Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza 28 gennaio 2025, n. 631
PRINCIPIO DI DIRITTO
sebbene la pubblica Amministrazione non sia tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi, del titolo di disponibilità allegato dal richiedente, essa ha comunque l’onere di verificare la legittimazione di tale soggetto, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
1.L’appello è fondato nei sensi appresso precisati.
- Con il primo motivo di appello si censura la sentenza laddove non ha rilevato l’inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto non notificato ad alcun controinteressato.
Ritiene parte appellante che il T.A.R., una volta ritenuto che l’oggetto della locazione fosse individuabile nel lastrico solare di proprietà comune, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso per mancata notificazione ad almeno uno dei controinteressati da identificarsi nel condominio in via di costituzione ovvero nei «proprietari comuni del lastrico solare”.
Si osserva, in proposito, che il provvedimento gravato in prime cure individuerebbe espressamente tali soggetti come controinteressati laddove ritiene che l’omesso assenso dei comproprietari e, per essi, del costituendo condominio, renderebbe la S.C.I.A. inefficace.
Sotto il profilo dell’integrità del contraddittorio non assumerebbe dunque rilievo la notifica a Wind Tre S.p.a. in quanto unico terzo evocato in termini di cointeresse e non di controinteresse.
Ne deriva, secondo parte appellante, la inammissibilità della costituzione di Wind Tre S.p.A. in primo grado in quanto cointeressato irritualmente costituito in giudizio.
2.1 Con il secondo motivo di appello si ritiene la sentenza erronea laddove afferma che il contratto di locazione è elemento sufficiente a legittimare l’intervento oggetto di S.C.I.A., senza ulteriore necessità di verificare la sussistenza dell’assenso dei comproprietari del lastrico solare che non hanno sottoscritto il contratto stesso.
In particolare, osserva il Comune appellante che il lastrico solare descritto nel contratto di locazione non è di proprietà esclusiva del locatore DAMA costruzioni S.r.l. in liquidazione e Società Fratelli S.r.l. in liquidazione ma costituisce parte comune dell’edificio di cui è proprietario anche lo stesso Comune di Fiumicino. In presenza di più comproprietari, secondo parte appellante, assumerebbe rilievo assorbente il principio desumibile dall’art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001 secondo cui la presentazione di una pratica edilizia impone l’acquisizione dell’assenso di tutti i comunisti, presupposto di carattere sostanziale di avvio del procedimento.
Sulla base del menzionato principio, parte appellante osserva che sussiste un obbligo per il Comune di verificare il rispetto dei limiti privatistici da parte del soggetto che presenta l’istanza per il rilascio del titolo abilitativo edilizio, a condizione che tali limiti siano conoscibili e/o non contestati e ciò al fine di tradurre il controllo da parte dell’ente locale in una presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad una disamina dei rapporti tra i condomini. Nel caso di specie, invece, il Comune di Fiumicino, in qualità di comproprietario dell’immobile e del lastrico solare, ha accertato che il contratto di locazione sottoscritto da uno solo dei comproprietari e allegato alla S.C.I.A. non fosse idoneo in quanto carente dell’assenso degli altri comproprietari, elemento quest’ultimo che invece rappresenta presupposto sostanziale ai sensi degli artt. 90, 91, e 93 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Sotto altro profilo, osserva parte appellante che la questione privatistica, inerendo la legittimità dell’azione amministrativa inibitoria, rientrerebbe nella giurisdizione del giudice amministrativo in base all’art. 8 c.p.a..
2.2 Infine, con il terzo motivo di appello si censura la sentenza laddove ritiene che dal tenore letterale del contratto di locazione fosse facilmente individuabile il bene oggetto del diritto di godimento e che, pertanto, l’errata individuazione catastale del bene dovesse ritenersi irrilevante.
Secondo la tesi di parte appellante l’errore in merito all’individuazione della particella oggetto della locazione non rappresenterebbe un mero errore materiale in quanto non avrebbe consentito all’amministrazione di procedere alla verifica circa la legittimità dell’intervento, attraverso la corrispondenza tra particella, proprietario e locatore, elemento indispensabile per il rilascio del titolo edilizio. Nel caso di specie, l’errore sarebbe particolarmente significativo in quanto la particella erroneamente indicata, e corrispondente al parcheggio dell’immobile, sarebbe di esclusiva proprietà del locatore mentre la particella coincidente con il lastrico solare sarebbe di proprietà di più condomini, richiedendosi in tale ultimo caso l’assenso di tutti i comunisti.
Sotto altro profilo, l’errata indicazione della particella interessata dall’intervento edilizio avrebbe impedito al Comune di verificare se le locatrici potessero ancora disporre del lastrico solare e di cogliere l’esistenza della procedura esecutiva, di verificare l’attuale intestazione del cespite nonché l’esistenza di pignoramenti.
Si osserva che nel caso di specie:
– il contratto di locazione prodotto risale al 19 dicembre 2019 mentre la procedura di esecuzione immobiliare nei confronti di parte locatrice è risalente al 2014 e si è conclusa con decreto del Tribunale di Civitavecchia del 19 giugno 2020, trascritto il successivo 29 luglio (così come risultante dalla visura catastale sub 8 allegata alla memoria del Comune di Fiumicino del 26 luglio 2022);
– sulla base di quanto disposto dall’art. 560 c.p.c. è fatto divieto al debitore, anche se nominato custode al momento del pignoramento, ovvero ad altra persona nominata custode, di dare in locazione l’immobile pignorato senza l’autorizzazione del Giudice dell’esecuzione.
- È possibile procedere all’esame congiunto delle suddette censure.
In particolare, appare fondato, con valore assorbente di tutte le altre doglianze, il secondo motivo di appello.
Non v’è, infatti, dubbio che, come pure riconosciuto dal giudice di prime cure, la presentazione di una S.C.I.A., anche ai sensi dell’art. 87 bis D.lgs. n. 259/2003, presuppone ab imis che l’interessato abbia la disponibilità materiale e giuridica dell’area laddove intende realizzare l’intervento “segnalato”.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha, peraltro, chiarito che, “sebbene la pubblica Amministrazione non sia tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi, del titolo di disponibilità allegato dal richiedente, essa ha comunque l’onere di verificare la legittimazione di tale soggetto, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria” (Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2020, n. 865).
Più segnatamente, sulla scorta di tali considerazioni è stato condivisibilmente affermato che “È illegittimo l’operato dell’Amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia di inizio attività presentata da un privato per la realizzazione di un intervento edilizio incidente su un’area condominiale, ometta di verificare se vi sia l’autorizzazione del condominio (Cons. Stato sez. II, 12 febbraio 2021, n.1294).
Ne discende che ha errato il T.A.R. nell’affermare che l’amministrazione comunale non sarebbe abilitata al compimento di accertamenti non siano riconducibili al mero controllo estrinseco circa l’esistenza di un titolo idoneo che giustifichi la disponibilità del bene.
Del resto, sul piano normativo né la disciplina speciale di cui all’ormai abrogato art. 87-bis del d.lgs. n. 259 del 2003 (qui ratione temporis applicabile) né quella generale dell’art. 19 della l. n. 241 del 1990 in materi di S.C.I.A. predetermina in senso restrittivo contenuto e modalità delle verifiche cui è chiamata l’amministrazione che devono, invece, ritenersi ammissibili a largo spettro e, quindi, naturalmente estese anche alla reale legittimazione del soggetto che ha stipulato il contratto che costituisce titolo per la localizzazione delle opere a disporre dell’area.
Diversamente opinando si dovrebbe concludere, in maniera del tutto irragionevole, nel senso che l’amministrazione sarebbe tenuta semplicemente a prendere atto dell’esistenza di un titolo astrattamente idoneo a disporre dell’area ancorché lo stesso si riveli ictu oculi a ciò in concreto insufficiente (con inaccettabile pregiudizio ai terzi che, invece, vantino diritti sulla medesima area).
Non può del resto sfuggire che è la stessa legge generale sul procedimento a prevedere che le verifiche dell’amministrazione sulla S.C.I.A. possano (anzi debbano) essere effettuate nell’ottica della tutela dei terzi eventualmente investiti in senso negativo dall’attività che ne forma oggetto. E ciò, in particolare, prevedendo al secondo periodo del comma 6-ter dell’art. 19 della l. n. 241 del 1990 che “Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
3.1 Ebbene, facendo applicazione delle suddette coordinate al caso che occupa, preme rilevare che:
– le opere oggetto di S.C.I.A. hanno interessato il lastrico solare dell’immobile sito nel territorio comunale di Fiumicino, via Loano 1/13, distinto in Catasto al foglio 715, part. 2219;
– il contratto di locazione prodotto dalla società, pur riferendosi alla porzione di lastrico solare di circa mq. 18, da adibirsi a ricovero apparati, recava, invece, l’indicazione catastale del subalterno 505, identificativo del parcheggio antistante l’immobile di via Loano 1/13 e non anche del relativo lastrico solare;
– il lastrico solare descritto nel contratto di locazione non è di proprietà esclusiva del locatore DAMA costruzioni S.r.l. in liquidazione e della Società Fratelli S.r.l. in liquidazione ma costituisce, per le sue caratteristiche intrinseche, parte comune ex art. 1117 c.c. dell’edificio di cui è proprietario anche lo stesso Comune di Fiumicino;
– il predetto lastrico solare costituisce, quindi, bene comune e indiviso tra tutti i condomini dell’edificio, ivi incluso il Comune di Fiumicino;
– la parte locatrice risultava, all’atto della stipula del contratto di locazione de quo, sottoposta ad un procedimento esecutivo immobiliare (Tribunale di Civitavecchia – R.G. 276/2014) nel cui ambito era stato disposto un pignoramento ed ha successivamente anche perduto la proprietà dell’area per effetto del decreto del Tribunale di Civitavecchia del 19 giugno 2020.
Da quanto appena rilevato emerge, quindi, che la parte locatrice del contratto esibito in sede di S.C.I.A. non poteva autonomamente disporre dell’area interessata dalle opere. Ciò in quanto, da un lato, il pignoramento (poi sfociato nell’espropriazione) della res aveva fatto sorgere sulla stessa un vincolo di indisponibilità relativo superabile solo con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 560 c.p.c. e, dall’altro, si rendeva comunque necessaria, come messo in evidenza nel provvedimento gravato in prime cure, l’acquisizione del consenso degli altri comproprietari/ condomini dell’edificio, tra cui lo stesso Comune di Fiumicino, secondo le norme del Codice Civile.
Irrilevante resta, peraltro, la natura personale (e non anche reale) del rapporto tra locatore e conduttore trattandosi di circostanza che può, al più, assumere importanza sul piano civilistico della formale validità del titolo ma che non esclude, in punto di fatto, che l’attività edilizia possa essere svolta con pregiudizio dell’interesse e dei diritti dei terzi (id est, nel caso che occupa, tanto gli altri comproprietari quanto il creditore procedente nell’ambito della procedura espropriativa) incidendo su fruibilità e valore dell’immobile.
Non conferente appare, in questo senso, il precedente di questa Sezione (sentenza n. 8500/2024 del 23 ottobre 2024) evocato dalla difesa di Wind Tre S.p.A. nelle memorie ex art. 73 c.p.a. posto che tale arresto si riferisce a fattispecie diversa (non relativa all’esercizio di poteri di verifica in sede di S.C.I.A. ma al diniego di rilascio di titolo abilitativo) e si limita ad affermare la non necessarietà, secondo il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, della “dimostrazione della piena proprietà/disponibilità dell’area […] nella fase di presentazione dell’istanza per ottenere l’autorizzazione alla installazione dell’impianto” senza affrontare il tema, invece qui dirimente, della eventuale lesione a interessi o diritti dei terzi che può discendere dallo svolgimento dell’attività edilizia.
3.2 Il Comune di Fiumicino ha, quindi, correttamente rilevato l’insufficienza del titolo contrattuale esibito in sede di segnalazione certificata esercitando legittimamente i poteri inibitori attribuitegli dalla legge.
Il che porta, in riforma, della sentenza impugnata, alla reiezione nel merito, in quanto infondato, del ricorso di primo grado.
3.3 È appena il caso di notare che l’accertata fondatezza del secondo motivo di appello esonera dallo scrutinio tanto del primo quanto del secondo motivo di appello (dal cui accoglimento parte appellante non sarebbe in grado di ottenere alcuna ulteriore utilità).
In particolare, con riguardo al primo motivo di gravame, ogni profilo di eventuale inammissibilità del ricorso di primo grado (così come dell’atto di intervento della cointeressata Wind Tre S.p.A.) resta assorbito dalla intervenuta reiezione nel merito dello stesso. 4. Per le ragioni sopra esposte l’appello è fondato e va accolto. Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto, in quanto infondato, il ricorso di primo grado.
- Sussistono nondimeno, anche in ragione delle peculiarità della vicenda concreta, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.