Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 7 febbraio 2024, n. 1241
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- In via preliminare, occorre esaminare i vizi di cui all’appello incidentale, in quanto potenzialmente dotati di effetti assorbenti in relazione alle censure di primo grado, riproposte con l’appello principale.
1.1 Infatti, se con quest’ultimo risultano impugnati i titoli rilasciati in sanatoria in favore di parte appellante incidentale, quest’ultima ha impugnato la sentenza di prime cure – in primo luogo – nella parte in cui ha rigettato l’eccezione preliminare di tardività dell’impugnativa.
- A quest’ultimo proposito, il primo motivo di appello incidentale appare fondato in parte qua.
2.1 In linea di diritto, va ribadito che, nel caso di titolo edilizio assentito in sanatoria, il termine dell’impugnazione decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, sia stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria, circostanza che deve essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la tardività dell’impugnazione
2.2 Infatti, come già evidenziato anche da questa sezione, in conformità alla natura ed alla modalità d’esecuzione delle opere, in materia occorre tenere separato il regime d’impugnazione del titolo edilizio “ordinario” da quello applicabile al titolo edilizio “in sanatoria”.
2.2.1 Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dal completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell’intervento in precedenza assentito (cfr. fra le tante, Cons. St., Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15; Cons. St., sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705).
2.2.2 Nel secondo caso, il termine decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2007, n. 6674 e sez. II, 03/11/2023, n. 9520).
2.3 Quindi, il termine d’impugnazione di un titolo in sanatoria decorre dal momento in cui si conosca la circostanza del rilascio del medesimo atto per una determinata opera già esistente; la cui conoscenza deve essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la tardività dell’impugnazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 21 dicembre 2004, n. 8147; sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1699, sez. VI – 10 settembre 2018, n. 5307).
2.4 Va quindi ribadito che il destinatario di un provvedimento di sanatoria edilizia (che costituisce, pur sempre, una peculiarità dell’ordinamento, da tenere distinta dall’ipotesi del rilascio ordinario del titolo) non può beneficiare anche della decorrenza dalla pubblicazione all’albo pretorio del termine di impugnativa del provvedimento a lui favorevole; beneficio di cui neppure gode chi abbia (secondo l’ordinamento) ottenuto il rilascio di un provvedimento autorizzatorio prima dell’inizio dei lavori.
2.5 Pertanto, applicando tali coordinate al caso di specie, se da un canto il beneficiario del titolo in sanatoria non si può avvalere della decorrenza del termine con la mera pubblicazione all’albo pretorio, dall’altro canto occorre verificare gli elementi di prova in ordine al momento in cui vi sia stata la conoscenza della circostanza del rilascio del medesimo atto per una determinata opera già esistente.
2.6 […].
2.7 […].
2.8 […] in relazione al ricorso principale di primo grado non è stata fornita alcuna prova concreta e quindi utile in ordine alla conoscenza anticipata – rispetto alla notifica del ricorso introduttivo – della circostanza del rilascio del titolo impugnato.
2.9 […].
2.9.1 In proposito, una volta esercitato l’accesso ed acquisito l’atto di sanatoria – non a caso tempestivamente impugnato – è da ritenersi provata la conoscenza del relativo procedimento e dei documenti ivi chiaramente indicati, non potendo rimettersi la relativa decorrenza al comportamento dilatorio dello stesso interessato, il quale è chiamato ad attivarsi, in termini di ordinaria diligenza. Altrimenti opinando le fondamentali ricadute del termine decadenziale fissato ex lege per l’impugnativa e la connessa definitività degli atti amministrativi sarebbero, in termini inammissibili, rimesse alla mera valutazione egoistica di una controparte privata.
- L’accoglimento in parte qua del primo motivo di appello incidentale comporta l’irricevibilità dei motivi aggiunti di ricorso, con conseguente inammissibilità dei correlati motivi di appello con cui, attraverso la critica alla sentenza di primo grado, parte appellante principale ripropone nella presente sede i motivi aggiunti medesimi.
- Occorre quindi procedere all’esame dei restanti motivi: il secondo motivo di appello incidentale e i primi due motivi di appello principale, tempestivamente dedotti in prime cure con il ricorso principale.
- Il primo motivo di appello incidentale è fondato.
5.1 La norma applicata dalla sentenza impugnata (art. 146 comma 6 cit.) prevede che gli enti delegati debbano disporre “di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”.
5.2 La differenziazione riguarda pertanto la sostanza della valutazione e dei relativi elementi, non potendo imporsi anche la distinzione fisica e soggettiva delle persone chiamate allo svolgimento di valutazioni differenti. Costituisce regola logica quella per cui singoli soggetti e funzionari possono avere professionalità estese, tanto da poter essere chiamati, nel tempo, allo svolgimento di funzioni diverse, anche al fine di garantire la rotazione negli uffici, nonchè effetti di trasparenza e di prevenzione rispetto a rendite di posizione.
5.3 Come già evidenziato dalla sezione, in generale, ai sensi dell’art. 146, comma 6 cit. gli enti delegatari (come il Comune) del potere di autorizzazione paesaggistica debbono disporre «di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanisticoedilizia». La doverosa distinzione organizzativa, infatti, riflette la distinzione sostanziale tra la funzione di tutela del paesaggio e quella di governo del territorio o urbanistica: è una distinzione che ha base nell’art. 9 Cost. (e oggi è confermata dall’art. 117, comma 2, lett. s), Cost.): la separazione organizzativa a livello comunale è voluta dalla legge ad adeguata prevenzione della possibile commistione in capo al Comune delle due competenze e a evitare che la valutazione urbanistica possa incidere sull’autonomia di quella, superiore e delegata, paesaggistica (non a caso l’art. 146, comma 4, prevede che « l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio »; cfr. anche art. 45, comma 2; art. 143, comma 4, lett. a), comma 5 e comma 9; art. 145, spec. commi 3, 4 e 5; art. 146, commi 5 e 6; art. 155, comma 2-bis; art. 159, comma 6): la quale ultima deve essere organizzativamente posta, nel Comune, in condizione di non subire incidenze gerarchiche o condizionamenti di sorta. In relazione alla differenziazione imposta dall’art. 146, comma 6, d.lg. n. 42/2004, va assicurata sia la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico sia la separazione organizzativa suddetta.
5.4 […].
5.5 […].
5.6 […].
5.7 […].
5.8 In tale contesto, la disposizione invocata col motivo in esame – come emerge dalla sua stessa formulazione – è nata all’evidenza come norma di carattere programmatorio, il cui destinatario primario è la Regione la quale, nel valutare la tipologia di organo cui eventualmente delegare la funzione in parola, deve valutare gli elementi indicati dal legislatore; al riguardo, è possibile, come fatto in altre in altre Regioni, individuare elenchi di comuni aventi le necessarie caratteristiche, ovvero incentivare forme di associazione e cooperazione fra comuni per l’esercizio di tale funzione. Nel caso in esame, in assenza di tali adempimenti regionali, valgono le considerazioni predette, non potendo farsi cadere a carico dei singoli comuni, in termini di illegittimità di singoli atti per mera incompatibilità soggettiva, una previsione programmatoria quale quella invocata.
- Passando all’esame dei motivi di primo grado ricevibili, reiterati con i primi due motivi di appello principale, in relazione ad entrambi si pone la questione concernente la verifica della consistenza e della eventuale sussistenza dell’elemento – ostativo al rilascio della sanatoria paesaggistica – concernente l’incremento di superficie utile.
6.1 In proposito, giova ribadire che il rinvio ai concetti di volumetria e superficie utile, di cui all’art. 167, comma 4, d.lg. n. 42/2004, per cui l’autorità preposta alla gestione del vincolo nei casi indicati accerta la compatibilità paesaggistica, deve interpretarsi nel senso di un rinvio, in via primaria, al significato tecnico – giuridico che tali concetti hanno in materia urbanistico – edilizia, in quanto si tratta di nozioni tecniche non specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, bensì dalla normativa urbanistico – edilizia. In tema di compatibilità paesaggistica, anche ai fini di certezza del diritto, non può ritenersi ammissibile che, in ambito paesaggistico ex art. 167 d.lg. n. 42/2004, il concetto di superficie utile possa avere un significato diverso e più ampio rispetto a quello utilizzato nella materia urbanistica ed edilizia, tale da ricomprendervi sempre e comunque superfici calpestabili esterne (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 17/03/2022, n. 1932). Ad esempio, il mero ampliamento di superfici esterne accessorie, qualificabili come balconi, ballatoi o terrazze, non costituisce da sé solo motivo ostativo all’avvio del procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma, atteso che l’art. 167 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 annovera — tra le cause ostative alla sanatoria — la creazione delle sole superfici utili e non anche delle superfici accessorie (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 26/04/2021, n. 3352).
- Applicando tali coordinate alla presente fattispecie, con riferimento alla “copertura della pergola”, va condivisa la conclusione del Tar, dovendosi ritenere, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che, nel caso di specie, non sono stati create nuove superfici utili o volumi, posto che non si tratta di una veranda, bensì di una tettoia coperta, avuto riguardo alla quale l’unica novità rispetto alla situazione pregressa è l’inserimento di una perlina di legno sotto le canne, per cui non può ritenersi realizzato alcuna nuova superficie utile o volume.
7.1 Pertanto il primo motivo di appello va respinto.
- A diverse conclusioni deve giungersi in ordine al secondo motivo, concernente i lavori realizzati su di una veranda, già autorizzata e posta sul lato monte, della superficie di 14,30 mq. La relazione tecnica allegata alla domanda spiegava che nella veranda coperta lato ingresso “sono stati realizzati dei piani in muratura (vedi documentazione fotografica), un piccolo ampliamento in lunghezza della veranda coperta e l’arretramento della porzione di muro esterno, con conseguente diminuzione dei volumi”.
8.1 […]
- Alla luce delle considerazioni che precedono: va accolto l’appello incidentale nei termini predetti; va accolto l’appello principale limitatamente al secondo motivo di appello; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso originario va accolto limitatamente alla veranda posta a lato monte, respinto nel resto del ricorso principale e con declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti. Sussistono giusti motivi, anche a fronte della soccombenza reciproca, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.