Tar Campania Salerno, sezione II, sentenza 11 luglio 2024, n. 1460
PRINCIPIO DI DIRITTO
La natura giuridica della SCIA – che non è una vera e propria istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge – induce ad escludere che l’autorità procedente debba comunicare al segnalante l’avvio del procedimento prima dell’esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori; il denunciante la SCIA, infatti, è titolare di una posizione soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge che non ha bisogno di alcun consenso da parte della Amministrazione e, pertanto, la segnalazione di inizio attività non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, espresso o tacito, da parte dell’Amministrazione; in assenza di procedimento, non c’è spazio per la comunicazione di avvio, per il preavviso di rigetto o per atti sospensivi da parte dell’Amministrazione.
L’art. 37, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 contempla la SCIA in sanatoria a intervento concluso, che prevede che il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possano ottenere la sanatoria dell’intervento ove sussista la doppia conformità (l’intervento realizzato deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), versando una somma il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento (non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro).
Il procedimento involgente la c.d. Scia in sanatoria può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell’amministrazione procedente, pena la sussistenza di un’ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l’art. 37 non prevede esplicitamente un’ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell’art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento. Dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall’intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell’aumento di valore dell’immobile compiuta dall’Agenzia del Territorio. Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell’amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
La ricorrente è proprietaria di un immobile sito nel Comune di Tramonti alla località Casa Conte Superiore o Pietre Rotte della frazione Novella, identificato al foglio 20 particella 1458, in virtù di trasferimento ex artt. 586 e 788 c.p.c. della Corte d’Appello di Salerno dell’11 febbraio 2009 rep. n. 238 – cron. 269/09 – r. ord. 179/09.
In riferimento al citato immobile, la ricorrente presentava, in data 7.07.2009, DIA ex art.23 D.P.R. 380/2001, n.60/2009, prot. n. 6654, per la realizzazione di “lavori di risanamento conservativo”. Con ordinanza, n.15 del 23.03.2020, l’Ente intimava la rimozione delle seguenti opere abusive: Fabbricato distinto in catasto foglio n. 20 mappale N. 1458: realizzazione di una nuova finestra sul prospetto ovest; trasformazione di vano porta in finestra al locale bagno e aumento dell’altezza, di circa 25,00 cm del locale bagno; realizzazione di soppalco, su quota parte del soggiorno, adibito a camera da letto, avente altezza massima al centro della volta di mt 2,70 con conseguente altezza al di sotto di esso di mt 2,60 (misura sotto la trave di legno), non ai fini abitativi; realizzazione di un interpiano nei locali cucina e corridoio con creazione, sullo stesso, di un locale bagno e camera da letto, aventi altezze circa mt. 2,00 e mt. 1,90; inoltre il locale cucina ha, in tal modo, altezza di mt. 2,50 (misura sotto trave di legno); anche in questo caso i locali non hanno le altezze utili per l’abitabilità; realizzazione di intonaci e finiture esterne. Fabbricato distinto in catasto foglio n. 20 Mappale n. 1456: cambio della destinazione d’uso da deposito a residenziale, mediante anche realizzazione di impianti, intonaci interni ed esterni e apposizione di infissi; realizzazione di soppalco con creazione di camere da letto e bagno non aventi, le altezze necessarie per l’abitabilità. Realizzazione strada carrabile avente larghezza di circa 3,00 metri, che raggiunge il fabbricato contraddistinto dal mappale n. 1456. Essa si presenta pavimentata con battuto di cemento per un tratto di circa 6,00 metri, corredata da caditoie per la raccolta delle acque meteoriche e delimitata, in alcuni tratti, dai muri di contenimento dei terrazzamenti circostanti.
Con ordinanza n. 35 del 23.07.2020, l’Ente contestava, per il fabbricato, n. 20 mappale n. 1458, la variazione d’uso del fabbricato, mutato da deposito in residenziale.
Con istanza, prot. n. 7367 del 10.07.2020, la ricorrente formulava SCIA in sanatoria ex art. 37 D.P.R. 380/2001 e istanza di compatibilità paesaggistica ex art. 167 D.Lgs. 42/2004, in ordine ad una serie di opere già oggetto delle ordinanze di demolizione e riduzione in pristino, n. 15 del 23.03.2020 e n. 35 del 23.07.2020.
Con provvedimento, prot. n. 6034 del 16.05.2022, il Comune di Tramonti disponeva la mancata efficacia della suddetta SCIA. Avverso l’atto de quo e gli atti ad esso connessi, insorge la ricorrente in epigrafe, mediante gravame di annullamento, sorretto da una serie di censure di legittimità, variamente scandite nei diversi motivi di ricorso, così di seguito sintetizzate.
I)VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 23 E 37 DPR 380/01
– VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 19 – CO. IV – L. 241/90 IN RELAZIONE ALL’ART. 21 NOVIES L. CIT.
– ECCESSO DI POTERE PER INESISTENZA DEI PRESUPPOSTI IN FATTO E DIRITTO – DIFETTO ASSOLUTO DI MOTIVAZIONE E DI ISTRUTTORIA
– INGIUSTIZIA MANIFESTA
Parte ricorrente deduce l’illegittimità e l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2 comma 8-bis L.241/1990, del provvedimento di mancata efficacia della SCIA in ragione della cristallizzazione, in capo al privato, di una situazione giuridica positiva derivante dall’omesso esercizio dell’Amministrazione dei poteri inibitori entro il termine prescritto.
Pertanto, il provvedimento gravato si risolverebbe tutt’al più in una esplicazione dell’annullamento in autotutela.
Siffatto provvedimento sarebbe nondimeno viziato da difetto di motivazione. II)ILLEGITTIMITA’ PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO EX L. 241/90, NONCHE’ PER ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI
– VIOLAZIONE DEI CRITERI DI ECONOMICITÀ, EFFICACIA E PUBBLICITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA
– VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – INGIUSTIZIA MANIFESTA
La ricorrente deduce l’illegittimità dell’atto gravato per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.
In relazione al fabbricato distinto in catasto foglio n. 20 mappale n. 1458, la stessa rileva che la zona urbanistica E1 (zona agricola) nella quale si inseriscono gli immobili consente la categoria della “nuova costruzione”, logicamente inclusiva delle categorie di rango inferiore, come la “ristrutturazione edilizia” – tipologia di intervento invece giudicata dall’Ente come non consentita dalle NTA; contesta l’assunto dell’Amministrazione per il quale l’ispessimento del locale bagno costituirebbe nuova volumetria; evidenzia che il differenziale di altezza sotto soppalco rientra nella soglia di tolleranza del 2%.
In relazione al fabbricato distinto in catasto foglio. n. 20, la ricorrente rileva il consolidamento della pratica edilizia prot. n. 8751/2012, attinente ad immobile già residenziale, richiamando la DIA n. 60/2009, prot. n. 6654, per comprovare la legittima destinazione residenziale. Aggiunge altresì la ricorrente che in sede di dialettica procedimentale riferita alla menzionata DIA, la destinazione residenziale del fabbricato era oggetto di specifica interlocuzione con l’Amministrazione, come si riscontrerebbe delle note acquisite al prot. n. 1065 del 28.12.2009 e prot. n. 98 del 07.01.2010 e l’Ente nulla opponeva a tale configurazione.
Peraltro, l’ultimazione dei lavori relativa alla DIA veniva formalizzata con nota prot. n. 6631 del 26.07.2010.
Il Comune di Tramonti, pur regolarmente intimato, non si costituiva in giudizio.
Con memoria difensiva depositata in data 26.04.2024, la ricorrente ripercorre le censure svolte nei suddetti motivi; ribadisce che il mutamento della destinazione d’uso contestato con l’ordinanza n. 35 del 23.07.2020 troverebbe, invero, idoneo titolo legittimante nella DIA n. 60/2009, e sarebbe ulteriormente corroborata dalla disamina dell’iter procedimentale ad essa conseguente.
Nell’udienza pubblica del 29 maggio 2024, la causa è introitata per la decisione.
Il gravame va rigettato.
Si controverte della legittimità o meno del provvedimento di mancata efficacia della SCIA in sanatoria.
Ed invero, sulla base della disamina della documentazione versata in atti, il provvedimento, oggetto del presente scrutinio, si appalesa al Collegio legittimo, in ragione della rigorosa osservanza della normativa vigente in materia.
Non colgono nel segno, in quanto prive di pregio, tutte le censure di illegittimità, variamente scandite nei diversi motivi di ricorso, le quali, in ragione della loro affinità contenutistica, sono congiuntamente scrutinate.
Anzitutto, va disatteso il rilievo di illegittimità, afferente la lesione delle garanzie partecipative da mancata comunicazione di avvio del procedimento. Sul punto, la giurisprudenza è chiara. La natura giuridica della SCIA – che non è una vera e propria istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge – induce ad escludere che l’autorità procedente debba comunicare al segnalante l’avvio del procedimento prima dell’esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori; il denunciante la SCIA, infatti, è titolare di una posizione soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge che non ha bisogno di alcun consenso da parte della Amministrazione e, pertanto, la segnalazione di inizio attività non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, espresso o tacito, da parte dell’Amministrazione; in assenza di procedimento, non c’è spazio per la comunicazione di avvio, per il preavviso di rigetto o per atti sospensivi da parte dell’Amministrazione (T.A.R. Napoli, sez. VI, 04/02/2021, n.780).
Le predette ricostruzioni giurisprudenziali conducono il Collegio a ritenere infondato il rilievo profilato.
Del pari, priva di pregio è la prospettazione circa l’intervenuto consolidamento della posizione giuridica di cui alla SCIA in sanatoria, stante la non estensibilità a questa fattispecie del meccanismo del silenzio significativo.
La ratio orientativa della SCIA in sanatoria è decisamente peculiare.
Sul punto il Collegio intende aderire alle argomentazioni cristallizzate nella sentenza del Consiglio di Stato del 2023, n. 1708, e così di seguito esposte: “L’art. 37, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 contempla la SCIA in sanatoria a intervento concluso, che prevede che il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possano ottenere la sanatoria dell’intervento ove sussista la doppia conformità (l’intervento realizzato deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), versando una somma il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento (non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro).
Tuttavia, a differenza di quanto previsto per l’accertamento di conformità di cui all’art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001 per il quale, in caso inerzia a seguito della presentazione della domanda, è la stessa norma che qualifica espressamente l’eventuale silenzio dell’amministrazione come diniego, l’art. 37, D.P.R. n. 380 del 2001 nulla dispone sul punto.
In assenza di un chiaro dato normativo, la giurisprudenza ha adottato orientamenti non sempre univoci.
Secondo un primo filone giurisprudenziale, il silenzio sull’istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto. Pertanto, anche qualora la procedura dell’accertamento di conformità sia esperita in relazione a un intervento edilizio oggetto di SCIA, opererebbe il meccanismo del silenzio-rigetto previsto dall’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 (T.A.R. Milano, Sez. I, 21.3.2017, n.676; TAR Campania, Sez. III, 18.5.2020, n.1824; T.A.R. Campania, Sez. II, 10.6.2019, n.3146), con il relativo onere di impugnazione, da parte del privato interessato, qualora, a fronte del decorso del termine, non vi sia una pronuncia espressa della P.A. procedente, onde evitare il consolidamento della posizione lesiva a proprio sfavore.
Un altro orientamento è nel senso di ritenere che il silenzio della PA debba qualificarsi come assenso (T.A.R. Campania, Salerno, sentenza n. 809/2022).
Il Collegio, tuttavia, ritiene di aderire a un diverso orientamento secondo cui il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell’amministrazione procedente, pena la sussistenza di un’ipotesi di silenzio inadempimento (T.A.R. Campania Salerno Sez. III, 14-10-2022, n. 2673; TAR Salerno, Sez. II, 23.8.2019, n.1480; TAR Napoli, Sez. III, 23.5.2019, n. 2755).
Innanzitutto, infatti, l’art. 37 non prevede esplicitamente un’ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell’art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento.
Dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall’intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell’aumento di valore dell’immobile compiuta dall’Agenzia del Territorio (T.A.R. Campania Salerno Sez. III, 14-10-2022, n. 2673; T.A.R. Roma, Sez. II quater, 9.4.2020, n. 3851).
Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell’amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio.
Ne deriva che il Comune deve pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sulla SCIA in sanatoria, previa verifica dei relativi presupposti di natura urbanisticoedilizia di cui al citato art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001(T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 23/05/2019, n.2755; sez. II, 23/04/2019, n.2233).
Le suddette argomentazioni richiamate conducono inevitabilmente il Collegio a disattendere i rilievi di illegittimità profilati nei due motivi di ricorso e sostanzialmente afferenti all’invocata logica di consolidamento della posizione giuridica sottesa alla SCIA in sanatoria, in ragione dell’avvenuta formazione del silenzio significativo. Per tutto quanto premesso, il gravame è rigettato. La peculiarità della fattispecie consente di compensare le spese di giudizio tra le parti.