro immobiliare di Lucera, era prevista la clausola di conguaglio con cui il Comune si riservava di chiedere il pagamento dei costi sopportati per l’acquisizione dei suoli e degli oneri di urbanizzazione, dopo la loro determinazione definitiva.
Aggiunge poi il ricorrente che nell’atto del 19.12.1996, a rogito del Notaio Cassano, fra i coniugi Fortinguerra-Garofalo e gli originari assegnatari coniugi Fortinguerra-Schiavone, la parte acquirente aveva dato atto di ben conoscere i vincoli edilizi, obblighi e divieti derivanti dalla predetta convenzione del 18.11.1981, nonché della disciplina legislativa, regolarmente e contrattuale.
Diversamente, quindi, da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, gli appellati si erano espressamente accollati il pagamento del costo dei suoli e nell’atto di acquisto non vi era solo un generico richiamo con formula di stile a ogni altro diritto, azione, ragione, pertinenza o dipendenza. Il Comune conclude rilevando di aver mostrato con la richiesta ingiuntiva di voler aderir ai sensi dell’art.1273 cod.civ. alla pattuizione di accollo esterno contenuta nell’atto di vendita.
5.2. Il motivo, che prescinde dall’esistenza di un obbligo legale e fa quindi leva su un impegno assunto contrattualmente dagli attuali controricorrenti, appare inammissibile.
5.3. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di modificazione del lato soggettivo dell’obbligazione, l’accollo c.d. semplice o interno, non previsto dal codice civile, si distingue dall’accollo c.d. esterno, previsto viceversa dall’art. 1273 cod.civ., poiché il primo non attribuisce alcun diritto al creditore e non modifica i soggetti dell’originaria obbligazione, a differenza del secondo, che configura un contratto a favore del terzo, con la conseguenza che nell’accollo interno il terzo assume obbligazioni e risponde del relativo adempimento nei confronti del solo accollato e non anche nei confronti del creditore, che resta del tutto estraneo all’accordo anche quando vi aderisca, derivando da tale adesione il solo effetto di rendere irrevocabile la relativa stipulazione senza assumere carattere necessario ai fini della modificazione soggettiva del rapporto obbligatori. (Sez. 2, n. 38225 del 3.12.2021).
Nell’accollo cumulativo esterno non liberatorio per il debitore originario (che si perfeziona con il consenso del creditore, il quale può aderire alla convenzione di accollo anche successivamente, in tal modo acquisendo il diritto ad ottenere l’adempimento nei confronti del terzo) l’obbligazione dell’accollato, in analogia alla disciplina dettata per la delegazione dall’art. 1268, secondo comma, cod. civ., degrada ad obbligazione sussidiaria, con la conseguenza che il creditore ha l’onere di chiedere preventivamente l’adempimento all’accollante, anche se non è tenuto ad escuterlo preventivamente, e soltanto dopo che la richiesta sia risultata infruttuosa può rivolgersi all’accollato (Sez. 2, n. 4482 del 24.2.2010; Sez. 3, n. 9982 del 24.5.2004).
5.4. Occorre in primo luogo ricordare che il vizio di violazione di legge (quanto alla violazione di legge in senso proprio) ricorre in ipotesi di erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, nonché di attribuzione ad essa di un significato non appropriato, ovvero (quanto alla falsa applicazione), alternativamente, nella sussunzione della fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perché, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro, od altresì nella deduzione dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, di conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Sez.1, 26.9.2005, n. 18782; Sez. 5, n. 23851 del 25.9.2019; Sez. 1, n. 3340 del 5.2.2019; Sez. 1, n. 640 del 14.1.2019, Sez. 1, n. 24155 del 13.10.2017; Sez.3, n.7187 del 4.3.2022).
Dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va difatti tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge.
Il discrimine tra le due ipotesi — violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta — è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez.lav. 11.1.2016, n. 195; Sez.5, 30.12.2015, n. 26110; Sez.5. 4.4.2013, n.8315; Sez.lav. 16.7.2010, n. 16698; Sez.lav. 26.3.2010, n. 7394; Sez. Un., 5.5.2006, n. 10313).
Nel caso di specie, la censura non si cimenta affatto con il significato e la portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, ma consiste nella critica della valutazione del materiale istruttorio svolta dalla Corte territoriale nel ritenere che con l’atto del 17.12.1996 i coniugi Fortinguerra e Garofalo si fossero espressamente accollati il debito della Cooperativa nei confronti del Comune.
Ciò è stato escluso dalla Corte territoriale in difetto di una chiara e inequivoca volontà di accollarsi il debito relativo al conguaglio per costo suolo e oneri di urbanizzazione manifestata in atto dai controricorrenti, non desumibile dal semplice richiamo della Convenzione.
- Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3, cod.proc.civ., il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.2643, 2644, 2645 cod.civ. e dell’art.35 della legge 865 del 1971 e sostiene che la Convenzione avente ad oggetto i terreni del PEEP era stata trascritta nei registri immobiliari ed era pertanto opponibile ai successivi acquirenti a prescindere dall’accollo.
6.1. Secondo il Comune era sufficiente la convenzione predetta, debitamente trascritta, a concretare vincoli generali di contenuto reale e una obbligazione propter rem opponibile ai successivi aventi causa, mentre non aveva rilievo nella fattispecie la noma dell’art.16 del d.p.r. 380 del 2001 in tema di oneri di urbanizzazione, al quale aveva fatto riferimento la Corte di appello.
6.2. L’art.35 della legge 22.10.1971 n. 865, recante «Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata», ha previsto l’espropriazione delle aree comprese nei piani approvati a norma della legge 18.4.1962, n. 167, dai comuni o dai loro consorzi e la loro destinazione, salvo quelle cedute in proprietà ai sensi dell’undicesimo comma, a far parte del patrimonio indisponibile del comune o del consorzio, con la concessione del diritto di superficie per la costruzione di case di tipo economico o popolare e dei relativi servizi urbani e sociali.
La concessione è deliberata dal consiglio comunale o dall’assemblea del consorzio e con la stessa delibera viene determinato il contenuto della convenzione da stipularsi, per atto pubblico, da trascriversi presso il competente ufficio dei registri immobiliari, tra l’ente concedente ed il richiedente.
La convenzione (secondo il comma 8) deve prevedere, tra l’altro, il corrispettivo della concessione e le modalità del relativo versamento, determinati dalla delibera di cui al settimo comma con l’applicazione dei criteri previsti dal dodicesimo comma e il corrispettivo delle opere di urbanizzazione da realizzare a cura del comune o del consorzio, ovvero qualora dette opere vengano eseguite a cura e spese del concessionario, le relative garanzie finanziarie, gli elementi progettuali delle opere da eseguire e le modalità del controllo sulla loro esecuzione, nonché i criteri e le modalità per il loro trasferimento ai comuni od ai consorzi.
6.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di edilizia residenziale pubblica, in applicazione dell’art. 35, comma 12, della l. 865 del 1971, il prezzo della cessione delle aree destinate alla costruzione di case economiche e popolari deve assicurare al Comune – in applicazione del principio di perfetto pareggio economico, operante anche prima dell’entrata in vigore della l. n. 662 del 1996 – la copertura di tutte le spese sostenute per l’acquisizione delle aree, ivi comprese quelle riguardanti i giudizi relativi alla determinazione delle indennità di esproprio.
Il Comune può, pertanto, agire nei confronti degli assegnatari degli alloggi realizzati dalla cooperativa edilizia concessionaria, per ottenere il pagamento pro quota dei maggiori oneri derivanti da tale contenzioso, potendo a loro volta gli assegnatari opporre la negligenza dell’ente nella gestione della lite, quale causa dell’insorgenza delle ulteriori spese (Sez. 1, n. 21572 del 7.7.2022; (Sez. 1, n. 14782 del 10.7.2020, Sez. 1, n. 13595 del 2.7.2020; Sez. 1, n. 12545 del 18.5.2017).
È stato al proposito chiarito che l’art. 35, commi 8 e 12, della legge n. 865 del 1971, non contempla alcun elemento di tale natura in grado di limitare l’estensione semantica solo ad alcune spese della procedura, quali sarebbe nella logica della decisione il costo delle aree, e non piuttosto a tutte le spese della procedura.
Si è anche aggiunto, in sintonia con il giudice amministrativo, che il concetto di spesa fatto proprio dalla norma non è fruibile fuori dalla correlazione con quello di acquisizione e, più in generale, fuori dalla correlazione con il procedimento espropriativo nel suo complesso, sicché esso ubbidisce, sullo sfondo delle molteplici vicende che ne possono interessare il corso, allo statuto tipico di una grandezza variabile, nel senso che così come può essere spesa ripetibile il solo costo delle aree allorché la comunicazione della stima dell’indennità sia stata accettata dal proprietario, come nel caso della cessione volontaria, del pari dovranno ritenersi pure ripetibili i costi sostenuti dall’ente espropriante nel giudizio promosso a mente del d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 54, l’uno e gli altri invero costituendo spesa sostenuta per l’acquisizione, tanto se la determinazione delle indennità sia fatta oggetto come qui di una riserva conguaglio, fatalmente destinata a riflettere i diversi accidenti che si ricollegano all’istituto.
Le controversie promosse dall’ente concedente per il recupero degli oneri sottesi alla cessione del diritto di superficie nei confronti dei soggetti attuatori dei programmi di edilizia residenziale pubblica ex art. 35 l. n. 865 del 1971, ove non comportanti la spendita di poteri pubblicistici ma volte esclusivamente al reclamo di oneri patrimoniali, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario. (Sez. U, n. 16083 del 9.6.2021).
Tuttavia l’art. 35 predetto non afferma come contenuto necessario della convenzione la previsione dell’impegno dei futuri cessionari dei diritti immobiliari al subentro nel lato passivo dell’obbligazione di pagamento dei conguagli al soggetto beneficiario stipulante la convenzione e si limita a prevedere lo strumento idoneo a renderlo possibile, con la trascrizione nei registri immobiliari.
6.4. Come osservato nell’ordinanza interlocutoria, al riguardo sono possibili due diverse interpretazioni.
6.4.1. Secondo una prima ricostruzione, perché l’obbligazione di pagamento si trasmetta in capo ai successivi cessionari, se essi non se la sono espressamente accollata con il loro atto di acquisto, è necessario che la trasmissione sia prevista nell’atto di convenzione fra il comune e il concessionario.
Si osserva a tal proposito che l’art. 35 predetto, di per sé, non esige il subentro dei successivi acquirenti e le finalità di interesse pubblico al pareggio di bilancio possono essere astrattamente soddisfatte con l’attribuzione dell’obbligazione di conguaglio a carico del concessionario, che, peraltro, ha tutto l’interesse, a prevedere in convenzione il meccanismo traslativo e a imporlo negli atti di successiva assegnazione; inoltre lo stesso Comune può esigere l’introduzione di una siffatta clausola nella convenzione.
Se tuttavia neppure la convenzione contempla la clausola relativa al subentro, l’obbligazione di rimborso ex art. 35 l. 865/1971 non si trasferisce agli acquirenti delle unità immobiliari perché tale effetto non è previsto dalla legge; inoltre la trascrizione, se pur rende opponibile la convenzione agli aventi causa, non può creare una obbligazione che non è prevista dalla convenzione stessa.
Si aggiunge che le obbligazioni propter rem sono tipiche e presuppongono una previsione normativa.
Si osserva ancora che la giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che il comune può agire nei confronti degli assegnatari degli alloggi realizzati dalla cooperativa edilizia concessionaria, per ottenere il pagamento pro quota dei maggiori oneri derivanti dal contenzioso relativo all’acquisto dei suoli (potendo a loro volta gli assegnatari eccepire la mala gestio dell’ente quale causa dell’insorgenza delle ulteriori spese) presupponeva l’esistenza dell’obbligazione, senza chiarirne la fonte, ben potendo questa derivare nei casi concreti da una previsione espressa della convenzione trascritta.
Si ricorda infine che in tema di convenzioni di lottizzazione e di recupero delle spese inerenti gli oneri di urbanizzazione la giurisprudenza afferma che l’adempimento dell’obbligazione di realizzare le opere di urbanizzazione (primaria e secondaria), assunta dal privato lottizzatore nei confronti del Comune con la convenzione di lottizzazione (ai sensi della legge n. 765 del 1967) non può essere preteso in via giurisdizionale e coattiva a carico degli aventi causa dal lottizzatore resisi acquirenti di singoli lotti di terreno edificati, stante la loro estraneità alla convenzione; l’assunzione, da parte del proprietario del fondo, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota degli oneri delle opere di urbanizzazione secondaria (cui è subordinata l’autorizzazione per la lottizzazione) costituisce un’obbligazione propter rem, dovendo dette opere essere eseguite da coloro che sono proprietari al momento del rilascio della concessione edilizia, i quali ben possono essere soggetti diversi da quelli che stipularono la convenzione, per avere da questi acquistato una parte del suolo su cui far sorgere singoli (o gruppi di) lotti.
Tuttavia, la natura reale dell’obbligazione non riguarda le persone che utilizzano le opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione, senza avere con questi ultimi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa concessione edilizia, sono tenute a pagare al comune concedente, per loro conto, i relativi oneri di urbanizzazione.
Conseguentemente, se la qualificazione di obbligazione propter rem ha rilievo nel rapporto tra comune e soggetto proprietario dell’area fabbricabile (cui viene rilasciato il provvedimento permissivo della costruzione), al di fuori di tale rapporto, qualora il soggetto titolare del provvedimento concessorio, avendo eseguito le opere di urbanizzazione, intenda rivalersi della spesa già sostenuta presso i diversi soggetti successivamente divenuti proprietari della medesima area fabbricabile, tale prestazione è ottenibile soltanto in virtù di un’espressa pattuizione negoziale, nella quale non rileva più il carattere reale dell’obbligazione. (Sez. 2, n. 16401 del 28.6.2013; Sez. 3, n. 16999 del 20.8.2015).
6.4.2. Secondo una diversa ricostruzione, l’obbligazione di tener indenne il comune dai costi sostenuti per l’acquisto dei suoli mediante le procedure espropriative, in omaggio all’esigenza pubblicistica preminente del pareggio di bilancio, deve gravare sui successivi acquirenti degli immobili costruiti sui terreni espropriati, in guisa di obbligazione propter rem, con inserzione automatica della relativa clausola nelle convenzioni, non avendo altrimenti senso e funzione la previsione vincolante della necessaria trascrizione delle convenzioni, che serve appunto a trasferire la responsabilità di tener indenne il comune in capo a chi ha conseguito l’unità immobiliare costruita sul terreno espropriato.
6.5. È opinione di questa Corte che la prima ricostruzione sia quella corretta e che sia necessario che la trasmissione sia prevista nell’atto di convenzione perché l’obbligazione di pagamento sussista in capo ai successivi cessionari.
Infatti la norma di legge, di per sé, non esige il subentro dei cessionari e le finalità di interesse pubblico al pareggio di bilancio possono essere astrattamente soddisfatto con l’attribuzione dell’obbligazione di conguaglio a carico dell’assegnatario dei terreni espropriati, che, peraltro, ha tutto l’interesse, a prevedere in convenzione il meccanismo traslativo e a imporlo negli atti di successiva assegnazione. La trascrizione della convenzione può assolvere la sua funzione pubblicitaria se e in quanto il trasferimento ai successivi acquirenti sia stato convenzionalmente previsto e pattuito.
6.6. Ora, nella specie, come accertato dalla Corte di appello sulla base delle stesse allegazioni del Comune, con la convenzione il Comune di Torremaggiore si era riservato, tramite la clausola di conguaglio, il diritto di chiedere il pagamento dei costi sopportati «nei confronti della cooperativa assegnataria dei suoli PEEP e dei propri aventi causa».
Al di là dell’uso evidentemente ambiguo dell’aggettivo «proprio» (id est: , non sfuggito al rilievo della Corte territoriale, la sentenza impugnata ha ritenuto che i successivi acquirenti dell’unità immobiliari, aventi causa dai primi assegnatari coniugi Fortinguerra-Schiavone non potessero configurarsi come aventi causa né dalla cooperativa assegnataria, né dal Comune (pag.4, quartultimo capoverso).
Ciò, evidentemente, sulla base di una interpretazione restrittiva della nozione di avente causa accolta dai giudici del merito (che restringeva il concetto ai primi assegnatari delle unità immobiliari della cooperativa) e rimasta esente da specifiche e pertinenti censure nel ricorso del Comune, che avrebbero dovuto criticare l’operazione ermeneutica con riferimento alla violazione dei criteri dettati dalla legge (art.1362 e seguenti cod.civ.).
Non può essere condiviso quanto afferma il ricorrente a pag. 29 del proprio ricorso, laddove assume che per effetto del dettato normativo la nascita dell’obbligazione propter rem degli aventi causa è subordinata a due condizioni e cioè la successione nella posizione del costruttore e la trascrizione nei registri immobiliari dell’onere assunto dal costruttore. Ve ne è infatti una terza e cioè che la convenzione preveda il subentro di tutti i successivi aventi causa dal costruttore e non solo del primo di essi: ed è quel che la Corte territoriale ha espressamente negato nella fattispecie con statuizione non censurata.
6.7. Detto ciò, non giova al ricorrente la diversa prospettiva con cui cerca di perorare la propria tesi con l’equiparazione delle convenzioni ex art.35 della legge 865/1971 alle convenzioni di lottizzazione, quantomeno ai fini del recupero delle spese inerenti gli oneri di urbanizzazione.
La giurisprudenza a tal fine richiamata (Sez.2, 11.2.1994 n. 1384; Sez.2 20.12.1994 n. 10947) afferma infatti le disposizioni dei piani privati di lottizzazione, non costituiscono norme edilizie, agli effetti previsti negli artt. 871, 872 ed 873 cod.civ., anche quando i piani stessi siano approvati (ai sensi dell’art. 28 della legge n. 1150 del 1942) ovvero autorizzati (a norma dell’art. 8 della legge n. 765 del 1967), e che la disciplina di diritto privato consente di attribuire loro vincolatività generale con l’inserimento in rapporti di contenuto reale ed assoluto, per mezzo degli strumenti del contratto, anche a favore di terzo, o della trascrizione.
Dal che discende, precisa la Corte, che l’adempimento dell’obbligazione di realizzare le opere di urbanizzazione (primaria e secondaria), assunta dal privato lottizzatore nei confronti del Comune con la convenzione di lottizzazione (ai sensi della legge n. 765 del 1967) non può essere preteso in via giurisdizionale e coattiva a carico degli aventi causa dal lottizzatore resisi acquirenti di singoli lotti di terreno edificati, stante la loro estraneità alla convenzione.
6.8. Il che riporta al punto di partenza: e cioè che occorre che la convenzione preveda l’onere a carico di tutti i successivi aventi causa. Valgono al proposito i principi ancora di recente espressi da questa Corte che ha affermato che l’assunzione, da parte del proprietario del fondo, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota degli oneri delle opere di urbanizzazione secondaria (cui è subordinata l’autorizzazione per la lottizzazione) costituisce un’obbligazione propter rem, dovendo dette opere essere eseguite da coloro che sono proprietari al momento del rilascio della concessione edilizia, i quali ben possono essere soggetti diversi da quelli che stipularono la convenzione, per avere da questi acquistato una parte del suolo su cui far sorgere singoli (o gruppi di) lotti.
Tuttavia, la natura reale dell’obbligazione non riguarda le persone che utilizzano le opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione, senza avere con questi ultimi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa concessione edilizia, sono tenute a pagare al Comune concedente, per loro conto, i relativi oneri di urbanizzazione.
Conseguentemente, se la qualificazione di obbligazione propter rem ha rilievo nel rapporto tra Comune e soggetto proprietario dell’area fabbricabile (cui viene rilasciato il provvedimento permissivo della costruzione), al di fuori di tale rapporto, qualora il soggetto titolare del provvedimento concessorio, avendo eseguito le opere di urbanizzazione, intenda rivalersi della spesa già sostenuta presso i diversi soggetti successivamente divenuti proprietari della medesima area fabbricabile, tale prestazione è ottenibile soltanto in virtù di un’espressa pattuizione negoziale, nella quale non rileva più il carattere reale dell’obbligazione (Sez. 2, n. 16401 del 28.6.2013; Sez. 3, n. 16999 del 20.8.2015).
6.9. Merita quindi condivisione quanto osservato dal Procuratore Generale, secondo il quale la natura reale dell’obbligazione riguarda i soli soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione, e quelli che realizzano l’edificazione avvalendosi della concessione rilasciata al loro dante causa. L’individuazione dei soggetti obbligati propter rem, quindi, deve ritenersi limitata a tali sole categorie di soggetti, risultando invece esclusi dall’area degli obbligati a tale titolo, tra gli altri i soggetti successivi acquirenti da chi ha realizzato la costruzione sulla base della concessione.
Al di fuori di tale perimetro, invece, qualora il soggetto titolare del provvedimento concessorio, avendo eseguito le opere di urbanizzazione, intenda rivalersi della spesa già sostenuta presso i diversi soggetti successivamente divenuti proprietari della medesima area fabbricabile, ovvero agisca l’Ente pubblico interessato al recupero dei costi delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, tale prestazione è ottenibile soltanto in virtù di un’espressa pattuizione negoziale, estranea alla concreta fattispecie, nella quale non rileva più il carattere reale dell’obbligazione.
Tali principi sono stati di recente seguiti da Sez. 1, n. 35517 del 19.12.2023; Sez. 1, n. 16339 dell’8.6.2023; Sez. 2, n. 3511 del 6.2.2019, Sez. 3, n. 27175 del 28.12.2016.
- Il ricorso deve quindi essere complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.