<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Laddove il creditore non veda spontaneamente soddisfatto il proprio interesse dal debitore, egli vanta il potere di monetizzarne i beni al fine di auto-soddisfarsi col ricavato della relativa vendita; ciò sempre che il debitore non si spogli fraudolentemente anzitempo di tali beni, allo scopo proprio di sottrarli alla garanzia patrimoniale generica del creditore. Il quale, se ciò accade, è nelle condizioni di ottenere una sentenza “revocatoria” idonea – una volta passata in giudicato – a rendere “</em>relativamente<em>” inefficaci gli atti per lui pregiudizievoli, lasciandoli pienamente validi ed efficaci rispetto ai terzi. Ciò tanto che si tratti di creditore singolo; quanto che si tratti di ceto creditorio in sede di esecuzione collettiva connessa all’insolvenza del debitore; quanto infine che si tratti di creditore qualificato dalla peculiare natura - penalmente rilevante (reato) - dell’inadempimento imputabile al debitore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile liberale, che disciplina la revocatoria all’art.1235 onde i creditori possono impugnare in proprio nome gli atti che il debitore “<em>abbia fatti in frode delle loro ragioni</em>”, specificando che se si tratta di atti a titolo oneroso la frode deve “<em>risultare dal canto di ambedue i contraenti</em>”, occorrendo dunque anche la frode del terzo, mentre laddove gli atti siano a titolo gratuito è sufficiente che la frode sia intervenuta “<em>per parte</em>” del solo debitore. La norma dispone infine – in tema di beni immobili - che la “<em>rivocazione</em>” non produce effetto a danno dei terzi “<em>non partecipi della frode</em>” che abbiano acquistato diritti su tali beni immobili anteriormente alla trascrizione della domanda di “<em>rivocazione</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1882</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 ottobre viene varato il R.D. n.1062, codice di commercio, che si occupa della revocatoria agli articoli da 708 a 710. Più in particolare, alla stregua dell’art.708 tutti gli atti, i pagamenti e le alienazioni fatte in frode ai creditori, in qualunque tempo abbiano avuto luogo, devono essere “<em>annullati</em>” secondo le disposizioni dell’art.1235 del codice civile, venendo dunque richiamato <em>in primis</em> il regime civilistico generale anche in ambito commerciale. Secondo l’art.709, tuttavia, si presumono fatti in frode dei creditori – onde in difetto di prova contraria sono “<em>annullati</em>” rispetto alla massa dei creditori, laddove siano avvenuti posteriormente alla data della cessazione dei pagamenti (da parte del debitore ormai insolvente) – tutti gli atti, i pagamenti e le alienazioni a titolo oneroso, quando il terzo conoscesse lo stato di cessazione dei pagamenti in cui si trovava il commerciante (in sostanza, la relativa insolvenza), benché non ancora dichiarato fallito; gli atti e i contratti commutativi in cui i valori dati o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassino notevolmente ciò che a lui è stato dato o promesso; i pagamenti di debiti scaduti ed esigibili che non siano stati eseguiti con denaro o con effetti di commercio; i pegni, le anticresi e le ipoteche costituite sui beni del debitore. La stessa presunzione coinvolge poi, alla stregua dell’ultimo comma in tema di c.d. periodo sospetto, gli atti, i pagamenti e le alienazioni a qualunque titolo avvenuti nei 10 giorni anteriori alla dichiarazione di fallimento, anche in difetto degli “<em>estremi sopra enunciati</em>”. Infine, secondo l’art.710 le iscrizioni ipotecarie prese in virtù di un titolo riconosciuto valido non sono comprese nelle disposizioni degli articoli 708 e 709, purché tuttavia siano anteriori alla sentenza dichiarativa del fallimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, alla stregua del cui art.192 gli <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4544.html">atti a titolo gratuito</a>, compiuti dal colpevole dopo il reato, non hanno efficacia (c.d. revocatoria penale) rispetto ai crediti indicati nell'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-vii/art189.html">189</a>: si tratta dei crediti oggetto di ipoteca legale dello Stato e concernenti le pene pecuniarie e ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato; le spese del procedimento; le spese relative al mantenimento del condannato negli istituti per l'esecuzione delle pene; quelle sostenute da un pubblico istituto sanitario, a titolo di cura e di alimenti per la persona offesa, durante l'infermità; le somme dovute a titolo di risarcimento del danno, comprese le spese processuali; le spese anticipate dal difensore e le somme a lui dovute a titolo di onorario. Secondo il successivo art.193 gli <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4546.html">atti a titolo oneroso</a>, eccedenti la semplice amministrazione ovvero la gestione dell'ordinario commercio, i quali siano compiuti dal colpevole dopo il reato, si presumono fatti in <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4547.html">frode</a> rispetto ai crediti indicati nell'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-vii/art189.html">189</a>, quantunque, per la revoca dell'atto, sia necessaria la prova della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4545.html">mala fede</a> dell'altro contraente. Infine per l’art. 194 gli <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4544.html">atti a titolo gratuito</a>, compiuti dal colpevole prima del reato, non sono efficaci rispetto ai crediti indicati nell'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-vii/art189.html">189</a>, qualora si provi che furono da lui compiuti in <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4547.html">frode</a>. La stessa disposizione si applica agli <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4546.html">atti a titolo oneroso</a> eccedenti la semplice amministrazione ovvero la gestione dell'ordinario commercio; nondimeno, per la revoca dell'atto a titolo oneroso, è necessaria la prova anche della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4545.html">mala fede</a> dell'altro contraente. La norma dispone tuttavia che le relative disposizioni non si applicano per gli atti anteriori di un anno al commesso reato (c.d. periodo sospetto). Infine, l’art.195 prescrive che i diritti dei terzi sono regolati dalle leggi civili, con un rinvio mobile alle norme civili sulla tutela del terzo acquirente o sub-acquirente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1940</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 ottobre viene varato il R.D. n.1443, nuovo codice di procedura civile, il cui art.395 prevede i casi di revocazione ordinaria e straordinaria delle sentenze, molti dei quali fondati sul dolo o sulla frode di una delle parti del processo. Più in specie, le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: 1) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra; 2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario; 4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando e' supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato. Importante anche, in sede di processo esecutivo, l’art.602 alla cui stregua le norme processuali in tema di espropriazione forzata dei beni del debitore si applicano anche a quel bene la cui alienazione da parte del debitore sia stata oggetto di revocatoria per frode.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, i cui articoli 2901 e seguenti si occupano dell’azione revocatoria. Più in specie, alla stregua dell’art.2901 il creditore, anche se il credito è soggetto a <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1721.html">condizione o a termine</a>, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei relativi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle proprie ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1690.html">atto a titolo oneroso</a>, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. Agli effetti della norma in parola, le prestazioni di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1016.html">garanzia</a>, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito (venendo sciolti i dubbi che, nel vigore della precedente legislazione codicistica, sono stati sollevati proprio in ordine alla natura delle prestazioni di garanzia, se gratuite o onerose, specie dove la garanzia riguardi debiti altrui). Non è invece soggetto a revoca l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1532.html">adempimento</a> di un debito scaduto. L'inefficacia dell'atto, prosegue la disposizione, non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1488.html">buona fede</a>, salvi gli effetti della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3120.html">trascrizione</a> della domanda di revocazione. Stando poi al successivo art.2902 il creditore, ottenuta la dichiarazione di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3411.html">inefficacia</a> dei pertinenti atti, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3412.html">azioni esecutive</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/5794.html">conservative</a> sui <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1122.html">beni</a> che formano oggetto dell'atto impugnato. Il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1733.html">terzo</a> contraente che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria (ad esempio ha acquistato un bene che viene poi fatto oggetto di azione esecutiva da parte del creditore vittorioso in revocatoria), non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto. Di rilievo anche altri articoli del codice civile, ed in particolare l’art.170 in tema di fondo patrimoniale, l’art.1523 in tema di vendita con riserva di proprietà e l’art.2597 in tema di obbligo di contrarre del monopolista legale. Secondo poi gli articoli 2903 e 2904, l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3410.html">azione revocatoria</a> si <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1095.html">prescrive</a> in 5 anni dalla data dell'atto mentre, su altro crinale, restano salve le disposizioni sull'azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale. Ancora, alla stregua dell’art.2910, comma 2, sono assoggettabili ad espropriazione forzata oltre ai beni del debitore anche quelli di terzi, quando scaturiscono da un atto che sia stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore. Infine, ai sensi dell’art.2652, n.5, va trascritta la domanda di revoca di atti soggetti a trascrizione laddove essi siano stati compiuti in pregiudizio dei creditori ed abbiano ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati. Viene varato altresì quello stesso giorno il R.D. n.267, c.d. legge fallimentare, che agli articoli da 64 a 71 disciplina l’istituto della revocatoria in ambito fallimentare, con riguardo agli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, collettivamente considerati. In caso di fallimento, è prevista tanto un’azione revocatoria ordinaria peculiarmente disciplinata (art.66: può esperirla in via esclusiva il curatore ai sensi dell’art.2901 c.c. ove ne ricorrano tutti i presupposti, dinanzi al tribunale fallimentare; gli effetti in termini di risultato positivo di questa azione giovano a tutti i creditori, che in qualche modo il curatore “<em>rappresenta</em>”), quanto una più specifica azione revocatoria fallimentare (art.67). Con precipuo riguardo a quest’ultima, unico legittimato a spiccarla è il curatore del fallimento, ed ha la funzione di salvaguardare la <em>par condicio creditorum</em>, con diritto dei creditori a partecipare al ricavato della vendita dei beni del debitore secondo l’ordine di graduazione del pertinente credito stabilito dalla legge; dal punto di vista soggettivo, e con particolare riguardo al terzo acquirente a seguito dell’atto dispositivo pregiudizievole, è irrilevante la consapevolezza in capo al terzo medesimo del pregiudizio recato dall’atto ai creditori dell’alienante, essendo bastevole la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore (c.d. <em>scientia decoctionis</em>, che in qualche modo tuttavia implica il pregiudizio ridetto). L’art.67 individua poi l’arco temporale anteriore al fallimento all’interno del quale l’atto pregiudizievole deve essere stato compiuto al fine di assumerlo revocabile: si tratta del c.d. periodo sospetto (o periodo di incubazione del fallimento): tutti gli atti, i negozi e i pagamenti compiuti dal fallito nel periodo sospetto sono revocabili, salve le eccezioni previste dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la Costituzione repubblicana secondo la quale, ai sensi dell’art.41, l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/181.html">iniziativa economica privata</a> è libera, non potendosi tuttavia svolgere in contrasto con l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/182.html">utilità sociale</a> o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; viene demandato alla legge di determinare i <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/184.html">programmi</a> e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/185.html">fini sociali</a>. Si tratta di una norma che, oltre a fondare l’autonomia negoziale dei privati – anche in termini di possibilità di forgiare contratti atipici ai sensi dell’art.1322 c.c. – richiamandone ad un tempo i pertinenti limiti (orientati a tutelare interessi costituzionalmente rilevanti sia dal punto di vista individuale che collettivo), disegna una imprescindibile lealtà e correttezza di fondo anche in ambito economico che deve permeare i rapporti interprivati in parola, così implicitamente stigmatizzando tutti quei comportamenti che siano opposti rispetto a questa logica, ivi compresi gli eventuali atti posti in essere dal debitore sul proprio patrimonio che risultino pregiudizievoli per il creditore, avvalendosi eventualmente della complicità di terzi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 marzo esce la sentenza della Cassazione n.426 onde, in caso di c.d. doppia alienazione immobiliare, il primo acquirente che abbia trascritto per secondo vanta un credito nei confronti dell’alienante sulla scorta della subita evizione, e questo lo legittima ad agire in revocatoria nei confronti del proprio debitore alienante con riguardo alla seconda alienazione che è stata trascritta per prima dal secondo acquirente. La fattispecie è tuttavia peculiare in quanto il secondo atto di alienazione, che è quello da revocare, precede la nascita del credito per evizione, che sorge in capo al primo acquirente nel momento in cui il secondo acquirente trascrive per primo: trattandosi di credito futuro, occorre per la Corte – ai sensi dell’art.2901 c.c. e sul piano soggettivo e psicologico – la dolosa preordinazione del debitore alienante con la cooperazione, del pari dolosa, del terzo secondo acquirente primo trascrivente, ovvero una sorta di dolo specifico che avvince le condotte tanto del ridetto debitore alienante quanto del secondo acquirente primo trascrivente, orientandole a sottrarre il bene dal patrimonio dell’alienante in pregiudizio del primo acquirente che sarà solo secondo trascrivente. Si tratta dunque della specifica volontà dell’alienante, assecondata in modo intenzionale dal secondo acquirente, nel senso di diminuire la consistenza del patrimonio del debitore alienante medesimo in pregiudizio del primo acquirente, in tal modo sottraendogli l’oggetto di una eventuale azione esecutiva: laddove tale dolosa preordinazione difetti, anche quando il pregiudizio per il primo acquirente secondo trascrivente si riveli il medesimo, egli non può tuttavia agire in revocatoria per assenza di una delle condizioni di tale azione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1950</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 marzo esce la sentenza della Cassazione n.661 alla cui stregua, in caso di c.d. doppia alienazione immobiliare, il primo acquirente che abbia trascritto per secondo vanta un credito nei confronti dell’alienante sulla scorta della subita evizione, e questo lo legittima ad agire in revocatoria nei confronti del proprio debitore alienante con riguardo alla seconda alienazione che è stata trascritta per prima dal secondo acquirente. La fattispecie è tuttavia peculiare in quanto il secondo atto di alienazione, che è quello da revocare, precede la nascita del credito per evizione, che sorge in capo al primo acquirente nel momento in cui il secondo acquirente trascrive per primo: trattandosi di credito futuro, occorre per la Corte – ai sensi dell’art.2901 c.c. e sul piano soggettivo e psicologico – la dolosa preordinazione del debitore alienante con la cooperazione, del pari dolosa, del terzo secondo acquirente primo trascrivente, ovvero una sorta di dolo specifico che avvince le condotte tanto del ridetto debitore alienante quanto del secondo acquirente primo trascrivente, orientandole a sottrarre il bene dal patrimonio dell’alienante in pregiudizio del primo acquirente che sarà solo secondo trascrivente. Si tratta dunque della specifica volontà dell’alienante, assecondata in modo intenzionale dal secondo acquirente, nel senso di diminuire la consistenza del patrimonio del debitore alienante medesimo in pregiudizio del primo acquirente, in tal modo sottraendogli l’oggetto di una eventuale azione esecutiva: laddove tale dolosa preordinazione difetti, anche quando il pregiudizio per il primo acquirente secondo trascrivente si riveli il medesimo, egli non può tuttavia agire in revocatoria per assenza di una delle condizioni di tale azione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1962</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1094, alla cui stregua – a mente dell’art.2901, comma 3, c.c. – non sono soggetti a revocatoria gli atti compiuti dal debitore in adempimento di una obbligazione, che, come tali, sono atti dovuti e dunque non sono atti “<em>voluti</em>” pregiudizievoli: è il caso degli atti posti in essere in adempimento di un negozio fiduciario, ovvero di un contratto preliminare. Si tratta di atti che sono revocabili solo laddove sia provato il carattere fraudolento del negozio “<em>a monte</em>” – e dunque del negozio fiduciario o del contratto preliminare – in esecuzione del quale è stato poi posto in essere il revocando atto esecutivo di adempimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1963</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 5 settembre esce la sentenza della Cassazione n.2435 alla cui stregua, in caso di c.d. doppia alienazione immobiliare, il primo acquirente che abbia trascritto per secondo vanta un credito nei confronti dell’alienante sulla scorta della subita evizione, e questo lo legittima ad agire in revocatoria nei confronti del proprio debitore alienante con riguardo alla seconda alienazione che è stata trascritta per prima dal secondo acquirente. La fattispecie è tuttavia peculiare in quanto il secondo atto di alienazione, che è quello da revocare, precede la nascita del credito per evizione, che sorge in capo al primo acquirente nel momento in cui il secondo acquirente trascrive per primo: trattandosi di credito futuro, occorre per la Corte – ai sensi dell’art.2901 c.c. e sul piano soggettivo e psicologico – la dolosa preordinazione del debitore alienante con la cooperazione, del pari dolosa, del terzo secondo acquirente primo trascrivente, ovvero una sorta di dolo specifico che avvince le condotte tanto del ridetto debitore alienante quanto del secondo acquirente primo trascrivente, orientandole a sottrarre il bene dal patrimonio dell’alienante in pregiudizio del primo acquirente che sarà solo secondo trascrivente. Si tratta dunque della specifica volontà dell’alienante, assecondata in modo intenzionale dal secondo acquirente, nel senso di diminuire la consistenza del patrimonio del debitore alienante medesimo in pregiudizio del primo acquirente, in tal modo sottraendogli l’oggetto di una eventuale azione esecutiva: laddove tale dolosa preordinazione difetti, anche quando il pregiudizio per il primo acquirente secondo trascrivente si riveli il medesimo, egli non può tuttavia agire in revocatoria per assenza di una delle condizioni di tale azione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1976</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1983 alla cui stregua, in caso di c.d. doppia alienazione immobiliare, il primo acquirente che abbia trascritto per secondo vanta un credito nei confronti dell’alienante sulla scorta della subita evizione, e questo lo legittima ad agire in revocatoria nei confronti del proprio debitore alienante con riguardo alla seconda alienazione che è stata trascritta per prima dal secondo acquirente. La fattispecie è tuttavia peculiare in quanto il secondo atto di alienazione, che è quello da revocare, precede la nascita del credito per evizione, che sorge in capo al primo acquirente nel momento in cui il secondo acquirente trascrive per primo: trattandosi di credito futuro, occorre per la Corte – ai sensi dell’art.2901 c.c. e sul piano soggettivo e psicologico – la dolosa preordinazione del debitore alienante con la cooperazione, del pari dolosa, del terzo secondo acquirente primo trascrivente, ovvero una sorta di dolo specifico che avvince le condotte tanto del ridetto debitore alienante quanto del secondo acquirente primo trascrivente, orientandole a sottrarre il bene dal patrimonio dell’alienante in pregiudizio del primo acquirente che sarà solo secondo trascrivente. Si tratta dunque della specifica volontà dell’alienante, assecondata in modo intenzionale dal secondo acquirente, nel senso di diminuire la consistenza del patrimonio del debitore alienante medesimo in pregiudizio del primo acquirente, in tal modo sottraendogli l’oggetto di una eventuale azione esecutiva: laddove tale dolosa preordinazione difetti, anche quando il pregiudizio per il primo acquirente secondo trascrivente si riveli il medesimo, egli non può tuttavia agire in revocatoria per assenza di una delle condizioni di tale azione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1977</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 5178, alla cui stregua sono tutelati dall’azione revocatoria anche i crediti sottoposti a termine o condizione e, in particolare, quelli del tutto eventuali o potenziali la cui concreta emersione dipende da vicende <em>in fieri</em>, prima fra tutte il processo: in altri termini sono tutelabili con azione revocatoria anche i crediti litigiosi o <em>sub iudice</em> (in separato giudizio), tanto che derivino da fonte contrattuale quanto che siano scaturigine di fatto illecito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 marzo esce la sentenza della Cassazione n.1242 alla cui stregua per agire in revocatoria non occorre alcun preventivo accertamento giudiziale, né alcun titolo esecutivo, palesandosi sufficiente vantarsi creditori rispetto a chi ha posto in essere l’atto di disposizione patrimoniale assunto pregiudizievole.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1982</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 08 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.76 alla cui stregua, in caso di c.d. doppia alienazione immobiliare, il primo acquirente che abbia trascritto per secondo vanta un credito nei confronti dell’alienante sulla scorta della subita evizione, e questo lo legittima ad agire in revocatoria nei confronti del proprio debitore alienante con riguardo alla seconda alienazione che è stata trascritta per prima dal secondo acquirente. La fattispecie è tuttavia peculiare in quanto il secondo atto di alienazione, che è quello da revocare, precede la nascita del credito per evizione, che sorge in capo al primo acquirente nel momento in cui il secondo acquirente trascrive per primo: trattandosi di credito futuro, occorre per la Corte – ai sensi dell’art.2901 c.c. e sul piano soggettivo e psicologico – la dolosa preordinazione del debitore alienante con la cooperazione, del pari dolosa, del terzo secondo acquirente primo trascrivente, ovvero una sorta di dolo specifico che avvince le condotte tanto del ridetto debitore alienante quanto del secondo acquirente primo trascrivente, orientandole a sottrarre il bene dal patrimonio dell’alienante in pregiudizio del primo acquirente che sarà solo secondo trascrivente. Si tratta dunque della specifica volontà dell’alienante, assecondata in modo intenzionale dal secondo acquirente, nel senso di diminuire la consistenza del patrimonio del debitore alienante medesimo in pregiudizio del primo acquirente, in tal modo sottraendogli l’oggetto di una eventuale azione esecutiva: laddove tale dolosa preordinazione difetti, anche quando il pregiudizio per il primo acquirente secondo trascrivente si riveli il medesimo, egli non può tuttavia agire in revocatoria per assenza di una delle condizioni di tale azione.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.238 alla cui stregua per agire in revocatoria non occorre alcun preventivo accertamento giudiziale, né alcun titolo esecutivo, palesandosi sufficiente vantarsi creditori rispetto a chi ha posto in essere l’atto di disposizione patrimoniale assunto pregiudizievole.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 9 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.759 alla cui stregua, in caso di c.d. doppia alienazione immobiliare, il primo acquirente che abbia trascritto per secondo vanta un credito nei confronti dell’alienante sulla scorta della subita evizione, e questo lo legittima ad agire in revocatoria nei confronti del proprio debitore alienante con riguardo alla seconda alienazione che è stata trascritta per prima dal secondo acquirente. La fattispecie è tuttavia peculiare in quanto il secondo atto di alienazione, che è quello da revocare, precede la nascita del credito per evizione, che sorge in capo al primo acquirente nel momento in cui il secondo acquirente trascrive per primo: trattandosi di credito futuro, occorre per la Corte – ai sensi dell’art.2901 c.c. e sul piano soggettivo e psicologico – la dolosa preordinazione del debitore alienante con la cooperazione, del pari dolosa, del terzo secondo acquirente primo trascrivente, ovvero una sorta di dolo specifico che avvince le condotte tanto del ridetto debitore alienante quanto del secondo acquirente primo trascrivente, orientandole a sottrarre il bene dal patrimonio dell’alienante in pregiudizio del primo acquirente che sarà solo secondo trascrivente. Si tratta dunque della specifica volontà dell’alienante, assecondata in modo intenzionale dal secondo acquirente, nel senso di diminuire la consistenza del patrimonio del debitore alienante medesimo in pregiudizio del primo acquirente, in tal modo sottraendogli l’oggetto di una eventuale azione esecutiva: laddove tale dolosa preordinazione difetti, anche quando il pregiudizio per il primo acquirente secondo trascrivente si riveli il medesimo, egli non può tuttavia agire in revocatoria per assenza di una delle condizioni di tale azione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.107 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12123, alla cui stregua – anche al cospetto di un debito scaduto – sono da assumersi revocabili gli atti dispositivi di adempimento posti in essere dal debitore con mezzi anormali di pagamento, come nel caso della <em>datio in solutum</em>, della novazione, della cessione del credito (tanto <em>pro solvendo</em> quanto <em>pro soluto</em>) e della compensazione volontaria, mentre non è revocabile la compensazione legale che – operando automaticamente <em>ope legis</em> – non pregiudica i creditori. Si tratta di un orientamento che sarà omogeneo e troverà il pieno conforto della dottrina.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1691 alla cui stregua – leggendo congiuntamente gli articoli 2901 e 2902 c.c. – si evince la funzione autentica dell’azione revocatoria, che non è quella di tutelare l’esecuzione in forma specifica di obbligazioni diverse da quelle pecuniarie (massime in termini “<em>recuperatori</em>”), ma solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, rendendo determinati atti dispositivi inefficaci onde scongiurare che la perpetrata riduzione del patrimonio del debitore medesimo pregiudichi la (successiva) realizzazione coattiva del credito. Essa si correla, una volta accolta, alla possibilità per il creditore di spiccare azione esecutiva sul bene o sui beni il cui trasferimento ne abbia pregiudicato le ragioni (ex art.602 e seguenti c.p.c.), senza ad un tempo determinare il travolgimento dell’atto di disposizione che il creditore ha posto in essere, il quale ultimo resta solo inefficace per i creditori che hanno agito in revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 18 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.11025, alla cui stregua – a mente dell’art.2901, comma 3, c.c. – non sono soggetti a revocatoria gli atti compiuti dal debitore in adempimento di una obbligazione, che, come tali, sono atti dovuti e dunque non sono atti voluti pregiudizievoli: è il caso degli atti posti in essere in adempimento di un negozio fiduciario, ovvero di un contratto preliminare. Si tratta di atti che sono revocabili solo laddove sia provato il carattere fraudolento del negozio “<em>a monte</em>” – e dunque del negozio fiduciario o del contratto preliminare – in esecuzione del quale è stato poi posto in essere l’atto esecutivo di adempimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.12948 che si sofferma sulla contestualità della prestazione di garanzia che ne fa presumere il carattere oneroso, ai fini della revocatoria dell’atto (prestazione di garanzia) posto in essere dal debitore: per la Corte, è contestuale non già la garanzia meramente coeva alla nascita del credito garantito sul crinale cronologico, ma quella che – anche se consacrata in un documento diverso rispetto a quello nel quale si inscrive la nascita del credito garantito, ed anche se cronologicamente non coeva ad esso – gli sia in ogni caso avvinta sulla scorta di un nesso causale, onde l’atto di nascita del credito garantito è la causa della quale la prestazione di garanzia costituisce l’effetto, trattandosi dunque di una contestualità logica, e non già cronologica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 settembre viene varato il decreto legislativo n.385 recante testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Importante in particolare il relativo articolo 39, comma 4, alla cui stregua le ipoteche a garanzia dei mutui fondiari non sono assoggettate a revocatoria fallimentare quando siano state iscritte 10 giorni prima della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento (c.d. beneficio del consolidamento dell’ipoteca fondiaria); più in generale, l'art. 67 della legge fallimentare in tema di revocatoria non si applica ai pagamenti effettuati dal debitore a fronte di crediti per mutui fondiari.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2382, alla cui stregua – al fine di calcolare il c.d. periodo sospetto (o di incubazione dell’insolvenza) all’interno del quale collocare gli atti revocabili in ambito fallimentare ai sensi dell’art.67 della legge fallimentare – occorre assumere a punto di riferimento la data di pubblicazione (deposito in cancelleria) della sentenza dichiarativa di fallimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2604 alla cui stregua tanto l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale quanto i successivi atti di conferimento di beni (quand’anche si tratti di beni già in comunione tra coniugi) devono assumersi avere natura di atti dispositivi e, pur non spiegando una efficacia traslativa (i beni restano in proprietà dei coniugi che li conferiscono), sono comunque idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori, potendo i pertinenti beni essere aggrediti dai creditori solo alle condizioni dettate dall’art.170 c.c.; i beni del fondo patrimoniale, più in specie, non sono aggredibili da parte dei creditori che sono a conoscenza della estraneità dell’obbligazione assunta al soddisfacimento di bisogni della famiglia, con conseguente, sensibile riduzione della garanzia generale della quale beneficiano i creditori sul patrimonio di chi costituisce il fondo (o, in seguito, vi conferisce beni).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.383 alla cui stregua, in caso di c.d. doppia alienazione immobiliare, il primo acquirente che abbia trascritto per secondo vanta un credito nei confronti dell’alienante sulla scorta della subita evizione, e questo lo legittima ad agire in revocatoria nei confronti del proprio debitore alienante con riguardo alla seconda alienazione che è stata trascritta per prima dal secondo acquirente. La fattispecie è tuttavia peculiare in quanto il secondo atto di alienazione, che è quello da revocare, precede la nascita del credito per evizione, che sorge in capo al primo acquirente nel momento in cui il secondo acquirente trascrive per primo: trattandosi di credito futuro, occorre per la Corte – ai sensi dell’art.2901 c.c. e sul piano soggettivo e psicologico – la dolosa preordinazione del debitore alienante con la cooperazione, del pari dolosa, del terzo secondo acquirente primo trascrivente, ovvero una sorta di dolo specifico che avvince le condotte tanto del ridetto debitore alienante quanto del secondo acquirente primo trascrivente, orientandole a sottrarre il bene dal patrimonio dell’alienante in pregiudizio del primo acquirente che sarà solo secondo trascrivente. Si tratta dunque della specifica volontà dell’alienante, assecondata in modo intenzionale dal secondo acquirente, nel senso di diminuire la consistenza del patrimonio del debitore alienante medesimo in pregiudizio del primo acquirente, in tal modo sottraendogli l’oggetto di una eventuale azione esecutiva: laddove tale dolosa preordinazione difetti, anche quando il pregiudizio per il primo acquirente secondo trascrivente si riveli il medesimo, egli non può tuttavia agire in revocatoria per assenza di una delle condizioni di tale azione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 06 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 960, alla cui stregua non sono tutelati dall’azione revocatoria i crediti del tutto eventuali o potenziali la cui concreta emersione dipende da vicende <em>in fieri</em>, prima fra tutte il processo: in altri termini non sono tutelabili con azione revocatoria anche i crediti litigiosi o <em>sub iudice</em> (in separato giudizio), tanto che derivino da fonte contrattuale quanto che siano scaturigine di fatto illecito. In simili ipotesi, il giudice della revocatoria deve piuttosto sospendere il processo per pregiudizialità ai sensi dell’art.295 c.p.c., in attesa che il credito “<em>litigioso</em>” del quale si invoca tutela in revocatoria venga definitivamente accertato come tale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7997 che si sofferma sulla contestualità della prestazione di garanzia che ne fa presumere il carattere oneroso, ai fini della revocatoria dell’atto (prestazione di garanzia) posto in essere dal debitore: per la Corte, anche in ambito fallimentare, è contestuale non già la garanzia meramente coeva alla nascita del credito garantito sul crinale cronologico, ma quella che – anche se consacrata in un documento diverso rispetto a quello nel quale si inscrive la nascita del credito garantito, ed anche se cronologicamente non coeva ad esso – gli sia in ogni caso avvinta sulla scorta di un nesso causale, onde l’atto di nascita del credito garantito è la causa della quale la prestazione di garanzia costituisce l’effetto, trattandosi dunque di una contestualità logica, e non già cronologica. L’applicabilità del principio anche alla revocatoria fallimentare discende, per la Corte, dalla natura intrinseca della prestazione di garanzia che – se riguardata nell’ottica del soggetto erogatore del finanziamento che ne beneficia – va considerata onerosa e non gratuita proprio perché corrispettiva rispetto alla erogazione del finanziamento (garantito).</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11349 alla cui stregua l’azione revocatoria non produce un effetto restitutorio del bene oggetto dell’atto di disposizione revocato, atto che resta valido tra le parti e per i terzi ed efficace <em>erga omnes</em>, palesandosi tuttavia inopponibile al creditore revocante che, laddove in possesso di un titolo esecutivo, può procedere esecutivamente sul bene medesimo. Leggendo congiuntamente gli articoli 2901 e 2902 c.c. si evince infatti che la funzione autentica dell’azione revocatoria non è quella di tutelare l’esecuzione in forma specifica di obbligazioni diverse da quelle pecuniarie, ma solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, rendendo determinati atti dispositivi inefficaci onde scongiurare che la perpetrata riduzione del patrimonio del debitore medesimo pregiudichi la (successiva) realizzazione coattiva del credito. Essa si correla, una volta accolta, alla possibilità per il creditore di spiccare azione esecutiva sul bene o sui beni il cui trasferimento ne abbia pregiudicato le ragioni (ex art.602 e seguenti c.p.c.), senza ad un tempo determinare il travolgimento dell’atto di disposizione che il debitore ha posto in essere, il quale ultimo resta solo inefficace per i creditori che hanno agito in revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2256 alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11495, alla cui stregua è oggetto di revocatoria fallimentare il mutuo ipotecario, quando sia stato contratto con la finalità di estinguere un preesistente credito del mutuante verso il debitore mutuatario, essendosi al cospetto di un negozio-procedimento con natura indirettamente solutoria giusta mezzi anormali di pagamento, ex art.67, comma 1, n.2 della legge fallimentare. In questi casi non è applicabile neppure il beneficio del c.d. consolidamento dell’ipoteca fondiaria di cui all’art.39, comma 4, del decreto legislativo 385.93.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5264 che si sofferma sulla contestualità della prestazione di garanzia che ne fa presumere il carattere oneroso, ai fini della revocatoria dell’atto (prestazione di garanzia) posto in essere dal debitore: per la Corte, in ambito fallimentare – andando in contrario avviso rispetto alla giurisprudenza dominante - non può assumersi applicabile l’art.2901, comma 2, c.c., che presume onerosa la prestazione di garanzia contestuale al credito garantito. Per la Corte militano per questa opzione ermeneutica in primo luogo considerazioni di ordine testuale e sistematico: la dicitura “<em>agli effetti della presente norma</em>” di cui all’art.2901 c.c., rapportata al successivo art.2904 c.c. in cui vengono fatte espressamente “<em>salve</em> <em>le disposizioni sull’azione revocatoria in materiale fallimentare e penale</em>”, implica un chiaro sintomo di piena autonomia tra il regime della revocatoria ordinaria e quello della revocatoria fallimentare. Dal punto di vista sistematico poi l’art.67 della legge fallimentare, a differenza dell’art.2901 c.c., non fa alcun riferimento alla prestazione di garanzie per debiti altrui, e la contestualità – riferita alle cause legittime di prelazione – serve in ambito fallimentare non già a distinguere tra atti onerosi e atti gratuiti, quanto piuttosto al diverso fine di distribuire l’onere della prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo creditore garantito (a seconda che si tratti di diritti di prelazione rispetto a debiti contestualmente creati ovvero a debiti preesistenti, non scaduti o scaduti). Gli atti gratuiti, prosegue la Corte, sono invece regolati da una norma apposita, l’art.64 della legge fallimentare, che li dichiara senz’altro privi di effetto rispetto ai creditori (pregiudicati) senza che sia accordata alcuna rilevanza allo stato soggettivo della controparte (che di tali atti gratuiti beneficia). In ambito fallimentare, la gratuità di un atto (e con essa l’applicazione del regime previsto dall’art.64) deve essere valutata, per la Corte, con riguardo soltanto al punto di vista del debitore che ha posto in essere l’atto di disposizione (nel caso di specie, la prestazione di garanzia), quantunque occorra tener conto del fatto che, in un rapporto trilaterale, ovvero in una situazione caratterizzata da una serie di rapporti tutti collegati tra loro, il corrispettivo (la cui presenza esclude ovviamente la gratuità) può provenire, oltre che dal destinatario della prestazione, anche da un soggetto diverso che sia comunque interessato al compimento dell’operazione complessivamente considerata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7119 alla cui stregua, laddove un’azione revocatoria sia stata spiccata da un creditore prima della declaratoria di fallimento del debitore, il curatore del fallimento <em>medio tempore</em> intervenuto può scegliere se subentrare nel processo in corso ovvero proporre un nuovo ed autonomo giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">*L’11 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.9018 alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre esce la sentenza delle SSUU n.11350 alla cui stregua i pagamenti effettuati dal debitore poi fallito al monopolista legale ex art.2597 c.c. non sono revocabili (revocatoria fallimentare). Per la Corte, poiché il monopolista legale ha l’obbligo di contrarre con tutti coloro che gli richiedano le prestazioni facenti oggetto della relativa impresa, si è al cospetto di un obbligo che concerne non già solo la fase genetica, ma anche quella funzionale del rapporto che ne sorge, onde il monopolista legale - se da un lato non può rifiutarsi di concludere il contratto con chi gli glielo richieda, né può sospendere l’erogazione della prestazione ex art.1461 c.c. laddove la controparte risulti inadempiente o comunque insolvente (non avendo rilievo le condizioni personali o patrimoniali dell’utente al momento della conclusione del contratto o a quello della relativa esecuzione) - dall’altro può invece beneficiare della non revocabilità dei pagamenti ricevuti, da assumersi come atti dovuti per l’appunto non revocabili.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11520 alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.591 che ribadisce autorevolmente come tanto l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale quanto i successivi atti di conferimento di beni (quand’anche si tratti di beni già in comunione tra coniugi) debbano assumersi avere natura di atti dispositivi e, pur non spiegando una efficacia traslativa (i beni restano in proprietà dei coniugi che li conferiscono), sono comunque idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori, potendo i pertinenti beni essere aggrediti dai creditori solo alle condizioni dettate dall’art.170 c.c.; i beni del fondo patrimoniale, più in specie, non sono aggredibili da parte dei creditori che sono a conoscenza della estraneità dell’obbligazione assunta al soddisfacimento di bisogni della famiglia, con conseguente, sensibile riduzione della garanzia generale della quale beneficiano i creditori sul patrimonio di chi costituisce il fondo (o, in seguito, vi conferisce beni). Per le SSUU – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo. La Corte ribadisce poi che laddove un terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7275alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2909, alla cui stregua – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanta nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 giugno esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.437 che ribadisce autorevolmente come – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanti nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7127 alla cui stregua l’azione revocatoria non produce un effetto restitutorio del bene oggetto dell’atto di disposizione revocato, atto che resta valido tra le parti e per i terzi ed efficace <em>erga omnes</em>, palesandosi tuttavia inopponibile al creditore revocante che, laddove in possesso di un titolo esecutivo, può procedere esecutivamente sul bene medesimo. Leggendo congiuntamente gli articoli 2901 e 2902 c.c. si evince infatti che la funzione autentica dell’azione revocatoria non è quella di tutelare l’esecuzione in forma specifica di obbligazioni diverse da quelle pecuniarie, ma solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, rendendo determinati atti dispositivi inefficaci onde scongiurare che la perpetrata riduzione del patrimonio del debitore medesimo pregiudichi la (successiva) realizzazione coattiva del credito. Essa si correla, una volta accolta, alla possibilità per il creditore di spiccare azione esecutiva sul bene o sui beni il cui trasferimento ne abbia pregiudicato le ragioni (ex art.602 e seguenti c.p.c.), senza ad un tempo determinare il travolgimento dell’atto di disposizione che il creditore ha posto in essere, il quale ultimo resta solo inefficace per i creditori che hanno agito in revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">*L’11 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11594, alla cui stregua – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanta nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 14166, alla cui stregua sono tutelati dall’azione revocatoria anche i crediti sottoposti a termine o condizione e, in particolare, quelli del tutto eventuali o potenziali la cui concreta emersione dipende da vicende <em>in fieri</em>, prima fra tutte il processo: in altri termini sono tutelabili con azione revocatoria anche i crediti litigiosi o <em>sub iudice</em> (in separato giudizio), tanto che derivino da fonte contrattuale quanto che siano scaturigine di fatto illecito.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.14869 alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 2 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11537 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.13479 alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.16570, alla cui stregua – anche al cospetto di un debito scaduto – sono da assumersi revocabili gli atti dispositivi di adempimento posti in essere dal debitore con mezzi anormali di pagamento, come nel caso della <em>datio in solutum</em>, della novazione, della cessione del credito (tanto <em>pro solvendo</em> quanto <em>pro soluto</em>) e della compensazione volontaria, mentre non è revocabile la compensazione legale che – operando automaticamente <em>ope legis</em> – non pregiudica i creditori. Si tratta di un orientamento omogeneo che trova il pieno conforto della dottrina.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’8 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.58, alla cui stregua – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanta nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.142 alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 20 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4069, alla cui stregua è oggetto di revocatoria fallimentare il mutuo ipotecario, quando sia stato contratto con la finalità di estinguere un preesistente credito del mutuante verso il debitore mutuatario, essendosi al cospetto di un negozio-procedimento con natura indirettamente solutoria giusta mezzi anormali di pagamento, ex art.67, comma 1, n.2 della legge fallimentare. In questi casi non è applicabile neppure il beneficio del c.d. consolidamento dell’ipoteca fondiaria di cui all’art.39, comma 4, del decreto legislativo 385.93.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5455 onde, leggendo congiuntamente gli articoli 2901 e 2902 c.c. si evince che la funzione autentica dell’azione revocatoria non è quella di tutelare l’esecuzione in forma specifica di obbligazioni diverse da quelle pecuniarie, ma solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, rendendo determinati atti dispositivi inefficaci onde scongiurare che la perpetrata riduzione del patrimonio del debitore medesimo pregiudichi la (successiva) realizzazione coattiva del credito. Essa si correla, una volta accolta, alla possibilità per il creditore di spiccare azione esecutiva sul bene o sui beni il cui trasferimento ne abbia pregiudicato le ragioni (ex art.602 e seguenti c.p.c.), senza ad un tempo determinare il travolgimento dell’atto di disposizione che il debitore ha posto in essere, il quale ultimo resta solo inefficace per i creditori che hanno agito in revocatoria. Non è esperibile dunque l’azione revocatoria al fine di ottenere la tutela in forma specifica del diritto all’abitazione nella casa familiare - che sia attribuito al coniuge con il provvedimento di assegnazione emanato in un giudizio di separazione personale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (c.d. divorzio) – nei confronti del terzo acquirente dall’altro coniuge che ne era proprietario, e ciò proprio perché l’azione revocatoria non ha funzione restitutoria, ma mera funzione conservativa della garanzia patrimoniale; più specificamente, non si può in simili fattispecie spiccare dal coniuge assegnatario della casa familiare azione revocatoria finalizzata ad inibire al terzo acquirente di chiedere la consegna di tale casa familiare in conseguenza del relativo atto di acquisto, né si può spiccare eccezione in revocatoria rispetto all’azione che quegli ha promosso per il rilascio di tale casa familiare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce una importante sentenza delle SSUU della Cassazione, la n.1232, in tema di revocabilità fallimentare dei pagamenti operati a favore del monopolista legale ex art.2597 c.c.. Per la Corte, tale ultima disposizione fa espresso riferimento alla stipulazione, e dunque al momento genetico del contratto, derogando al principio dell’autonomia negoziale ed impedendo al monopolista legale di scegliersi il contraente. La disciplina esecutiva del contratto non è dunque regolata da tale disposizione e trova piuttosto disciplina in altre norme privatistiche, purché esse siano compatibili con l’imposto obbligo generalizzato di contrattare. Nella fase funzionale del rapporto dunque, per le SSUU il monopolista legale può attivare tanto l’art.1453 c.c. in tema di risoluzione per inadempimento, quanto l’art.1460 in tema di eccezione di inadempimento: il monopolista legale è infatti comunque un imprenditore tenuto ad osservare quanto meno un criterio di economicità al fine di coprire i costi e di ottenere un profitto congruo, non potendo dunque assumersi tenuto ad erogare beni o servizi a titolo gratuito. Ancora, il monopolista legale può invocare l’applicazione dell’art.1461 c.c. e sospendere l’esecuzione della prestazione dovuta laddove le condizioni patrimoniali dell’altro contraente siano divenute tali da porre in evidente pericolo il successivo conseguimento della controprestazione, salva la prestazione a proprio favore di idonea garanzia. Proprio per questo il monopolista legale ex art.2597 c.c. non può assumersi esentato dall’azione revocatoria fallimentare ex art.67, comma 2, della legge fallimentare per i pagamenti ricevuti con la consapevolezza dell’insolvenza del proprio debitore: egli è tenuto a contrattare, ma non ad eseguire in ogni caso la prestazione oggetto del contratto, potendo dunque sospendere la propria prestazione senza pretendere un corrispettivo che sarebbe poi revocabile.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 24 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3615 che si sofferma sulla contestualità della prestazione di garanzia che ne fa presumere il carattere oneroso, ai fini della revocatoria dell’atto (prestazione di garanzia) posto in essere dal debitore: per la Corte, anche in ambito fallimentare è contestuale non già la garanzia meramente coeva alla nascita del credito garantito sul crinale cronologico, ma quella che – anche se consacrata in un documento diverso rispetto a quello nel quale si inscrive la nascita del credito garantito, ed anche se cronologicamente non coeva ad esso – gli sia in ogni caso avvinta sulla scorta di un nesso causale, onde l’atto di nascita del credito garantito è la causa della quale la prestazione di garanzia costituisce l’effetto, trattandosi dunque di una contestualità logica, e non già cronologica. L’applicabilità del principio anche alla revocatoria fallimentare discende, per la Corte, dalla natura intrinseca della prestazione di garanzia che – se riguardata nell’ottica del soggetto erogatore del finanziamento che ne beneficia – va considerata onerosa e non gratuita proprio perché corrispettiva rispetto alla erogazione del finanziamento (garantito).</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5741, che si occupa dell’azione revocatoria in relazione agli accordi di separazione tra coniugi. Essi compendiano sovente attribuzioni patrimoniali che l’un coniuge fa all’altro, aventi ad oggetto beni mobili o immobili; ciascuna di tali attribuzioni molto spesso non è connessa ad uno specifico corrispettivo individuabile precisamente come tale (non potendosi dunque atteggiare, ad esempio, a vendita), senza neppure – ad un tempo – potersi concepire come donazione (stante il dissolversi di ragioni di affettività che negano ontologicamente lo spirito di liberalità), rispondendo piuttosto ad un intento specifico di sistemazione dei reciproci rapporti in occasione della separazione. Si è dunque per la Corte al cospetto di una sorta di tipicità propria di questi accordi in relazione ai quali occorre di volta in volta interrogarsi – anche in ottica di possibile azione revocatoria spiccabile dai reciproci creditori - in ordine alla relativa gratuità ovvero onerosità. Da quest’ultimo punto di vista, talvolta gli accordi di separazione si inseriscono in una operazione più ampia e globale, con finalità solutorio-compensative, di sistemazione di una vasta gamma di rapporti tra le parti (sovente frammentari) di rilievo patrimoniale, che sono via via maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale, circostanza che fa propendere in queste fattispecie per la natura onerosa dell’accordo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.8096, che in materia di revocatoria fallimentare abbraccia la c.d. tesi indennitaria: il fondamento di tale azione va rinvenuto nella necessità di riparare un pregiudizio subito dai creditori, onde in difetto di tale <em>eventus damni</em> l’azione revocatoria fallimentare non può intendersi spiccabile dal curatore, non potendo coinvolgere atti compiuti dal debitore che non si siano risolti in un pregiudizio per il ceto creditorio, in quest’ultimo caso non affiorando l’interesse alla revocatoria fallimentare ridetta, che può essere riconosciuto solo laddove il curatore dimostri appunto il danno subito dalla massa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio esce la sentenza delle SSUU sezione della Cassazione n. 9440, che ribadisce autorevolmente essere tutelati dall’azione revocatoria anche i crediti sottoposti a termine o condizione e, in particolare, quelli del tutto eventuali o potenziali la cui concreta emersione dipende da vicende <em>in fieri</em>, prima fra tutte il processo: in altri termini sono tutelabili con azione revocatoria anche i crediti litigiosi o <em>sub iudice</em> (in separato giudizio), tanto che derivino da fonte contrattuale quanto che siano scaturigine di fatto illecito.</p> <p style="text-align: justify;">*L’8 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.12558, che in materia di revocatoria fallimentare abbraccia la c.d. tesi indennitaria: il fondamento di tale azione va rinvenuto nella necessità di riparare un pregiudizio subito dai creditori, onde in difetto di tale <em>eventus damni</em> l’azione revocatoria fallimentare non può intendersi spiccabile dal curatore, non potendo coinvolgere atti compiuti dal debitore che non si siano risolti in un pregiudizio per il ceto creditorio, in quest’ultimo caso non affiorando l’interesse alla revocatoria fallimentare ridetta, che può essere riconosciuto solo laddove il curatore dimostri appunto il danno subito dalla massa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.20310 alla cui stregua non è oggetto di azione revocatoria un contratto preliminare (peraltro, nel caso di specie non eseguito giusta stipula del pertinente definitivo), in quanto tale tipo di contratto non produce effetti traslativi e, per conseguenza, non è configurabile come atto di disposizione del patrimonio del debitore, come tale aggredibile dal creditore con azione revocatoria ordinaria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4933 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo viene varato il decreto legge n.35, che incide in particolare sull’art.67 della legge fallimentare in tema di atti soggetti appunto a revocatoria fallimentare, ridefinendone in specie le eccezioni.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5713, che in materia di revocatoria fallimentare abbraccia la c.d. tesi indennitaria: il fondamento di tale azione va rinvenuto nella necessità di riparare un pregiudizio subito dai creditori, onde in difetto di tale <em>eventus damni</em> l’azione revocatoria fallimentare non può intendersi spiccabile dal curatore, non potendo coinvolgere atti compiuti dal debitore che non si siano risolti in un pregiudizio per il ceto creditorio, in quest’ultimo caso non affiorando l’interesse alla revocatoria fallimentare ridetta, che può essere riconosciuto solo laddove il curatore dimostri appunto il danno subito dalla massa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 6570 onde non ogni domanda giudiziale può assumersi avere effetto interruttivo della prescrizione, che va riconosciuto solo a quella peculiare domanda con cui l'attore chiede il riconoscimento e la tutela giuridica proprio del diritto del quale si eccepirebbe, per l’appunto, la pertinente prescrizione (in quanto non interrotta).</p> <p style="text-align: justify;">Seguendo questa impostazione ermeneutica, non potrebbe dunque assumersi interruttivo della prescrizione di un credito risarcitorio l’atto introduttivo del giudizio in revocatoria promosso dal creditore danneggiato nei confronti del (quand’anche ancora presunto) debitore danneggiante che abbia compiuto atti dispositivi fraudolenti del proprio patrimonio.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.8874, alla cui stregua – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanta nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 maggio viene varata la legge n.80, che converte in legge con modificazioni il decreto legge n.35.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15603 alla cui stregua, poiché sia l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale sia ogni successivo atto di conferimento in esso di beni costituiscono atti dispositivi, essi debbono assumersi soggetti all’azione revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 agosto esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.16874 che si occupa – in tema di revocatoria fallimentare – della particolare fattispecie in cui il terzo fideiussore abbia pagato alla banca creditrice in luogo del fallito con denaro proprio e senza esercitare l’azione di rivalsa prima del fallimento, giusta versamento (rimesse) sul conto corrente scoperto intestato al debitore poi risultato insolvente. La Corte rammenta in proposito come il fideiussore sia di regola obbligato in solido con il debitore principale ex art.1944, comma 1, c.c., palesandosi dunque titolare dal lato passivo di una obbligazione propria autonoma, seppure accessoria, e di contenuto identico rispetto a quella del debitore garantito. Per questo motivo, il pagamento eseguito dal fideiussore con denaro proprio e senza aver esercitato azione di rivalsa nei confronti del debitore prima del fallimento, conformemente a consolidata giurisprudenza sul punto, non lede la <em>par condicio creditorum</em> e non è revocabile su istanza del curatore fallimentare; un approdo che resta il medesimo tanto che il terzo fideiussore abbia pagato direttamente alla banca creditrice quanto che lo abbia fatto giusta rimesse sul conto scoperto del debitore (poi fallito), compendiando la rimessa una semplice modalità di pagamento alla banca che non è idonea ad incidere né sulla provenienza della somma che ne è oggetto (che proviene dal terzo garante, e non dal debitore poi fallito), né sull’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo a seguito del fallimento del debitore principale (essendo stata la banca creditrice ormai soddisfatta, ed essendo subentrato il fideiussore in relazione al proprio credito per rivalsa). Per le SSUU la rimessa sul conto corrente scoperto del debitore della banca di seguito fallito si risolve in un atto neutro che ha una valenza meramente contabile, il cui significato giuridico non può essere fissato una volta per tutte, e che va scandagliato alla stregua dei singoli negozi giuridici nei quali trova di volta in volta la propria causa, onde non potrebbe affermarsi che – per il solo fatto che la rimessa del terzo fideiussore è stata operata sul conto del debitore poi fallito e non già con pagamento diretto all’istituto creditore – essa si trasforma in una posta attiva del correntista e va pienamente equiparata ad un versamento che alla banca avesse fatto il debitore medesimo, trattandosi in realtà (quando la rimessa trova la propria causa nella fideiussione) del pagamento da parte del terzo fideiussore con la ridetta efficacia neutra rispetto alla <em>par condicio creditorum</em>. Peraltro, il debitore poi insolvente e fallito non acquisisce la disponibilità effettiva della somma accreditata sul proprio conto, ma soltanto la disponibilità contabile che coincide con l’estinzione del debito nei confronti della banca da parte del terzo fideiussore.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.20005, che in materia di revocatoria fallimentare abbraccia la c.d. tesi indennitaria: il fondamento di tale azione va rinvenuto nella necessità di riparare un pregiudizio subito dai creditori, onde in difetto di tale <em>eventus damni</em> l’azione revocatoria fallimentare non può intendersi spiccabile dal curatore, non potendo coinvolgere atti compiuti dal debitore che non si siano risolti in un pregiudizio per il ceto creditorio, in quest’ultimo caso non affiorando l’interesse alla revocatoria fallimentare ridetta, che può essere riconosciuto solo laddove il curatore dimostri appunto il danno subito dalla massa.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.27718 alla cui stregua l’azione revocatoria non produce un effetto restitutorio del bene oggetto dell’atto di disposizione revocato, atto che resta valido tra le parti e per i terzi ed efficace <em>erga omnes</em>, palesandosi tuttavia inopponibile al creditore revocante che, laddove in possesso di un titolo esecutivo, può procedere esecutivamente sul bene medesimo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 18 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.887, alla cui stregua – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanta nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 gennaio viene varato il decreto legislativo n.5 che – novellando la legge fallimentare del 1942 – vi introduce un nuovo articolo 69.bis alla cui stregua le azioni revocatorie disciplinate nella pertinente sezione non possono essere promosse decorsi 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi 5 anni dal compimento dell'atto.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5473, che si occupa dell’azione revocatoria in relazione agli accordi di separazione tra coniugi. Essi compendiano sovente attribuzioni patrimoniali che l’un coniuge fa all’altro, aventi ad oggetto beni mobili o immobili; ciascuna di tali attribuzioni molto spesso non è connessa ad uno specifico corrispettivo individuabile precisamente come tale (non potendosi dunque atteggiare, ad esempio, a vendita), senza neppure – ad un tempo – potersi concepire come donazione (stante il dissolversi di ragioni di affettività che negano ontologicamente lo spirito di liberalità), rispondendo piuttosto ad un intento specifico di sistemazione dei reciproci rapporti in occasione della separazione. Si è dunque per la Corte al cospetto di una sorta di tipicità propria di questi accordi in relazione ai quali occorre di volta in volta interrogarsi – anche in ottica di possibile azione revocatoria spiccabile dai reciproci creditori - in ordine alla relativa gratuità ovvero onerosità. Da quest’ultimo punto di vista, talvolta gli accordi di separazione si inseriscono in una operazione più ampia e globale, con finalità solutorio-compensative, di sistemazione di una vasta gamma di rapporti tra le parti (sovente frammentari) di rilievo patrimoniale, che sono via via maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale, circostanza che fa propendere in queste fattispecie per la natura onerosa dell’accordo.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5684 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.7028, che in materia di revocatoria fallimentare disattende la c.d. tesi indennitaria (alla cui stregua il fondamento di tale azione andrebbe rinvenuto nella necessità di riparare un pregiudizio subito dai creditori, onde in difetto di tale <em>eventus damni</em> l’azione revocatoria fallimentare non potrebbe intendersi spiccabile dal curatore, non potendo coinvolgere atti compiuti dal debitore che non si siano risolti in un pregiudizio per il ceto creditorio, in quest’ultimo caso non affiorando l’interesse alla revocatoria fallimentare ridetta, che potrebbe essere riconosciuto solo laddove il curatore dimostri appunto il danno subito dalla massa). Per le SSUU, piuttosto, va abbracciata la tesi distributiva o antindennitaria, alla cui stregua la vera funzione della azione revocatoria fallimentare è quella di redistribuire il danno sociale determinato dalla dichiarazione di fallimento, facendo in modo che esso gravi su una pletora di soggetti la più ampia possibile; proprio per questo motivo, l’<em>eventus damni</em> deve intendersi sussistere in ogni caso e deve assumersi configurabile <em>in re ipsa</em> proprio perché connesso alla dichiarazione di fallimento; da questo punto di vista, l’atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore deve assumersi, per presunzione <em>iuris et de iure</em>, aver perpetrato una lesione della <em>par condicio creditorum</em>. Il curatore non deve dunque provare l’<em>eventus damni</em>, che è presunto <em>iuris et de iure</em>, ma solo – a livello soggettivo – la consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore in capo al terzo <em>accipiens.</em> Sotto altro profilo, il fatto che il debitore poi fallito abbia utilizzato il prezzo ottenuto dalla vendita del proprio bene per pagare un proprio creditore privilegiato non fa venire meno la lesione della <em>par condicio creditorum</em> né è capace di elidere l’interesse del curatore all’azione revocatoria fallimentare, stante come solo a seguito della ripartizione dell’attivo potrà verificarsi in concreto se quel pagamento non abbia pregiudicato le ragioni di altri creditori privilegiati che, anche a seguito dell’azione revocatoria, potrebbero insinuarsi nel passivo del fallimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15265, che si occupa della possibilità di fare oggetto di una azione revocatoria da parte del creditore un contratto definitivo, che sia stato stipulato dal debitore in adempimento di un contratto preliminare. Dal momento che l’<em>eventus damni</em>, visto dal punto di vista del creditore, si compendia in una diminuzione del patrimonio del debitore alienante, ovvero dal pericolo di un relativo depauperamento con conseguente pregiudizio rispetto ai crediti vantati appunto da terzi creditori, tale <em>eventus damni</em> può essere compiutamente valutato solo all’atto della stipula del definitivo, e non già del preliminare. Guardando alla natura stessa dell’azione revocatoria, volta a rimuovere un effetto pregiudizievole per i creditori derivante da un atto dispositivo del patrimonio del debitore, ad essere lesivo delle ragioni creditorie non è il preliminare di vendita, che ha una portata lesiva solo potenziale e futura, onde dalla relativa stipula non scaturisce l’interesse a spiccare azione revocatoria, che andrà piuttosto promossa eventualmente nei confronti della stipula del definitivo, che è l’atto negoziale che – col ridurre il patrimonio immobiliare del debitore – concreta il pericolo di un effetto lesivo per i creditori ancora meramente potenziale quando si stipula il preliminare. Ciò ancorché dunque il definitivo sia “<em>dovuto</em>” rispetto al contratto preliminare, tale caratteristica non essendo tale da sottrarlo, quale evento concretizzatore del c.d. <em>eventus damni</em>, all’azione revocatoria dei creditori. Se questo vale dal punto di vista oggettivo, occorre tuttavia tenere anche conto, per la Corte, del profilo soggettivo della fattispecie. In proposito, per quanto riguarda il <em>consilium fraudis</em> del debitore e la <em>partecipatio fraudis</em> del terzo, la Corte svolge un discorso equilibrato che muove dal forte impatto che l’azione revocatoria spiega sull’autonomia privata, rendendo inefficaci gli atti che ne sono scaturigine al precipuo fine di tutelare il creditore: tale finalità di tutela non può tuttavia del tutto pretermettere le ragioni di coeva tutela dell’affidamento del terzo che contrae con il debitore. Laddove il <em>consilium fraudis</em> proprio del debitore – che sottrae consapevolmente beni al proprio patrimonio, diminuendo le garanzie patrimoniali in modo pregiudizievole per il creditore – non sia riconoscibile, in termini di <em>partecipatio fraudis</em>, anche in capo al terzo contraente-acquirente, che si palesi piuttosto in buona fede soggettiva, il relativo affidamento va adeguatamente tutelato, non potendosi impedire al terzo medesimo di addivenire ad un contratto di acquisto in relazione alla cui stipula egli abbia maturato interesse. E se il requisito soggettivo della buona fede va – in caso di compravendita istantanea – accertato al momento del pertinente acquisto, laddove si sia al cospetto di una sequenza preliminare-definitivo è al momento della stipula del contratto preliminare che, secondo la Corte, occorre guardare per verificare se il promissario acquirente è in buona fede o meno. Si tratta infatti da un lato di garantire il creditore rispetto agli atti eventualmente pregiudizievoli posti in essere nei relativi confronti dal debitore infedele e, dall’altro, di garantire la conservazione degli effetti della scelta negoziale operata dal terzo: proprio per questo motivo, non è coerente con la stessa <em>ratio</em> dell’istituto della revocatoria, quale strumento rimediale tipico posto a disposizione del creditore contro le frodi, ma che fa ad un tempo i conti con l’affidamento del terzo contraente di buona fede, imporre a quest’ultimo – laddove fosse appunto in buona fede all’atto della stipula del preliminare, acquisendo consapevolezza delle potenzialità lesive dell’atto che lo vede prossimo acquirente solo nelle more della stipula del definitivo – di esercitare l’azione di risoluzione del preliminare al fine di sottrarsi alla cooperazione con il debitore infedele (partecipazione al <em>consilium fraudis</em>, o <em>partecipatio fraudis</em>) nella realizzazione dell’<em>eventus damni</em> (pericolo per le ragioni creditorie a cagione della intervenuta diminuzione patrimoniale in capo al debitore); in simili fattispecie, nel momento in cui il terzo si rende conto della lesività dell’atto egli - che ha stipulato il preliminare quando era in buona fede - si ritrova titolare del diritto acquisito al trasferimento del bene divisato (quale promissario acquirente) da parte del debitore infedele (promittente alienante), ed è proprio per questo che le ragioni del creditore passano in secondo piano, l’inefficacia degli atti siccome scaturente dall’azione revocatoria presupponendo un <em>consilium fraudis</em> anche in capo al terzo acquirente (c.d. <em>partecipatio fraudis</em>) che, in simili ipotesi, non può dirsi riscontrabile (quand’anche in sede di stipula del definitivo il terzo sia ormai consapevole della potenzialità lesiva per il creditore dell’atto di disposizione del debitore in relazione al quale egli si rende definitivo acquirente).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 6 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.23669, alla cui stregua è oggetto di revocatoria fallimentare il mutuo ipotecario, quando sia stato contratto con la finalità di estinguere un preesistente credito del mutuante verso il debitore mutuatario, essendosi al cospetto di un negozio-procedimento con natura indirettamente solutoria giusta mezzi anormali di pagamento, ex art.67, comma 1, n.2 della legge fallimentare. In questi casi non è applicabile neppure il beneficio del c.d. consolidamento dell’ipoteca fondiaria di cui all’art.39, comma 4, del decreto legislativo 385.93.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 novembre esce la sentenza delle I sezione della Cassazione n.24046, che in materia di revocatoria fallimentare disattende la c.d. tesi indennitaria, alla cui stregua il fondamento di tale azione va rinvenuto nella necessità di riparare un pregiudizio subito dai creditori, onde in difetto di tale <em>eventus damni</em> l’azione revocatoria fallimentare non può intendersi spiccabile dal curatore, non potendo coinvolgere atti compiuti dal debitore che non si siano risolti in un pregiudizio per il ceto creditorio, in quest’ultimo caso non affiorando l’interesse alla revocatoria fallimentare ridetta, che può essere riconosciuto solo laddove il curatore dimostri appunto il danno subito dalla massa. Per le SSUU, piuttosto, va abbracciata la tesi distributiva o antindennitaria, alla cui stregua la vera funzione della azione revocatoria fallimentare è quella di redistribuire il danno sociale determinato dalla dichiarazione di fallimento, facendo in modo che esso gravi su una pletora di soggetti la più ampia possibile; proprio per questo motivo, l’<em>eventus damni</em> deve intendersi sussistere in ogni caso e deve assumersi configurabile <em>in re ipsa</em> proprio perché connesso alla dichiarazione di fallimento; da questo punto di vista, l’atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore deve assumersi, per presunzione <em>iuris et de iure</em>, aver perpetrato una lesione della <em>par condicio creditorum</em>. Il curatore non deve dunque provare l’<em>eventus damni</em>, che è presunto <em>iuris et de iure</em>, ma solo – a livello soggettivo – la consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore in capo al terzo <em>accipiens.</em> Sotto altro profilo, il fatto che il debitore poi fallito abbia utilizzato il prezzo ottenuto dalla vendita del proprio bene per pagare un proprio creditore privilegiato non fa venire meno la lesione della <em>par condicio creditorum</em> né è capace di elidere l’interesse del curatore all’azione revocatoria fallimentare, stante come solo a seguito della ripartizione dell’attivo potrà verificarsi in concreto se quel pagamento non abbia pregiudicato le ragioni di altri creditori privilegiati che, anche a seguito dell’azione revocatoria, potrebbero insinuarsi nel passivo del fallimento.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.26933 che si sofferma sulla contestualità della prestazione di garanzia che ne fa presumere il carattere oneroso, ai fini della revocatoria dell’atto (prestazione di garanzia) posto in essere dal debitore: per la Corte, anche in ambito fallimentare è contestuale non già la garanzia meramente coeva alla nascita del credito garantito sul crinale cronologico, ma quella che – anche se consacrata in un documento diverso rispetto a quello nel quale si inscrive la nascita del credito garantito, ed anche se cronologicamente non coeva ad esso – gli sia in ogni caso avvinta sulla scorta di un nesso causale, onde l’atto di nascita del credito garantito è la causa della quale la prestazione di garanzia costituisce l’effetto, trattandosi dunque di una contestualità logica, e non già cronologica. L’applicabilità del principio anche alla revocatoria fallimentare discende, per la Corte, dalla natura intrinseca della prestazione di garanzia che – se riguardata nell’ottica del soggetto erogatore del finanziamento che ne beneficia – va considerata onerosa e non gratuita proprio perché corrispettiva rispetto alla erogazione del finanziamento (garantito).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6991, alla cui stregua – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanta nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.11830 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.17867 che si occupa della eventualità in cui l’atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole per il creditore sia oggetto di simulazione relativa, onde le parti hanno in realtà voluto un negozio (dissimulato) diverso da quello simulato e come tale apparente: in questi casi, ha effetto tra le parti il contratto dissimulato, purché se ne riscontrino sussistenti i requisiti di sostanza e di forma, ai sensi dell’art.1414 c.c. Il creditore, in simili fattispecie, ha per la Corte a disposizione l’azione revocatoria (oltre a quella di simulazione) nei confronti dell’atto simulato, ma anche nei confronti di quello dissimulato, laddove tuttavia di quest’ultimo egli provi l’esistenza.</p> <p style="text-align: justify;">*L’11 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.20622, alla cui stregua è oggetto di revocatoria fallimentare il mutuo ipotecario, quando sia stato contratto con la finalità di estinguere un preesistente credito del mutuante verso il debitore mutuatario, essendosi al cospetto di un negozio-procedimento con natura indirettamente solutoria giusta mezzi anormali di pagamento, ex art.67, comma 1, n.2 della legge fallimentare. In questi casi non è applicabile neppure il beneficio del c.d. consolidamento dell’ipoteca fondiaria di cui all’art.39, comma 4, del decreto legislativo 385.93.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.22366, alla cui stregua – in tema di revocatoria fallimentare – la massa vanta nei confronti del debitore fallito una situazione giuridica soggettiva che ha consistenza di diritto potestativo all’esercizio della pertinente azione, e non già di diritto di credito alla restituzione della somma o dei beni oggetto della revocatoria medesima; ne discende che il soggetto passivo, e dunque il debitore fallito, versa non già in una condizione giuridica di debito, quanto piuttosto di soggezione, onde il ceto creditorio non ha bisogno della collaborazione del debitore fallito e può realizzare il proprio diritto potestativo in via autonoma. Dal punto di vista della prescrizione, l’effetto fondamentale di questa affermazione è che non basta la costituzione in mora del debitore fallito per la relativa interruzione, occorrendo piuttosto la proposizione della domanda giudiziale e, dunque, la notificazione della pertinente citazione ai ai sensi dell’art.2943, comma 1, c.c. All’azione costitutiva corrisponde la natura, del pari costitutiva e non già dichiarativa, della sentenza che pronuncia sulla revocatoria fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’8 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3021 alla cui stregua laddove il terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della <em>par condicio creditorum</em>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’<em>accipiens</em> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9970, che si occupa della possibilità di fare oggetto di una azione revocatoria da parte del creditore un contratto definitivo, che sia stato stipulato dal debitore in adempimento di un contratto preliminare. Dal momento che l’<em>eventus damni</em>, visto dal punto di vista del creditore, si compendia in una diminuzione del patrimonio del debitore alienante, ovvero dal pericolo di un relativo depauperamento con conseguente pregiudizio rispetto ai crediti vantati appunto da terzi creditori, tale <em>eventus damni</em> può essere compiutamente valutato solo all’atto della stipula del definitivo, e non già del preliminare. Guardando alla natura stessa dell’azione revocatoria, volta a rimuovere un effetto pregiudizievole per i creditori derivante da un atto dispositivo del patrimonio del debitore, ad essere lesivo delle ragioni creditorie non è il preliminare di vendita, che ha una portata lesiva solo potenziale e futura, onde dalla relativa stipula non scaturisce l’interesse a spiccare azione revocatoria, che andrà piuttosto promossa eventualmente nei confronti della stipula del definitivo, che è l’atto negoziale che – col ridurre il patrimonio immobiliare del debitore – concreta il pericolo di un effetto lesivo per i creditori che è ancora meramente potenziale quando si stipula il preliminare. Ciò ancorché dunque il definitivo sia “<em>dovuto</em>” rispetto al contratto preliminare, tale caratteristica non essendo tale da sottrarlo, quale evento concretizzatore del c.d. <em>eventus damni</em>, all’azione revocatoria dei creditori. Se questo vale dal punto di vista oggettivo, occorre tuttavia tenere anche conto, per la Corte, del profilo soggettivo della fattispecie. In proposito, per quanto riguarda il <em>consilium fraudis</em> del debitore e la <em>partecipatio fraudis</em> del terzo, la Corte svolge un discorso equilibrato che muove dal forte impatto che l’azione revocatoria spiega sull’autonomia privata, rendendo inefficaci gli atti che ne sono scaturigine al precipuo fine di tutelare il creditore: tale finalità di tutela non può tuttavia del tutto pretermettere le ragioni di coeva tutela dell’affidamento del terzo che contrae con il debitore. Laddove il <em>consilium fraudis</em> proprio del debitore – che sottrae consapevolmente beni al proprio patrimonio, diminuendo le garanzie patrimoniali in modo pregiudizievole per il creditore – non sia riconoscibile, in termini di <em>partecipatio fraudis</em>, anche in capo al terzo contraente-acquirente, che si palesi piuttosto in buona fede soggettiva, il relativo affidamento va adeguatamente tutelato, non potendosi impedire al terzo medesimo di addivenire ad un contratto di acquisto in relazione alla cui stipula egli abbia maturato interesse. E se il requisito soggettivo della buona fede va – in caso di compravendita istantanea – accertato al momento del pertinente acquisto, laddove si sia al cospetto di una sequenza preliminare-definitivo è al momento della stipula del contratto preliminare che, secondo la Corte, occorre guardare per verificare se il promissario acquirente è in buona fede o meno. Si tratta infatti da un lato di garantire il creditore rispetto agli atti eventualmente pregiudizievoli posti in essere nei relativi confronti dal debitore infedele e, dall’altro, di garantire la conservazione degli effetti della scelta negoziale operata dal terzo: proprio per questo motivo, non è coerente con la stessa <em>ratio</em> dell’istituto della revocatoria, quale strumento rimediale tipico posto a disposizione del creditore contro le frodi, ma che fa ad un tempo i conti con l’affidamento del terzo contraente di buona fede, imporre a quest’ultimo – laddove fosse appunto in buona fede all’atto della stipula del preliminare, acquisendo consapevolezza delle potenzialità lesive dell’atto che lo vede prossimo acquirente solo nelle more della stipula del definitivo – di esercitare l’azione di risoluzione del preliminare al fine di sottrarsi alla cooperazione con il debitore infedele (partecipazione al <em>consilium fraudis</em>, o <em>partecipatio fraudis</em>) nella realizzazione dell’<em>eventus damni</em> (pericolo per le ragioni creditorie a cagione della intervenuta diminuzione patrimoniale in capo al debitore); in simili fattispecie, nel momento in cui il terzo si rende conto della lesività dell’atto egli - che ha stipulato il preliminare quando era in buona fede - si ritrova titolare del diritto acquisito al trasferimento del bene divisato (quale promissario acquirente) da parte del debitore infedele (promittente alienante), ed è proprio per questo che le ragioni del creditore passano in secondo piano, l’inefficacia degli atti siccome scaturente dall’azione revocatoria presupponendo un <em>consilium fraudis</em> anche in capo al terzo acquirente (c.d. <em>partecipatio fraudis</em>) che, in simili ipotesi, non può dirsi riscontrabile (quand’anche in sede di stipula del definitivo il terzo sia ormai consapevole della potenzialità lesiva per il creditore dell’atto di disposizione del debitore in relazione al quale egli si rende definitivo acquirente).</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11577, alla cui stregua – in caso di atti compiuti anteriormente al sorgere del credito pregiudicato – occorre che tali atti siano stati dolosamente preordinati appunto a pregiudicare le ragioni del futuro creditore in termini di <em>animus nocendi</em> specifica del futuro debitore; si tratta di fattispecie in cui, per la Corte, la conoscenza da parte del terzo acquirente della ridetta dolosa preordinazione dell’alienazione rispetto al credito futuro, detta <em>partecipatio fraudis</em>, deve essere debitamente accertata, se del caso anche attraverso presunzioni, con la precisazione onde si tratta di apprezzamento riservato al giudice del merito e come tale, laddove adeguatamente motivato, incensurabile in sede di legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11914 che, inserendosi in un solco giurisprudenziale consolidato, ribadisce che gli accordi di separazione tra coniugi possono essere oggetto di revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.24757 alla cui stregua, poiché sia l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale sia ogni successivo atto di conferimento in esso di beni costituiscono atti dispositivi, essi debbono assumersi soggetti all’azione revocatoria. Si tratta di disciplina applicabile anche allorché il fondo patrimoniale sia stato costituito in data anteriore alla nascita del credito per il quale si agisce in revocatoria, purché in questo caso sussista tuttavia la dolosa preordinazione dell’atto, da parte del debitore, alla finalità di pregiudicare il futuro credito.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.29032 alla cui stregua, laddove nel contesto di una compravendita il creditore agisca in revocatoria nei confronti del terzo avente causa, il debitore alienante deve assumersi litisconsorte necessario nel pertinente giudizio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.12045 che si occupa di una particolare fattispecie connessa ad un accordo di separazione tra coniugi. Più in specie, tenendo conto dell’interesse dei figli, in sede di separazione uno dei coniugi ha ottenuto il diritto personale di godimento sulla casa familiare; successivamente, l’altro coniuge costituisce per donazione a favore di quello già beneficiario della casa familiare un diritto reale di usufrutto vita natural durante sul medesimo immobile; per la Corte si è al cospetto in questi casi di un atto di disposizione patrimoniale revocabile ex art.2901 c.c., non trattandosi di un atto dovuto in termini di adempimento (atto giuridico in senso stretto, non negoziale), che escluderebbe la revocabilità ai sensi dell’art.2901, comma 3, c.c., quanto piuttosto di un atto negoziale vero e proprio, fondato sulla libera determinazione del coniuge donante che concede all’altro, vita natural durante, un diritto reale su un bene proprio in precedenza gravato da mero diritto personale di godimento, con conseguente riduzione del patrimonio e diminuzione della garanzia patrimoniale generica spettante ai creditori.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre esce l’importante sentenza della III sezione della Cassazione n.23818 che si occupa dei rapporti tra azione revocatoria e vendita con riserva di proprietà, analizzando quest’ultima dal punto di vista del fenomeno economico che essa compendia. Proprio muovendo da una chiave di lettura economica, la Corte osserva come – nel corso dell’attuarsi del rapporto obbligatorio tra le parti – la sfera patrimoniale del compratore si amplia via via che egli versa ratealmente il prezzo di acquisto, con corrispondente, progressiva e coeva riduzione della sfera patrimoniale dell’alienante che può esitare o nella definitiva fuoriuscita del bene dalla ridetta sfera (in caso di integrale pagamento rateale del prezzo da parte dell’acquirente), ovvero comunque nella riapprensione di un bene diminuito di valore, dovendosi peraltro tenere conto del fatto che in quest’ultimo caso l’alienante è tenuto a restituire all’acquirente le rate riscosse <em>medio tempore</em>, a fronte del credito ad un equo compenso vantato nei confronti dell’acquirente che è normalmente inferiore all’importo totale cui ammonta tale restituzione delle rate. Sia dunque che l’operazione si concluda fisiologicamente con l’acquisto del bene in capo al compratore a rate, sia che invece ciò non accada, si assiste in ogni caso – dal punto di vista economico - ad un depauperamento del patrimonio del venditore con riserva di proprietà. Proprio tale ultima considerazione (pratica ed economica) sospinge la Corte nel senso di considerare la vendita con riserva di proprietà quale atto negoziale revocabile, dovendosi peraltro tenere conto di come anche la mera trasformazione di un bene agevolmente aggredibile in sede esecutiva in un altro meno agevolmente aggredibile, come il denaro, concreta quel pericolo di danno, quell’<em>eventus damni</em>, che si compendia nella eventuale infruttuosità dell’azione esecutiva. A chi oppone che, piuttosto che legittimato all’azione revocatoria, il creditore dell’alienante con patto di riservato dominio potrebbe chiedere ed ottenere la misura cautelare reale del sequestro conservativo sul bene che vi sia coinvolto, la Corte controdeduce sulla scorta del fatto che, quando interviene il ridetto sequestro, la vendita con riserva di proprietà potrebbe essere stata già trascritta ex art.2659, n.4, c.c. onde, se l’acquirente che ha tempestivamente trascritto completa il pagamento del prezzo con il versamento di tutte le rate dovute, egli diviene proprietario del bene e non potrebbe opporglisi il sequestro conservativo, che non potrebbe dunque in ogni caso pregiudicarlo e che resterebbe non operativo. Che sia così, prosegue la Corte, lo si evince anche dalla disciplina fallimentare, ed in particolare dall’art.73, comma 2, della legge fallimentare, alla cui stregua la dichiarazione di fallimento del venditore (con connessa tutela dei relativi creditori, collettivamente intesi) non scioglie il contratto di vendita con riserva di proprietà, che continua dunque a produrre effetti coinvolgendo l’acquirente da un lato e l’amministrazione fallimentare dall’altro, la quale ultima resta creditrice delle rate eventualmente rimaste da pagare e che, con il pagamento dell’ultima rata da parte del terzo acquirente, non può più vantare alcuna pretesa sul bene alienato. Non è dunque il sequestro conservativo il mezzo idoneo a tutelare il creditore di chi abbia alienato un bene con riserva di proprietà quanto piuttosto – stante il depauperamento dal punto di vista economico del patrimonio di quest’ultimo – proprio l’azione revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1084 che si occupa di un caso particolare di interruzione della prescrizione, ovvero quello in cui il credito abbia ad oggetto il risarcimento di un danno, il debitore danneggiante compia atti dispositivi del proprio patrimonio a carattere fraudolento ed il creditore danneggiato agisca in revocatoria così esercitando la propria pretesa creditoria in via “mediata” ed indiretta, quand’anche il proprio credito risarcitorio non sia stato ancora definitivamente accertato in giudizio quanto al pertinente an, e dunque con riguardo alla effettiva responsabilità del danneggiante.</p> <p style="text-align: justify;">In questo caso, il creditore attiva un giudizio (quello in revocatoria) inscindibilmente connesso a quello orientato a far valere la propria pretesa creditoria, con conseguente possibilità per la Corte di affermare appunto l’interruzione della prescrizione di tale pretesa “di base”, sulla scorta di una manifestazione tacita di volontà nel senso dell’esercizio della pretesa medesima, seppure senza equivoci. Ne discende l’effetto interruttivo della prescrizione, che resta sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza che decide sull’azione revocatoria, ai sensi e per gli effetti degli articoli 2943 e 2945 c.c., essendo stato attivato “un giudizio” siccome previsto dalle ridette norme in combinato disposto tra loro.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.23743 secondo la quale il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell'<em>eventus damni</em>, inteso come pregiudizio alle ragioni del creditore tale da determinare l'insufficienza dei beni del debitore a offrire la necessaria garanzia patrimoniale è quello in cui viene compiuto l'atto di disposizione dedotto in giudizio e può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore (a valle dell’atto denunciato) sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando invece assolutamente irrilevanti le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente a quell'atto di disposizione. in tema di <a href="https://www.studiocataldi.it/articoli/19309-l-azione-revocatoria-ordinaria-con-fac-simile.asp">azione revocatoria</a> ordinaria, precisa la Corte, a fondamento dell'azione è richiesto il compimento di una atto che renda più incerta e difficile la soddisfazione del credito e che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una variazione qualitativa di esso. Il pregiudizio alle ragioni del creditore, che la norma dell'art. 2901 cod. civ. mira ad evitare e che in definitiva si concretizza nella sopravvenuta insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale, può essere quindi arrecato anche da un singolo atto di disposizione ove di per sé sia idoneo a determinare l'accennata variazione del patrimonio del debitore rendendo più difficile o comunque più incerta l'esazione del credito. Ciò premesso, non è dubbio che il pericolo di danno, derivante dalla modifica della situazione patrimoniale del debitore, tale da compromettere la fruttuosità dell'esecuzione coattiva del credito, debba derivare dall'atto di disposizione oggetto della richiesta di revocatoria, come relativa conseguenza diretta. Ne deriva che, come ha già avuto modo di statuire la Corte, deve aversi riguardo ai soli effetti di tale atto sulla posizione patrimoniale del debitore sicché, una volta escluso che la situazione patrimoniale abbia subito deterioramento per effetto dell'atto di disposizione denunciato, le successive vicende patrimoniali del debitore non hanno rilevanza (viene richiamata la sentenza n. 755/1969).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 giugno esce il decreto legge n.83 che modifica la rubrica dell’art.69.bis della legge fallimentare e vi introduce un nuovo comma alla cui stregua nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge n.134 che converte con modificazioni il decreto legge n.83.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 giugno viene varato il decreto legge n.83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria, il cui art.12 aggiunge al codice civile un nuovo art.2929.bis rubricato “<em>espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito</em>”. Secondo tale disposizione, il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che abbia per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di 1 anno dalla data in cui l'atto e' stato trascritto. Tale disposizione si applica anche al creditore anteriore che, entro 1 anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole, interviene nell'esecuzione da altri promossa. La norma precisa che quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l'azione esecutiva nelle forme dell'espropriazione contro il terzo proprietario. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all'esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma della norma, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore. Si tratta dunque di una forma semplificata di tutela esecutiva, laddove gli atti pregiudizievoli siano stati a titolo gratuito (e non anche a titolo oneroso): non occorre il previo giudizio di cognizione potendo il creditore procedere direttamente all’atto di pignoramento dei beni oggetto di disposizione pregiudizievole, senza dover passare preventivamente per l’azione revocatoria e senza doverne attendere il passaggio in giudicato; non occorre in particolare provare i requisiti tipici dell’azione revocatoria, ed in particolare il dolo del debitore, mentre saranno i soggetti esecutati a poter introdurre un giudizio di cognizione in opposizione al fine di dimostrare il difetto dei requisiti per poter procedere in modo siffattamente semplificato, ovvero comunque la loro buona fede. Il creditore ha bisogno dunque solo di un titolo esecutivo e, senza dover attendere l’esito di un’azione revocatoria ed il passaggio in giudicato della pertinente sentenza, al cospetto di atti gratuiti pregiudizievoli successivi a quando è sorto il proprio credito, può agire direttamente in via esecutiva. Non è possibile agire in tal modo al cospetto di ogni atto gratuito, ma solo laddove si tratti di alienazione gratuita di immobili o mobili registrati, ovvero di costituzione a titolo gratuito di un vincolo di indisponibilità sui ridetti beni. Dal punto di vista cronologico, rispetto alla trascrizione dell’atto pregiudizievole (che riguarda sempre beni immobili o mobili registrati) non deve essere trascorso 1 anno, potendo in tale torno temporale il creditore procedente trascrivere direttamente il pignoramento; partita la procedura esecutiva, possono intervenire altri creditori anteriori, sempre tuttavia entro 1 anno dalla trascrizione dell’atto (anche per loro) pregiudizievole. Quanto alle opposizioni all’esecuzione, vi sono legittimati tanto il debitore (ex art.615 c.p.c.) quanto il terzo proprietario (ex art.619 c.p.c.) quanto, ancora, ogni altro interessato al mantenimento del vincolo sul bene, siccome disposto dal debitore, sulla scorta della mancanza di presupposti per agire ex art.2929.bis, ovvero sulla scorta della propria buona fede in termini di mancata consapevolezza del pregiudizio che l’atto ha arrecato al creditore.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto viene varata la legge n.132 che converte in legge con modificazioni il decreto legge n.83.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre viene varato il decreto legislativo n.180 che in attuazione della <strong>normativa europe</strong>a con specifico riferimento al risanamento delle banche e alle imprese di investimento dispone (art. 36, comma 3) che – una volta accertato giudizialmente lo stato di insolvenza - l'esercizio delle azioni di revoca degli atti compiuti in frode dei creditori compete ai commissari speciali, ove nominati, o a un soggetto appositamente designato dalla Banca d'Italia e che i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo comma, 69 e 69-bis della legge fallimentare decorrono dalla data di avvio della risoluzione, mentre non sono esperibili le azioni previste dall'articolo 67, comma 2, della legge fallimentare (revocatoria, sottoposta alla prova da parte del curatore che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, degli atti a titolo oneroso e di quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 24822 del 2015, che affronta la questione concernente i limiti di estensione del principio della diversa decorrenza degli effetti della notificazione nelle sfere giuridiche, rispettivamente, del notificante e del destinatario.</p> <p style="text-align: justify;">E' chiesto – più in specie - un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sui limiti di operatività del principio: se debba, cioè, essere riferito ai soli atti processuali, o possa essere ampliato alla notificazione di atti sostanziali od, eventualmente, di atti processuali che producano effetti anche sostanziali. Il quesito è relativo alla notificazione dell'atto di citazione in revocatoria ed, in particolare, quel che si tratta di individuare è il momento di interruzione della prescrizione ex art. 2903 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall'atto di esercizio del diritto in parola, ovvero dalla consegna dell'atto (processuale, quale unico mezzo con effetti anche sostanziali) all'ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l'atto perviene all'indirizzo del destinatario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio esce la sentenza della I sezione Cassazione n.803, alla cui stregua lo stato di insolvenza dell’impresa nel c.d. periodo sospetto forma oggetto di presunzione <em>iuris et de iure</em>, derivante dal fatto stesso dell’apertura della procedura concorsuale; ne consegue che il terzo convenuto in revocatoria non e’ ammesso a provare (sul crinale oggettivo) che nel periodo in questione il debitore versava in una situazione di solo temporanea difficoltà ad adempiere, ma può soltanto contestare di aver percepito i sintomi del dissesto (sul piano soggettivo), allegando, se del caso, i fatti dimostrativi della propria <em>inscientia</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14649 che richiama il consolidato principio onde l’azione revocatoria può essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, ma anche, in coerenza con la relativa funzione di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, a tutela di una legittima aspettativa di credito. Avendo infatti l’art. 2901 cod. civ. – prosegue la Corte - accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è, dunque, idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (vengono richiamate, tra le altre, Cass., 5 marzo 2009, n. 5359; Cass., 9 febbraio 2012, n. 1893). Sotto altro profilo, va per la Corte evidenziato che a determinare l’<em>eventus damni</em> è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (richiamando, tra le altre, Cass., 15 luglio 2009, n. 16464; Cass., 22 dicembre 2015, n. 25733).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5618, che in primo luogo ribadisce l'orientamento della Corte, frutto di più recente consolidamento (cfr. Cass., 27 maggio 2014, n. 11815 e Cass., 24 marzo 2016, n. 5889, che confermano il principio già enunciato da Cass., 19 gennaio 2007, n. 1210), secondo cui la disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell'art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo. Sotto un diverso profilo, la Corte rammenta come sia principio consolidato quello per cuil'art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore (tra le tante, Cass., 22 marzo 2016, n. 5619). Del pari consolidato, prosegue la Corte, è il principio che a fondamento dell'azione revocatoria ordinaria si richiede (non già la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma) soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (tra le tante, Cass., 3 febbraio 2015, n. 1902). Fatta questa premessa di ordine generale, per il Collegio è indubbio che il coniuge separato che ottenga, in forza di provvedimento giudiziale ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento diventi creditore di un'obbligazione pecuniaria periodica (Cass., 14 febbraio 2007, n. 3336), avente ad oggetto prestazioni autonome e distinte nel tempo (Cass., 4 aprile 2005, n. 6975) e che, pertanto, si rendono esigibili alle rispettive scadenze (risultando, invece, liquide in base alla determinazione giudiziale dell'ammontare dell'assegno). Né, peraltro, può dubitarsi che per l'adempimento di tale credito, che trova fonte nella legge e insorgenza nel provvedimento del giudice, il debitore sia esposto, ai sensi dell'art. 2740 c.c., con tutti i propri beni (cfr. Cass., 26 luglio 2005, n. 15603). Dunque, il diritto di credito che il coniuge separato vanta nei confronti del coniuge obbligato al mantenimento è, nonostante il carattere periodico dell'obbligazione stessa, tutelabile ai sensi dell'art. 2901 c.c., giacché l'azione revocatoria, per un verso, non postula - come detto - la (liquidità o) esigibilità del credito (che può essere anche a termine o sottoposto a condizione) e, per altro verso, non richiede affatto, per la relativa esperibilità, la ricorrenza del requisito della sussistenza di un inadempimento (attuale, e cioè al momento della disposizione patrimoniale pregiudizievole) del debitore, fondandosi, invece (oltre che sull'esistenza di un credito, nei termini anzidetti, e sul requisito soggettivo della <em>scientia damni</em> o della <em>partecipatio fraudis</em>), sul requisito oggettivo dell'<em>eventus damni</em> e cioè del compimento, ad opera del debitore, di un atto dispositivo del patrimonio che sia tale da rendere più difficile la soddisfazione del credito che si intende tutelare (Cass., 19 agosto 2005, n. 17009, che dà per presupposta la tutelabilità exart. 2901 c.c., del credito per assegno di mantenimento). Né per la Corte la previsione del citato art. 156, comma 4, che consente al giudice di imporre all'obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale ove si paventi il relativo inadempimento, si pone come ostacolo all'esistenza dell'interesse del coniuge creditore all'esercizio dell'azione ex art. 2901 c.c., poiché - premesso che la garanzia personale non fornisce, all'evidenza, alcuna certezza che il patrimonio del debitore non venga dismesso - quanto alla garanzia reale la Corte stessa ha affermato che l'esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell'atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l'intero valore, non esclude la connotazione di quell'atto come <em>eventus damni</em>, atteso che la valutazione tanto della idoneità dell'atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell'atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l'eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (Cass., 10 giugno 2016, n. 11892). Stesso discorso (quanto al positivo apprezzamento circa l'interesse all'azione ed alla relativa esperibilità) va fatto per la Corte in riferimento alla previsione di cui al comma 5 dello stesso art. 156 c.c. (che consente al giudice, su istanza di parte, di disporre il sequestro dei beni dell'obbligato "<em>in caso di inadempienza</em>"), giacché non solo la revocatoria ordinaria, per la relativa natura non recuperatoria e non ripristinatoria del patrimonio del debitore inciso dall'atto dispositivo, non postula la libertà e capienza di detto patrimonio (sicché, costituisce strumento di tutela della conservazione della garanzia patrimoniale generica del debitore che se del caso concorre con gli altri strumenti che tendono alla medesima funzione di tutela, tra cui anche il sequestro), ma, segnatamente, essa - come già evidenziato - non presuppone affatto l'inadempimento (attuale) del debitore stesso, come invece presuppone indefettibilmente il sequestro (che è misura cautelare e che dunque presuppone un pericolo attualizzato, in termini appunto di inadempimento in corso).</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.22835 secondo la quale va escluso che le tutele assicurate dal sequestro conservativo e dall'azione revocatoria siano equivalenti e che la concessione della misura cautelare (sequestro conservativo) faccia venir meno, per il creditore, l'interesse ad agire in revocatoria, tanto più nell'ipotesi in cui l'azione revocatoria venga esercitata - come è avvenuto nel caso di specie - in pendenza del giudizio di merito conseguente alla concessione del sequestro. E' vero che i due istituti – precisa la Corte - condividono l'effetto di determinare l'inefficacia, per il creditore, di atti di disposizione patrimoniale compiuti dal debitore, ma ciò avviene in condizioni e con effetti tutt'altro che omogenei, se solo si considera che: a) la tutela apprestata dall'articolo 2901 c.c., giova unicamente al creditore che abbia esperito la revocatoria, a favore del quale soltanto di determina l'effetto dell'inefficacia relativa dell'atto revocato, con possibilità di aggredire il bene presso il terzo acquirente e senza che all'esecuzione possano partecipare altri creditori in concorso col procedente (viene richiamata Cass. n. 3676/2011: "l'accoglimento dell'azione revocatoria, ai sensi degli articoli 2901 e 2902 c.c., non comporta l'invalidità dell'atto di disposizione sui beni e il rientro di questi nel patrimonio del debitore alienante, bensì l'inefficacia dell'atto soltanto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla, con conseguente possibilità per quest'ultimo, e solo per lui, di promuovere azioni esecutive o conservative su quei beni contro i terzi acquirenti, pur divenuti validamente proprietari"; in termini anche Cass. n. 13972/2007 e Cass. n. 7218/1997); diversa e' la possibilità di soddisfarsi in via esecutiva a seguito della conversione del sequestro conservativo in pignoramento, giacché - alla stregua di ogni altro pignoramento - esso lascia aperta la possibilità di intervento di altri creditori, con le limitazioni satisfattive conseguenti al concorso (viene richiamata Cass. n. 7218/1997: "al momento dell'attuazione del provvedimento cautelare, la operatività del vincolo e' circoscritta in favore del solo creditore procedente, mentre, dal momento della conversione del sequestro in pignoramento, essa andrà ad estendersi anche agli altri creditori, intervenuti ed interveniendi" e "il processo esecutivo proseguirà all'esclusivo scopo di soddisfare tutti i creditori"); b) la tutela assicurata dal sequestro soffre i limiti derivanti dall'importo fino a concorrenza del quale sia stata autorizzata la misura cautelare, atteso che, sebbene non richiesta dall'articolo 671 c.p.c., l'espressa indicazione del <em>quantum</em> cautelato diviene vincolante ai fini dell'attuazione del sequestro, della relativa opponibilità ai terzi e della successiva esecuzione (viene richiamata Cass. n. 7218/1997 e la stessa Cass. n. 19216/2013, che sottolinea come l'acquisto del terzo non abbia effetto alcuno sulla garanzia "nei limiti dell'ammontare della somma per cui e' stata concessa la cautela"); al contrario, il vittorioso esperimento dell'azione revocatoria consente al creditore di soddisfarsi per l'intero suo credito sul bene oggetto dell'atto revocato, senza che l'acquirente possa opporgli limiti di sorta; c) la tutela derivante dal sequestro e', inoltre, necessariamente condizionata dalle vicende del procedimento cautelare e del successivo giudizio di merito ed e' esposta alla possibilità di revoca della misura (o della modifica con riduzione dell'importo cautelato), nonché all'eventualità che si determinino ipotesi di estinzione del pignoramento, sia per mancata osservanza degli adempimenti ex articolo 156 disp. att. c.p.c., sia per altre cause (ad es., ex articolo 631 c.p.c.); il tutto con effetti irreversibili, giacché una volta estinto il pignoramento conseguito al sequestro, si determina l'impossibilita' per il creditore di aggredire ulteriormente il bene alienato a terzi; al contrario, la tutela apprestata dall'articolo 2901 c.c., si stabilizza col passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento della revocatoria (cfr. Cass. n. 17311/2016) e resta insensibile ad eventuali vicende estintive del successivo pignoramento, che - nei limiti della prescrizione - potrà comunque essere rinnovato, con ampia possibilità per il creditore di soddisfarsi sul bene trasferito al terzo. La tesi della fungibilita' delle tutele - recepita nel caso di specie dalla sentenza impugnata - non tiene conto inoltre, per la Corte, dello scarto "<em>diacronico</em>" esistente fra i due strumenti: l'uno (il sequestro) opera in via preventiva, essendo volto a rendere inefficace per il creditore un atto dispositivo soltanto temuto, mentre l'altro (la revocatoria) e' volto a rendere relativamente inefficace, in via successiva, un atto gia' compiuto. E' proprio questo scarto temporale (che riflette un'oggettiva diversità di presupposti) a determinare la possibilità che il creditore che abbia chiesto ed ottenuto una misura cautelare possa richiedere in un secondo momento, ossia quando sia stato compiuto l'atto dispositivo prima soltanto temuto, la tutela revocatoria; e quest'ultima, lungi dal sovrapporsi alla prima, risulta idonea ad assicurare un presidio tendenzialmente più ampio (stante l'esclusione del concorso con altri creditori) e non esposto ai "<em>rischi</em>" di capienza o inefficacia correlati al provvedimento cautelare e al pignoramento in cui questo si sia convertito. La circostanza che i due strumenti condividano l'effetto dell'inopponibilità al creditore non e' idonea a stabilire una piena uniformità di tutela che - sola - potrebbe giustificare l'affermazione del difetto di interesse a proporre la revocatoria da parte del creditore che già abbia ottenuto un sequestro conservativo, cosicché l'esclusione, per quest'ultimo, della possibilità di agire in revocatoria finirebbe col penalizzarlo senza ragione rispetto al creditore che si sia attivato soltanto in via successiva al trasferimento del bene da parte del debitore; ne' può tralasciarsi di considerare – per la Corte - che l'atto dispositivo del debitore introduce un elemento di assoluta novità (che la precedente sentenza n. 997/1996 ha sintetizzato efficacemente col rilievo onde "il creditore avrebbe ancora potuto agire esecutivamente, anche se era divenuto inefficace il pignoramento, se contemporaneamente non fosse divenuto a lui opponibile il contratto di compravendita dell'immobile, che intendeva assoggettare ad esecuzione") rispetto al quale deve riconoscersi al creditore la possibilità di reagire, a prescindere dalla preesistenza di un provvedimento cautelare. La Corte conclude dunque nel senso onde la sentenza impugnata ha erroneamente affermato l'inammissibilità dell'azione revocatoria per difetto di interesse ad agire, sul presupposto di una equivalenza delle tutele assicurate dal sequestro conservativo e dall'azione revocatoria che non può essere affermata in termini generali e che non e' configurabile nel caso specifico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.12850 alla cui stregua, <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=7%3dHZLVL%26G%3dFc%265%3dWLaLb%264%3dUHZHYO%26P%3dwNAK_7uju_H5_9vht_IA_7uju_G0DRB.8zMxNAJtAzP8NzUx5.zO_7uju_G050BM_9vht_IAFW_9vht_IAOdQeObPYOY_9vht_IAPHtCt_Fr_KtLzUx5_0O75xD08zUx530_sC_767Nv_K0I_tJ376M7990_p_06Is590_xF_tJ3PzIrC403N6_9tF_XD08z8t.BAH1_Lhxe_WwP9G_0J0Lt0_7uju_H8U0V_HvR8FvO999_Mfwg_WKOAH_29uD0G_9vht_J9tGrD1_Lhxe_VMP5r6p9G_t62JrDvH_9vht_J9S9X%269%3d%26xM%3dJcLaK">in caso di azione revocatoria fallimentare, il Tribunale può utilizzare, ai fini della decisione, i risultati dell'indagine, estimativa o contabile fatta espletare dal Giudice delegato nell'ambito della procedura concorsuale per verificare la fondatezza e la consistenza delle ragioni della procedura</a>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 13388 alla cui stregua l'indagine in ordine ai presupposti dell'azione revocatoria di cui all'art. 2901 cod. civ., se posta in relazione al <em>trust</em>, risente delle peculiarità di quest'ultimo istituto, figura giuridica proveniente da una tradizione, quale quella di <em>common law</em>, estranea alle caratteristiche proprie del codice civile italiano. Le nozioni di atto di disposizione patrimoniale e di terzo, contenute nell'art. 2901, vanno parametrate alle peculiarità di un istituto che attribuisce alla disposizione del patrimonio un contenuto differente dalla tradizionale visione della circolazione dei beni. L'istituto del <em>trust</em> – precisa la Corte - risulta recepito nell'ordinamento italiano nei limiti della legge 16 ottobre 1989, n. 364 («<em>Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L'Aja il 10 luglio 1985</em>»), il trust restando regolato dalla legge scelta dal costituente (art. 6, o da quella che con esso ha più stretti legami - art. 7), secondo i requisiti contemplati dalla ridetta legge n. 364 del 1989. Il fulcro del sistema risiede nel rapporto istituito dal costituente in base al quale i beni vengono posti sotto il controllo di un <em>trustee</em> nell'interesse del beneficiario o per un fine specifico. I beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del <em>trustee</em>, pur essendo intestati al nome di costui, ed il <em>trustee</em> deve amministrarli e disporne secondo il programma del <em>trust</em> (art. 2). Oggetto di regolamentazione della legge applicabile al trust sono anche «<em>i rapporti tra il trustee ed i beneficiari, ivi compresa la responsabilità personale del </em>trustee<em> verso i beneficiari</em>» (art. 8, comma 2, lett. g). Si intende che dei due effetti che connotano il trust rispetto ai beni che ne sono l'oggetto, quello di destinazione e quello segregativo (o creazione di un patrimonio separato), è il primo quello principale, essendo l'effetto segregativo (da cui la sottrazione all'aggressione da parte dei creditori personali del <em>trustee</em> - art. 11, comma 1, lett. a) strumentale alla realizzazione dell'interesse cui mira la destinazione del bene, e cioè l'interesse del beneficiario (o altro fine specifico, come prevede l'art. 2 della disciplina in discorso). L'interesse del beneficiario (o altro fine specifico) integra quindi la ragione della costituzione del trust. L'effetto dell'atto di disposizione patrimoniale è rappresentato dalla dissociazione fra intestazione dei beni al nome del <em>trustee</em> e titolarità dell'interesse al bene, che è quello del beneficiario e non del trustee. Ai fini dell'azione revocatoria, il cui esercizio a protezione dei creditori trova fondamento nella stessa legge di ratifica ed esecuzione della convenzione sul trust (art. 15 lett. e), il profilo dell'intestazione del bene comporta la legittimazione passiva del <em>trustee</em>, in quanto titolare del diritto ceduto in base all'atto dispositivo e del quale si domanda l'inefficacia relativa. Come riconosciuto dalla stessa Corte nelle sentenze 25800.15 e 2043.17, la legittimazione in giudizio nei confronti dei terzi spetta al <em>trustee</em>, il quale dispone in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato. Il profilo della titolarità dell'interesse al bene condiziona invece l'estensione del campo del litisconsorzio necessario. La Corte rammenta avere già affermato che l'interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall'atto istitutivo soltanto facoltà non connotate da realità ed assoggettate a valutazioni discrezionali del <em>trustee</em>; conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al <em>trustee</em>, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi (Cass. 3 agosto 2017, n. 19376). Tale principio – rammenta la Corte - è stato enunciato con riferimento ad un'ipotesi di trust di famiglia e nei limiti di una tale fattispecie a tale indirizzo può essere data continuità ma, per la Corte medesima, con delle precisazioni. Ai fini del conseguimento dello scopo dell'azione revocatoria quest'ultima viene indirizzata nei confronti dell'atto di disposizione patrimoniale, e cioè l'atto mediante il quale il bene viene intestato in capo al <em>trustee</em>, e non nei confronti dell'atto istitutivo del trust, il quale costituisce il fascio di rapporti che circonda l'intestazione del bene, ma non l'intestazione stessa, ed è neutrale dal punto di vista dello spostamento patrimoniale. Il punto di vista non può però essere limitato al piano formale dell'atto di disposizione ma deve essere esteso a quello sostanziale del rapporto di trust. La programmazione di interessi che caratterizza il trust non resta estranea all'azione revocatoria perché la natura dell'atto di disposizione patrimoniale sotto il profilo della relativa gratuità o onerosità dipende dal profilo dell'interesse rispetto al bene. In relazione all'elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 2901 rappresentato dall'onerosità dell'atto di disposizione torna in primo piano il criterio dell'interesse che l'intestazione formale, quale punto di riferimento della dichiarazione d'inefficacia relativa dell'atto di disposizione, aveva in un primo tempo lasciato in ombra. Ai fini della qualificazione in termini di gratuità o onerosità dell'atto deve aversi riguardo al criterio dell'interesse e dunque al rapporto fra il disponente ed il beneficiario. L'onerosità dell'atto di disposizione patrimoniale non può essere posta in relazione all'eventuale compenso stabilito per l'opera del <em>trustee</em>, come sostenuto dalla parte ricorrente, perché l'onerosità dell'incarico affidato al <em>trustee</em> attiene non alle caratteristiche e dunque al rapporto di trust ma all'eventuale remunerazione per il mandato conferito, il corrispettivo risalendo non al rapporto di trust, di cui non ne rappresenta un effetto, ma all'incarico conferito che vi soggiace. Onerosità e gratuità non possono per la Corte non essere poste in relazione all'interesse che qualifica il rapporto di trust, che è quello del beneficiario e non del <em>trustee</em>. Viene così in primo piano il rapporto sottostante fra disponente e beneficiario, che potrà avere caratteristiche, fra l'altro, di un rapporto di garanzia (in relazione al credito concesso al disponente) o solutorio oppure in alternativa di soddisfazione dei bisogni della famiglia. L'atto a titolo oneroso è identificabile solo nel primo caso e non in quello relativo allo scopo di famiglia. Il requisito soggettivo dell'azione revocatoria rilevante nel caso dell'atto a titolo oneroso (art. 2901, comma 1, n. 2) dovrà essere valutato in relazione al beneficiario quale titolare dell'interesse rispetto al quale emerge l'onerosità dell'atto. Negli atti a titolo gratuito, come nel caso di dotazione patrimoniale per far fronte ai bisogni della famiglia, invece il beneficiario potrà anche non avere conoscenza dell'atto di disposizione patrimoniale. Lo stato soggettivo rilevante dal punto di vista del terzo è così quello del beneficiario e non del <em>trustee</em> ed acquista rilievo, come previsto dalla norma, nel caso di atto di disposizione patrimoniale nell'ambito di trust a titolo oneroso. Il problema del litisconsorzio necessario nell'azione revocatoria relativa a disposizione patrimoniale in trust va risolto sulla base del criterio della natura dell'atto e della rilevanza dell'elemento psicologico dal punto di vista del terzo. Se, avuto riguardo all'interesse del beneficiario, l'atto dispositivo è da qualificare come atto a titolo oneroso, lo stato soggettivo del terzo è elemento costitutivo della fattispecie e dunque il terzo, beneficiario dell'atto, è litisconsorte necessario. Se invece l'atto dispositivo è a titolo gratuito, lo stato soggettivo del terzo non è elemento costitutivo della fattispecie ed il beneficiario non è litisconsorte necessario nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust. L'estensione del litisconsorzio necessario è proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie. In questo quadro – precisa ancora la Corte - non acquista rilievo il rapporto fra il beneficiario ed il <em>trustee</em>. Che il primo sia titolare di un diritto di credito o di una mera aspettativa nei confronti del secondo è vicenda che resta relativa al rapporto interno fra questi due soggetti ed è oggetto di regolamentazione legislativa ai fini della «<em>responsabilità personale del trustee verso i beneficiari</em>» (art. 8, comma 2, lett. g, legge n. 364 del 1989). Tale vicenda non attiene al punto di vista dei terzi (in particolare i creditori del disponente) e resta estranea agli elementi costitutivi della fattispecie dell'art. 2901 cod. civ., perché non riguarda né l'intestazione formale della proprietà, che è il profilo rilevante ai fini della circolazione del bene, né lo stato soggettivo della parte beneficiata dallo spostamento patrimoniale. L'ambito del litisconsorzio necessario non è quindi condizionato dalla natura del rapporto fra il beneficiario ed il trustee. Vengono in conclusione affermati dalla Corte i seguenti principi di diritto: a) «nell'azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto bene in trust lo stato soggettivo del terzo rilevante nel caso di atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è quello del beneficiario e non quello del trustee»; b) «nell'azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto bene in trust il beneficiario è litisconsorte necessario esclusivamente nel caso dell'atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso».</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 1° giugno esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 14079 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per la declaratoria di inefficacia dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore, ancorchè non sia neppure proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all'accoglimento della domanda revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 14081 onde in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore, e può essere comprovata tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove sia congruamente motivato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 17336 in tema di onere probatorio sulla domanda di revocazione di una donazione. Un atto di donazione impoverisce di per sè il donante, perchè lo priva della cosa donata senza corrispettivo. Pertanto la dimostrazione dell'avvenuta stipula d'una donazione costituisce da sola dimostrazione dell'impoverimento del donante. Fornita dunque tale prova dall'attore nel giudizio di revocazione, spettava ai convenuti dimostrare che nonostante la donazione, il patrimonio del donante restava sufficiente a soddisfare il creditore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 luglio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 17612 che, premesso il principio in base al quale "condizioni della separazione" non sono soltanto quelle "regole di condotta" destinate a scandire il ritmo delle reciproche relazioni per il periodo successivo alla separazione o al divorzio, ma anche tutte quelle pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque ancorare la loro disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale (e, tra queste ultime, l'assetto, il più possibile definitivo, dei propri rapporti economici, con la liquidazione di tutte le "pendenze" ancora eventualmente in atto), ribadisce come gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della "donazione", e - tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. - rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di "separazione consensuale" (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo - in quanto tale - da un lato alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sè, ad un contesto - quello della separazione personale - caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell'affettività), e dall'altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua "tipicità" propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della "gratuità", in ragione dell'eventuale ricorrenza - o meno - nel concreto, dei connotati di una sistemazione "solutorio-compensativa" più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 luglio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 19746 che si pone in continuità con l’orientamento secondo cui qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l'erogazione di somme poi refluite in forza di precedenti accordi nelle casse della banca mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi", risulta "individuabile il "motivo illecito" perseguito, rappresentato dalla costituzione di un'ipoteca per debiti chirografari preesisitenti; tale garanzia è revocabile, in quanto concessa per nuovo credito, la cui erogazione è finalizzata all'estinzione di credito precedente chirografario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia UE nella causa C-296/17 che, in caso di revocatoria fondata sull’insolvenza del debitore, afferma la giurisdizione del giudice dello Stato ove si è aperta la procedura concorsuale, con esclusione di qualsiasi altro foro concorrente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 novembre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 30188 che, in tema di azione revocatoria ordinaria, ribadisce come la <em>participatio fraudis</em> del terzo acquirente, cioè la conoscenza da parte di questi della dolosa preordinazione dell'alienazione ad opera del disponente rispetto al credito futuro - condizione dell'azione, insieme al <em>consilium fraudis</em> del debitore, quando l'atto di disposizione sia anteriore al sorgere del credito - possa essere accertata anche mediante il ricorso a presunzioni, con un apprezzamento, riservato al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre esce la sentenza delle SU della Cassazione n. 30416 che, prendendo atto che il prospettato contrasto che aveva originato la rimessione non è in effetti sussistente, afferma due importati principi di diritto secondo cui la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o sia fallimentare, in forza di un diritto potestativo comune, al di là delle differenze esistenti tra le medesime, ma in considerazione dell’elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, quantomeno nella forma della <em>scientia decoctionis</em>, ha natura costitutiva, in quanto modifica "<em>ex post</em>" una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 cod. civ.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto.</p> <p style="text-align: justify;">Di conseguenza, non è ammissibile un’azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 277 in tema di revocatoria fallimentare che chiarisce che l’art. 67, comma 2, lett. B) del R.D. 267/42 impone al giudice del merito di accertare la revocabilità della rimessa (solutoria o ripristinatoria che sia) avendo riguardo, oltre che alla consistenza, alla durevolezza di essa. Tale accertamento non deriva da una semplice quantificazione della differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle pretese della banca nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui si è aperto il concorso, giacché l’art. 70 del citato R.D. indica solo il limite massimo dell’importo che il convenuto in revocatoria può essere tenuto a restituire.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 1260 onde qualora il vincolo di destinazione è stato costituito a favore di tutti i creditori del concordato non è possibile ipotizzare la lesione della <em>par condicio</em> nei confronti di alcuno dei creditori. I creditori del concordato sono tutti i creditori della società, compresi quelli prededucibili e non è dato ipotizzare, ai sensi dell'art. 167 I. fall.,che, una volta proposto il concordato di una società, possano sorgere nuovi crediti verso l'ente assoggettato alla procedura che non siano "creditori del concordato preventivo".</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, deve ritenersi certamente meritevole di tutela il fine perseguito dall'impresa che, anteriormente al deposito del ricorso per concordato preventivo, costituisca sul patrimonio un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. al fine di consentire la soddisfazione proporzionale dei creditori non muniti di cause di prelazione. Detta iniziativa consente, infatti, la conoscibilità dello stato di crisi e preserva il patrimonio da eventuali atti di distrazione o da iniziative destinate ad avvantaggiare solo alcuni creditori in pregiudizio degli altri.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 1871 che ribadisce un consolidato orientamento secondo cui non costituisce pagamento del terzo ma adempimento diretto del debitore e, come tale, revocabile nel concorso di tutti i necessari presupposti, il pagamento eseguito mediante l'invio, fatto da quest'ultimo al proprio creditore, di un assegno bancario tratto da un terzo, consegnato e trasferito al debitore poi dichiarato insolvente, il quale, divenutone proprietario, ha legittimamente esercitato i diritti incorporati nel titolo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 3363 onde, ai fini della valutazione della determinatezza del credito in sede di azione revocatoria, non è sufficiente indicare nell’atto di citazione l’ammontare del credito, essendo altresì necessario, data la natura del credito stesso, specificarne il titolo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 marzo esce l’ordinanza delle SU della Cassazione n. 7621 in tema di regolamento di giurisdizione su una domanda di nullità di un trust e, per quanto di interesse, di legittimazione passiva e litisconsorzio dei vari soggetti coinvolti. La Corte prende le mosse da una, sia pur del tutto sommaria, puntualizzazione degli elementi costitutivi del trust: il quale, istituto di diritto straniero che può dirsi recepito nell’ordinamento italiano in forza e nei limiti della L. 16 ottobre 1989, n. 364, resta regolato dalla legge scelta dal costituente (art. 6, o da quella che con esso ha più stretti legami - art. 7), secondo i requisiti contemplati dalla stessa legge di ratifica, imperniandosi sul rapporto costituito dal disponente (o settlor), in base al quale i beni vengono posti sotto il controllo - attraverso la formale titolarità dei medesimi - di un trustee nell’interesse del beneficiario o per un fine specifico; con la peculiarità che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee, pur essendo a lui intestati, mentre il trustee deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust (art. 2).</p> <p style="text-align: justify;">Dal punto di vista processuale, il trust - di cui è costantemente esclusa qualsiasi entificazione (Cass. 27/01/2017, n. 2043), risolvendosi in un insieme di rapporti giuridici facenti capo al trustee (o, più compiutamente, un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee, che è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto) - è stato preso in considerazione - tra l’altro - ai fini dell’individuazione delle parti necessarie nelle azioni revocatorie che quello hanno ad oggetto. Al riguardo, da un lato la definizione recepita - e sopra sommariamente ricordata - dell’istituto ha consentito di escludere sempre e comunque il beneficiario dal novero dei litisconsorti necessari, identificando quale unico convenuto necessario il trustee; dall’altro lato, però, si è esteso il litisconsorzio al beneficiario, talvolta - sia pure con più sobria affermazione - sic et simpliciter, talaltra, con più estesa analisi dei presupposti, almeno ove si tratti di trust a titolo oneroso o gratuito (distinzione tra i differenti titoli rilevante già a fini fiscali) ed a seconda dell’interesse del beneficiario e del disponente, in base alla corretta premessa che l’estensione del litisconsorzio necessario è proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie e con articolata disamina dell’istituto.</p> <p style="text-align: justify;">Non risulta esaminata, almeno ex professo o con particolare approfondimento, la questione della legittimazione, oltretutto se necessaria o meno, del beneficiario nei casi di azione di nullità del trust: la quale va allora affrontata in questa sede, ma al limitato fine di valutare i presupposti per applicare alla fattispecie la deroga prevista dall’art. 6, n. 1, della Convenzione di Lugano del 2007 alla regola generale di devoluzione della giurisdizione al giudice del domicilio del convenuto, essendo pacifico che il trustee convenuto ha domicilio nella Confederazione elvetica; in particolare, a tal fine va premesso che, nell’interpretazione ed applicazione di tutte le disposizioni della Convenzione, i giudici dei Paesi aderenti (e quindi anche quelli italiani e la Corte) devono, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo 2 allegato a detta Convenzione, tenere "debitamente conto dei principi definiti dalle pertinenti decisioni dei giudici degli Stati vincolati dalla Convenzione e della Corte di giustizia delle Comunità Europee in relazione a dette disposizioni o a disposizioni analoghe della convenzione di Lugano del 1988 o degli atti normativi di cui all’art. 64, paragrafo 1, della presente convenzione" (cioè il Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, e successive modifiche, la Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, il Protocollo relativo all’interpretazione di detta Convenzione da parte della Corte di giustizia delle Comunità Europee, firmato a Lussemburgo il 3 giugno 1971, modificati dalle Convenzioni di adesione a detta Convenzione e a detto Protocollo da parte degli Stati aderenti alle Comunità Europee, nonché l’accordo tra la Comunità Europea e il Regno di Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmato a Bruxelles il 19 ottobre 2005). Ne consegue che i principi di elaborazione Eurounitaria sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 6 della Convenzione di Lugano sono gli stessi elaborati quanto all’art. 6 del Regolamento 44/2001.</p> <p style="text-align: justify;"> La regola generale posta dalla Convenzione di Lugano (del 1988 come del 2007), sul punto di tenore identico a quella corrispondente del Regolamento Bruxelles I (cioè il 44/01) ed a quella del successivo Regolamento Bruxelles I-bis (cioè il 1215/12), è la determinazione della giurisdizione in base al luogo del domicilio del convenuto: sicché costituisce un’eccezione o deroga, da interpretare in modo rigoroso, la successiva previsione dell’art. 6. In particolare, "affinché due decisioni possano essere considerate incompatibili, ai sensi dell’art. 6, punto 1, del regolamento n. 44/2001, non è sufficiente che sussista una divergenza nella soluzione della controversia, essendo inoltre necessario che tale divergenza si collochi nel contesto di una stessa fattispecie di fatto e di diritto"; sicché solo "nell’ipotesi di due ricorsi proposti contro una pluralità di convenuti, aventi oggetto e titolo diversi e tra i quali non intercorra una relazione di subordinazione o d’incompatibilità, non è sufficiente che l’eventuale accoglimento di uno di essi sia potenzialmente idoneo a riflettersi sull’entità dell’interesse a tutela del quale l’altra domanda è stata proposta affinché vi sia un rischio di decisioni incompatibili ai sensi di tale disposizione". Infatti, la regola dell’art. 6, paragrafo 1, n. 1, del Regolamento (e quindi, per quanto ricordato al precedente punto 32, della Convenzione di Lugano) dev’essere interpretata "nel senso che la circostanza che domande proposte nei confronti di una pluralità di convenuti abbiano fondamenti normativi diversi non osta all’applicazione di tale disposizione" e comunque "si applica qualora le domande promosse nei confronti di più convenuti siano connesse al momento del loro esperimento, vale a dire qualora sussista un interesse ad un’istruttoria e ad una pronuncia uniche per evitare il rischio di soluzioni eventualmente incompatibili se le cause fossero decise separatamente, senza che sia inoltre necessario verificare ulteriormente che dette domande non siano state presentate esclusivamente allo scopo di sottrarre uno di tali convenuti ai giudici dello Stato membro in cui egli ha il suo domicilio". Ma neppure la prova dell’intento fraudolento o abusivo dell’attore potrebbe però trarsi dal semplice fatto che l’azione diretta nei confronti del convenuto domiciliato nello Stato membro del giudice adito appaia infondata, dovendo invece quest’ultima apparire, al momento della relativa introduzione, manifestamente priva di ogni fondamento al punto da risultare artificiosa ovvero sprovvista di ogni interesse reale per l’attore: la giurisprudenza della Corte di Giustizia è stata applicata dalla Cassazione italiana con rigore, essendo stata esclusa la deroga di cui all’art. 6, comma 1, n. 1 del Regolamento quando la prospettazione stessa della domanda fosse artificiosamente finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge. In definitiva, tema di giurisdizione, l’art. 6, n. 1, del regolamento comunitario n. 44/2001 (oggi sostituito dall’art. 8, n. 1, di quello n. 1215/2012) va interpretato restrittivamente, integrando una regola speciale in deroga a quella generale di cui al suo precedente art. 2, per cui non può essere esteso oltre le ipotesi previste: sicché una persona domiciliata in uno Stato membro non può essere evocata in giudizio in altro Stato membro, ove è domiciliato uno degli altri convenuti, qualora le domande abbiano oggetto e titolo diversi, siano tra loro compatibili, e non una subordinata all’altra, e non sussista il rischio di decisioni incompatibili, ma solo la possibilità di una divergenza nella loro soluzione o la potenziale idoneità dell’accoglimento di una di esse a riflettersi indirettamente sull’entità dell’interesse sotteso all’altra; inoltre, il coinvolgimento di un convenuto ulteriore vale senz’altro a radicare la giurisdizione del giudice italiano quando sia unitaria l’azione intrapresa, ma non anche quando sia chiaro il suo carattere pretestuoso, cioè la sua esclusiva finalizzazione allo spostamento della competenza giurisdizionale per ragioni di connessione.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stato della giurisprudenza nazionale non consente di qualificare come pacifica l’esclusione della legittimazione passiva del beneficiario nelle azioni di nullità del trust, visto che quella è sì negata, ma soltanto secondo un’impostazione interpretativa maggioritaria e comunque sostanzialmente nei rapporti coi terzi, impostazione che, nella relativa assolutezza, altre pronunce iniziano a mettere in dubbio per la configurabilità di una posizione lato sensu creditoria in capo al beneficiario o per la necessità almeno di approfondire e verificare la natura del trust ed in particolar modo se esso sia stato istituito a titolo oneroso. Al contrario, nella fattispecie all’esame della Corte si tratta, con tutta evidenza, di domande rivolte contro più soggetti comunque tutti - e solo - parti dell’unitario complesso rapporto di trust, le cui posizioni giuridiche soggettive sono quindi indissolubilmente avvinte e condizionate dalla contestazione della validità genetica della stessa costituzione del rapporto, anziché di quella della sua opponibilità ai terzi; il titolo è, pertanto, unitario e sussiste un’evidente vincolo di interdipendenza tra la declaratoria di nullità e quella di restituzione dei beni ai quali, se non altro in base al complesso meccanismo di operatività del trust da verificare nel suo concreto atteggiarsi nella fattispecie ad opera del giudice munito di giurisdizione, la beneficiaria potrebbe avere un’aspettativa giuridicamente tutelabile; infatti, nel caso fosse accolta la domanda che mira a travolgere in radice il trust verrebbe meno qualunque posizione giuridica soggettiva, di qualsivoglia specie, anche in capo a quella. Ed atterrà allora al merito - senza potere influenzare la giurisdizione, visto che si tratta di indagine a compiersi e di possibilità non escludibile a priori - tanto la verifica o l’accertamento della sussistenza o meno di un diritto della beneficiaria, quanto la valutazione della dichiarazione od ammissione di questa di insussistenza di pretese comunque in base al trust di cui si mette qui in discussione la stessa validità: come pure al merito atterrà la valutazione della legge in concreto applicabile in forza, nel caso di specie, dell’art. 10.1 dell’atto istitutivo del trust, nonché degli effetti delle relative previsioni.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 10443 onde gli accordi di separazione tra coniugi, anche se contenenti attribuzioni patrimoniali senza corrispettivo, non possono ricomprendersi tra gli atti donativi essendo del tutto prevalente l’intento di sistemazione dei rapporti in occasione di tale evento di separazione, e ciò anche ai fini dell’eventuale assoggettabilità all’<em>actio</em> revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 10500 che ribadisce la necessità di un accertamento della conoscenza effettiva (e non meramente potenziale) dello stato di insolvenza dell’imprenditore, da parte del terzo, pur se basata su elementi indiziari, caratterizzati dai requisiti di concordanza, precisione e gravità. In altre parole, bisogna accertare che il terzo, secondo le regole di normale prudenza, non poteva non accorgersi della situazione di dissesto in cui versava l’imprenditore.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 16221 che ribadisce il principio secondo cui il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria (cd. <em>eventus damni</em>) ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, ricorda il Collegio che a fondamento dell'azione revocatoria ordinaria non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso; a questo proposito, la sostituzione di un immobile con il denaro derivante dalla compravendita comporta di per sé una rilevante modifica qualitativa della garanzia patrimoniale, in considerazione della maggiore facilità di cessione del denaro.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, si osserva che è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore promuovere l'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ. - ricorrendone i presupposti - nei suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, rileva la Corte che, in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore; la relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 luglio esce l’ordinanza sentenza della I sezione della Cassazione n. 19881 che rimette nuovamente alle Sezioni Unite la questione dell'ammissibilità dell'azione revocatoria (ordinaria e fallimentare) nei confronti di un fallimento, ai sensi dell'art. 374, terzo comma, c.p.c..</p> <p style="text-align: justify;">Secondo un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, non è ammissibile un'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo della predetta azione. Invero, il patrimonio del fallito è insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poichè l'effetto giuridico favorevole all'attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l'azione sia stata esperita dopo l'apertura della procedura stessa. Nè sarebbe possibile richiamare, secondo la impostazione interpretativa tradizionale, quanto affermato in Cass. 7583/1994, giacchè quest'ultima si è limita a confermare il principio, già enunciato da Cass. 2746/1963, secondo cui, se nelle more del giudizio di revoca sopraggiunge il fallimento del convenuto, il giudizio prosegue davanti allo stesso giudice quanto alla domanda di revoca, mentre le domande restitutorie conseguenti devono essere verificate nel fallimento della parte convenuta, ai sensi della L. Fall., art. 52 e art. 93 e segg.. L'ipotesi, pertanto, sarebbe quella che si tratti di azione revocatoria iniziata prima del fallimento della parte convenuta; azione la cui proseguibilità potrebbe spiegarsi con la considerazione che gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione.</p> <p style="text-align: justify;">Nè il principio di cristallizzazione del passivo fallimentare al momento della declaratoria di fallimento subirebbe - secondo tale impostazione esegetica deroghe di sorta. E così, il credito di regresso azionato dal fideiussore non troverebbe il suo fatto genetico nel pagamento intervenuto dopo la dichiarazione di fallimento, ma dovrebbe essere pur sempre ricondotto alla fattispecie negoziale da cui discende l'obbligazione di garanzia che è precedente il fallimento stesso. Ma anche l'insinuazione al passivo del credito discendente dal positivo accoglimento della domanda revocatoria, per come prevista dalla L. Fall., art. 70, comma 2, si fonderebbe non già su un fatto genetico posteriore all'apertura della procedura concorsuale, quanto piuttosto sulla reviviscenza del credito originario il cui titolo genetico sarebbe, anche in tal caso, anteriore alla dichiarazione di fallimento e all'apertura del concorso. Ed ancora, le richiamate deroghe al principio di cristallizzazione del passivo prospettate in riferimento agli istituti regolati dalla L. Fall., artt. 72, 74 e 80, non terrebbero in considerazione la circostanza che le eventuali pretese creditorie fatte valere nei confronti del fallimento traggono fondamento in titoli contrattuali anteriori alla dichiarazione di fallimento. Del pari non sarebbe in alcun modo condivisibile la convinzione secondo cui, nel caso di revocatoria promossa da un fallimento nei confronti di altro fallimento, il presupposto giuridico da cui deriva la pretesa restitutoria (e derivante dall'accoglimento della domanda di revoca) sarebbe preesistente al fallimento della parte convenuta, atteso che - proprio in ragione della sopra ricordata natura costitutiva dell'azione revocatoria - l'atto contro il quale l'azione esperita è originariamente valido ed efficace e, solo a seguito dell'accoglimento della revocatoria, diviene privo di effetti giuridici. Così anche l'effetto distorsivo causato dall'applicazione del principio di cristallizzazione del passivo sarebbe privo di fondamento giuridico, atteso che, per un verso, la prosecuzione dell'azione revocatoria nei confronti del fallimento (già avviata prima della dichiarazione di fallimento) si legittima perchè si fonda sul fatto che l'azione riguarda pretese già facenti parte del patrimonio del convenuto poi fallito e che, per altro verso e per converso, nella diversa ipotesi in cui l'azione revocatoria sia intrapresa dopo la dichiarazione di fallimento della parte convenuta il curatore della parte attrice fa valere nei confronti della curatela convenuta pretese aggiuntive ed ulteriori rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del fallito al momento della dichiarazione di fallimento.</p> <p style="text-align: justify;">Da ultimo, viene ricordato che la soluzione tradizionale ha avuto il recente ed autorevole conforto da parte delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 30416 del 23/11/2018), le quali hanno chiarito, <em>verbatim</em>, che "<em>la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o fallimentare, al di là delle differenze esistenti tra le due azioni ed in considerazione dell'elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, ha natura costitutiva in quanto modifica "ex post" una situazione giuridica preesistente, privando di effetti atti che avevano già conseguito piena efficacia e determinando la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell'atto dispositivo</em>". Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile l'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, esperita nei confronti di un fallimento, trattandosi di un'azione costitutiva che modifica "ex post" una situazione giuridica preesistente ed operando il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso in funzione di tutela della massa dei creditori.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, con il pronunciamento da ultimo menzionato espresso dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte, è stato confermato l'orientamento esegetico, secondo il quale - a tutela della stabilità dell'asse fallimentare - non è ammissibile un'azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni.</p> <p style="text-align: justify;">Orbene, il presupposto su cui riposa tale affermazione è duplice: da un lato, si richiama il principio (sotteso alla previsione di cui alla L. Fall., artt. 51 e 45, corrispondenti, ora, alla D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, artt. 150 e 145, "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza"), secondo cui l'asse concorsuale è insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento; dall'altro lato, si invoca la natura costituiva della pronunzia di revocatoria, nel senso che l'effetto giuridico favorevole all'attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento (rectius: del suo passaggio in giudicato), e non può essere invocato contro la massa dei creditori, ove l'azione sia stata esperita dopo l'apertura della procedura fallimentare.</p> <p style="text-align: justify;">Sotteso ai due principi da ultimo ricordati, come pilastri fondanti la regola dell'inammissibilità dell'azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, nei confronti di un fallimento, è l'altro principio, secondo il quale, se l'azione revocatoria sia esperita prima della dichiarazione di fallimento, essa non incappa nella sanzione dell'improcedibilità sopravvenuta, giacchè la proseguibilità giudiziale dell'istanza di tutela "<em>può spiegarsi con la considerazione che gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione</em>" (cfr., tra le altre: Cass. 3657/1984, 1001/1987, nonchè Cass. 5443/1996 e 437/2000, rese a sezioni unite, cit. supra). Detto altrimenti, "<em>il divieto di azioni esecutive individuali posto dalla L. Fall., art. 51, non osta alla procedibilità della revocatoria ordinaria già promossa dal creditore dell'alienante, ove la domanda ex art. 2901 c.c., sia stata trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell'acquirente; diversamente, il creditore dell'alienante, pur trovandosi nella condizione di opponibilità alla massa, ai sensi della L. Fall., art. 45, dell'azione proposta, resterebbe privo della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. e l'atto fraudolento gioverebbe ai creditori dell'acquirente fallito (per la sola sostituzione a questi del curatore); l'azione revocatoria, infatti, pur se preordinata al soddisfacimento esecutivo del creditore, non può considerarsi un'azione esecutiva, volta com'è a rendere inopponibile al creditore l'atto dispositivo compiuto dal debitore</em>" (così, Cass. 2 dicembre 2011, n. 25850).</p> <p style="text-align: justify;">Tale ultimo orientamento, pur autorevolmente e recentemente espresso dalla giurisprudenza di vertice, merita, tuttavia, un ulteriore momento di riflessione e un meditato ripensamento, soprattutto alla luce delle novità introdotte dal "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza", la cui disciplina (sebbene, qui, non direttamente applicabile <em>ratione temporis</em>) viene qui richiamata a fini interpretativi e ricostruttivi, perchè, da un lato, la stessa fa ora parte integrante dell'ordinamento positivo (nonostante la lunga <em>vacatio legis</em> prevista) e perchè, dall'altro, segna un'evidente incrinatura nelle argomentazioni spese dalle Sezioni Unite nel precedente arresto.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto questo preliminare (e fondamentale) profilo di riflessione, non può essere sottovalutata proprio la novità legislativa introdotta dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 290, comma 3 ("Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza") che ha, ora, fissato la regola espressa secondo la quale "Il curatore della procedura di liquidazione giudiziaria aperta nei confronti delle altre società del gruppo può esercitare, nei confronti delle altre società del gruppo, l'azione revocatoria prevista dall'art. 166, degli atti compiuti dopo il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o, nei casi di cui all'art. 166, comma 1, lett. a) e b), nei due anni anteriori al deposito della domanda o nell'anno anteriore, nei casi di cui all'art. 166, comma 1, lett. c) e d)".</p> <p style="text-align: justify;">L'introduzione della norma - che supera anche l'argomento letterale della "specialità" della procedura utilizzato dalla sentenza resa a Sez. Un. sopra ricordata (cfr. sent. 30416/20189) per marginalizzare il riferimento già contenuto nel D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 91, della c.d. revocatoria aggravata alle sole procedure di amministrazione straordinaria - consiglia, oggi, un ripensamento dei principi già affermati nel precedente autorevole arresto giurisprudenziale, sia in ragione della notevole valenza sistematica rivestita dalla norma sopra citata sia per l'applicazione generalizzata di quest'ultima a tutte le ipotesi di revocatorie infragruppo nelle procedure di liquidazione.</p> <p style="text-align: justify;">Sul punto, non può essere neanche dimenticato che la predetta norma (introdotta dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 290, comma 3, per come sopra ricordata), non contiene deroghe esplicite al principio dell'inammissibilità dell'azione revocatoria nei confronti della procedura di liquidazione giudiziale, già in precedenza affermato in via interpretativa, di talchè deve ritenersi generalizzata, per converso, l'applicazione, ora, del contrario principio di ammissibilità dell'azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, nei confronti della procedura concorsuale.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, laddove il legislatore ha introdotto deroghe a principi normativi (o interpretativi) già in precedenza affermati, lo ha fatto esplicitamente nel tessuto normativo delle nuove disposizioni legislative, prevedendole <em>verbatim</em>. Ed invero, l'art. 182 quater, comma 3, per come novellato dal D.L. 22 giugno, n. 83, art. 33, comma 1, lett. e bis, n. 3), (convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134), nell'introdurre la regola della prededuzione in relazione ai finanziamenti dei soci fino alla concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare, ha esplicitamente previsto l'affermazione del nuovo principio normativo, in deroga a quanto già disposto dagli artt. 2467 e 2497 quinques c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Ciò conferma la natura generalizzatante del principio dell'ammissibilità dell'azione revocatoria nei confronti di altre procedure di liquidazione giudiziale, anche al di là dei ristretti ed angusti limiti delle azioni esercitate "infragruppo".</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, la soluzione prospettata dalle Sez. Un. nel noto arresto sopra citato lascia insoddisfatti sia sul piano dogmatico che su quello più strettamente pratico-applicativo.</p> <p style="text-align: justify;">In realtà, la soluzione predicata dalle Sez. Un. si risolve nel diniego della tutela assicurata dalla legge al creditore - ovvero a un intero ceto creditorio, quando ad agire in revocatoria ordinaria sia un fallimento - per un evento che colpisce un terzo ed arricchisce i creditori di quest'ultimo a suo danno.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, si può anche ragionevolmente dubitare che la materia del contendere dei riferimenti giurisprudenziali contenuti nella sentenza da ultimo citata sia riconducibile alla peculiarità del caso deciso, cioè alla revocatoria ordinaria proposta contro il fallimento del terzo acquirente. La giurisprudenza esposta in sentenza si occupa, invece, di revocatorie fallimentari aventi a oggetto pagamenti del fallito e, lungi dal confrontarsi con il fallimento dell'<em>accipiens</em>, è chiamata a risolvere problemi quali la decorrenza della prescrizione dell'azione e la natura "di valore" o "di valuta" dell'obbligazione restitutoria del terzo in bonis. Se si considera ciò, ben si comprendono il senso ed i limiti della valenza costitutiva che la giurisprudenza attribuisce alla azione revocatoria. Il quadro di tale giurisprudenza è caratterizzato: a) dal fallimento del debitore, e b) dal ruolo che proprio il fallimento assume quale fattispecie legale della revoca. Si tratta di un quadro nettamente diverso da quello in cui: a) il fallimento riguarda (non il debitore ma) il terzo acquirente, e in cui b) la fattispecie legale della revoca è indipendente dal fallimento, consistendo essa nella originaria qualificazione di inefficacia dell'atto.</p> <p style="text-align: justify;">In realtà, sostenere che il fallimento del terzo impedisce la possibilità di agire in revocatoria contro la procedura significa creare una fattispecie di irrevocabilità sopravvenuta dell'acquisto: il fallimento "ripulisce" l'acquisto che viene a sanarsi per una vicenda propria del terzo avente causa (magari provocata proprio dal debitore, società controllante che trasferisce il cespite e fa fallire la controllata).</p> <p style="text-align: justify;">Viene, poi, aggiunto un ulteriore profilo di riflessione.</p> <p style="text-align: justify;">Ricorrendo al concetto di cristallizzazione del patrimonio, le S.U. dichiarano di operare in continuità con la soluzione già adottata da Cass. n. 10486/2011 e Cass. n. 3672/2012, cit. <em>supra</em>. Cristallizzazione significa fissazione della massa passiva al momento della dichiarazione, nel senso di irrilevanza di nuove obbligazioni, o di aggravio di preesistenti, in capo al fallito, cioè di sopravvenienze: sopravvenienza non può, tuttavia, considerarsi la soggezione a revoca di preesistenti acquisti.</p> <p style="text-align: justify;">Non è spiegato, cioè, come l'intervenuta dichiarazione possa cancellare la qualità intrinseca di tali acquisti, tanto più che essa non è stabilita a favore del creditore del fallito (che subisce le limitazioni della responsabilità del proprio debitore), bensì a tutela di un terzo. Si tratta, cioè, di un <em>minus</em> patrimoniale la cui causa preesiste al fallimento, successiva al fallimento essendo, infatti, solo la sua realizzazione.</p> <p style="text-align: justify;">La revocabilità non viene meno alla regola dell'insensibilità del patrimonio alle nuove obbligazioni perchè l'obbligazione è qui connessa ad una illiceità e ad una inopponibilità preesistenti.</p> <p style="text-align: justify;">Si evidenzia, poi, nell'arresto sopra ricordato, che l'effetto revocatorio retroagisca alla data della domanda, onde esso non potrebbe incidere sulla massa passiva già formatasi quando la domanda sia portata direttamente contro un fallimento. Non è tuttavia vero che la sentenza d'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria limiti la sua retroattività alla data della domanda, perchè la revoca ha innegabilmente ad oggetto l'atto alla data del suo compimento.</p> <p style="text-align: justify;">Come è stato osservato anche in dottrina, è sufficiente considerare che la prescrizione dell'art. 2652 c.c., n. 5 (che sottrae all'effetto revocatorio l'acquisto dei subacquirenti di buona fede) ha senso solo quale eccezione alla regola per cui il successivo acquirente dall'avente causa acquista cum onere, evenienza quest'ultima che, a sua volta, postula che l'accoglimento della revocatoria sia retroagito all'acquisto del suo dante causa.</p> <p style="text-align: justify;">In realtà, la retroattività non è affatto limitata al momento della domanda (come è postulato nel precedente delle S.U., per salvare la domanda di revoca presentata prima del fallimento): la retroattività alla domanda riguarda infatti il tema specifico della successione in corso di causa, fenomeno affatto diverso dai limiti temporali della fattispecie sostanziale accertata in sentenza.</p> <p style="text-align: justify;">Non è casuale che la dottrina classica abbia sempre mostrato una decisa riluttanza alla classificazione della revocatoria codicistica quale azione costitutiva, ed abbia sempre preferito parlare di azione e sentenza di accertamento. Tuttavia, anche la "costitutività" dell'azione non giustificherebbe l'irretroattività della sentenza di accoglimento: l'effetto revocatorio (sintesi verbale della vicenda contemplata dagli artt. 2901 c.c. e segg., art. 2910 c.c. e artt. 602 c.p.c. e segg.), altro non è che il limite posto dalla legge all'acquisto al tempo del compimento dell'atto acquisitivo.</p> <p style="text-align: justify;">Occorre valutare, pertanto, un ripensamento della soluzione delle S.U. giacchè quest'ultima ha l'effetto di cancellare <em>tout court</em> la tutela assicurata al creditore (a un intero ceto creditorio, quando ad agire in revocatoria ordinaria è un fallimento) per atti anteriori al fallimento del terzo revocando. Certo è che occorre accordare l'azione con la natura collettiva dell'esecuzione praticabile.</p> <p style="text-align: justify;">Sul punto la sentenza resa dal Supremo Consesso obietta che la natura cognitiva della azione revocatoria la rende inconfondibile con l'azione esecutiva di cui alla L. Fall., art. 51. Si può tuttavia osservare che il momento dichiarativo della revoca è stato sempre concepito come strettamente strumentale ad un'azione intrinsecamente esecutiva e che ci sia uno spunto di ragione nell'opporre alla sua praticabilità il divieto di azioni esecutive individuali. D'altronde l'art. 2929-bis c.c., sta proprio a mostrare come una revocatoria possa presentarsi in veste di azione esecutiva non mediata da alcun preventivo accertamento, un'azione che rimette la ricognizione dei suoi presupposti ad un momento successivo ed eventuale.</p> <p style="text-align: justify;">Va, peraltro, aggiunto che, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l'esercizio vittorioso dell'azione revocatoria ha effetto retroattivo: pur intrinsecamente valido, l'atto - che sia stato revocato manca ab imo di efficacia nei confronti del fallimento che l'ha esperita (cfr., di recente, Cass., 24 aprile 2012, n. 6270). Secondo quanto comunemente si ritiene, d'altro canto, il debito restitutorio del soggetto, che la revoca ha subito, è debito di valore (cfr. già Cass. SS. UU., 28 aprile 1973, n. 1169); gli interessi sulla somma da restituire, poi, vengono a correre anche prima della domanda giudiziale, se vi è stato atto di costituzione in mora (Cass., 25 giugno 2009, n. 14896).</p> <p style="text-align: justify;">Non sembra, di conseguenza, che l'azione in esame sia destinata a incidere sul c.d. principio di cristallizzazione della massa passiva. Non pare, per altro verso, che la azione revocatoria possa essere ricondotta al divieto "di inizio" e "di proseguimento" delle azioni esecutive e cautelari disposto dalla L. Fall., art. 51. Secondo una convincente opinione, emersa in dottrina, l'azione revocatoria si manifesta piuttosto come azione di accertamento con effetti costitutivi: rispetto alla quale chi la propone non chiede l'accertamento nè di un diritto di credito, nè di un diritto reale o personale di godimento; chiede, per contro, una pronuncia che ricostituisca la garanzia patrimoniale del proprio debitore. Secondo quanto, del resto è compito precipuo delle procedure concorsuali di fare (cfr., per tutte, Cass., n. 21810/2015).</p> <p style="text-align: justify;">A questo punto il Collegio propone un ulteriore piano di riflessione.</p> <p style="text-align: justify;">Come sopra di è accennato, le Sezioni Unite, cit. sopra, precisano che alcun problema sorge nell'ipotesi in cui la domanda di revocatoria sia stata trascritta anteriormente alla trascrizione della sentenza che ha aperto la liquidazione giudiziale, e la giurisprudenza adopera sovente il termine "quesita(o)" per indicare il diritto a conseguire l'effetto della pronunzia costitutiva sorto (attraverso la trascrizione della sottostante domanda giudiziale) prima di tale sentenza.</p> <p style="text-align: justify;">In questa ipotesi, il tribunale originariamente adito dall'attore (ai sensi dell'art. 2901 c.c., se si tratta di un <em>quisque de populo</em>, oppure ai sensi della L. Fall., artt. 66 e 67, se si tratta di una procedura di liquidazione giudiziale) resta competente a decidere l'inefficacia dell'atto, nel mentre le pronunzie di pagamento o di restituzione, consequenziali alla dichiarazione d'inefficacia, competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento dell'altra parte, secondo le modalità stabilite per l'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi.</p> <p style="text-align: justify;">Come è stato osservato anche in dottrina, va, tuttavia, ricordato che non tutte le domande giudiziali sono trascrivibili, laddove tutti gli atti dispositivi (a prescindere dal loro oggetto) sono astrattamente revocabili, ai sensi dell'art. 2901 c.c., L. Fall., artt. 66 e 67. Orbene, ciò significa che per i beni - in relazione ai quali non è prevista la trascrizione della domanda giudiziale in pubblici registri (fosse anche il registro delle imprese) - mancherebbe la possibilità di rendere opponibile al fallimento dell'acquirente una domanda revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò potrebbe comportare anche l'insorgere di una evidente questione di incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., prospettabile, in ipotesi, in riferimento alle domande di revocatoria dei pagamenti ovvero degli atti dispositivi di beni mobili, per i quali si evidenzierebbe l'improcedibilità per il solo fatto dell'apertura della liquidazione giudiziale del debitore.</p> <p style="text-align: justify;">La soluzione a tali aporie interpretative va, tuttavia, trovata nel raccordo processuale tra tutela costitutiva e l'accertamento del passivo concorsuale.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, vanno considerate le conseguenze della tutela revocatoria ed il conseguente interesse del creditore a coltivarla.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il diritto vivente, infatti, l'interesse del creditore ad agire in revocatoria sussiste anche quando il bene oggetto dell'atto di cui si chiede la revoca non sia più nella disponibilità dell'acquirente, per essere stato da questo alienato a terzi con atto trascritto anteriormente alla trascrizione dell'atto di citazione in revocatoria: in questo caso, l'eventuale accoglimento della domanda di revocatoria consente all'attore di promuovere nei confronti del convenuto le azioni di risarcimento del danno o di restituzione del prezzo dell'acquisto, e ciò anche nell'ipotesi in cui le relative domande non siano state formulate congiuntamente alla domanda revocatoria, ma successivamente (cfr. Cass. 6 agosto 2010, n. 18369. V. anche Cass. 20 aprile 2012, n. 6270). Ciò vale anche per la revocatoria fallimentare, che ha ad oggetto non il bene in sè, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante la sua assoggettabilità ad esecuzione e, dunque, la liquidazione di un bene che, rispetto all'interesse dei creditori, viene in considerazione soltanto per il suo valore.</p> <p style="text-align: justify;">Il secondo aspetto da considerare è che la domanda di revocatoria non dà luogo all'esercizio di un'azione esecutiva, rispetto alla quale "chi la propone non chiede l'accertamento nè di un diritto di credito, nè di un diritto reale o personale di godimento; chiede, per contro, una pronuncia che ricostituisca la garanzia patrimoniale del proprio debitore" (così, <em>verbatim</em>, l'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, Cass.25 gennaio 2018, n. 1894). Detto altrimenti, la domanda di revocatoria non è destinata al recupero di un bene all'attivo del fallimento, ma a procurare il soddisfacimento dei creditori: non si tratta di un'azione esecutiva, ma di una declaratoria d'inopponibilità al creditore dell'atto dispositivo del debitore.</p> <p style="text-align: justify;">Così, la L. Fall., art. 51, "riguarda l'azione esecutiva e non quella di cognizione che caratterizza invece la domanda di revoca".</p> <p style="text-align: justify;">Il terzo profilo da valorizzare riguarda, invece, le finalità della L. Fall., art. 45, che, ad avviso delle Sezioni Unite, cit. supra, preclude la trascrizione di domande di revocatoria successive all'apertura della liquidazione giudiziale, ma fa salvi gli effetti delle trascrizioni già effettuate a quella data.</p> <p style="text-align: justify;">Come prospettato da attenta dottrina ed affermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte, la finalità della L. Fall., art. 45, è di "assicurare la completa cristallizzazione del patrimonio del fallito, allo scopo di porre detto patrimonio al riparo dalle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca successiva alla dichiarazione del fallimento, e quindi impedire che siano fatti valere, nel concorso fallimentare, pretese aggiuntive rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del fallito alla data della sentenza di fallimento" (così Cass. 8 agosto 2013, n. 19025, in motivazione).</p> <p style="text-align: justify;">Ciò detto, andrebbe rivisitata l'affermazione secondo cui con la domanda di revocatoria si facciano valere pretese aggiuntive rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del debitore alla data dell'apertura della liquidazione concorsuale. Ed invero, se è vero che la pronunzia di revocatoria ha natura costituiva, è altrettanto vero che essa non ha ad oggetto l'apprensione o la consegna di un bene (immobile o mobile che sia), bensì la reintegrazione ab ovo di una garanzia patrimoniale, che, a suo tempo, il debitore fallito aveva concorso a vulnerare.</p> <p style="text-align: justify;">Il punto di riflessione qui oggi di nuovo proposto era stato colto, peraltro, proprio dall'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, cit. supra, laddove si era rilevato che "nel caso di convenuto in revocatoria che sia fallito, le azioni esecutive - successive all'esito vittorioso di questa non risulteranno comunque esercitabili, giusta appunto il divieto di cui alla L. Fall., art. 51: lo sbocco naturale e proprio dell'esito vittorioso consistendo - come si è già visto essere insegnamento tradizionale di questa Corte nell'insinuazione del credito da restituzione (come in sostanza relativo al valore del bene di cui alla revoca) nel passivo fallimentare del convenuto perdente".</p> <p style="text-align: justify;">Come è stato osservato in dottrina, a venire qui in rilievo non è tanto la L. Fall., art. 51 (non vulnerato dall'esercizio di una pretesa di revocatoria), bensì una ragionata applicazione della L. Fall., successivo art. 52 (corrispondente all'art. 151, "Codice della crisi di impresa"), ossia della regola del concorso.</p> <p style="text-align: justify;">Se ne potrebbero trarre, dunque, le seguenti conclusioni applicative: a) qualora la domanda di revocatoria sia stata introdotta prima dell'apertura della liquidazione concorsuale e sia stata trascritta, essa prosegue davanti al giudice ordinario: le statuizioni di condanna derivanti dalla decisione di quest'ultimo vincolano la massa concorsuale;</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>b) qualora la domanda di revocatoria sia stata introdotta prima dell'apertura della liquidazione giudiziale, ma non sia stata trascritta o non sia trascrivibile, essa è improcedibile, stanti le barriere erette dalla L. Fall., artt. 45 e 52;</li> <li>c) nei casi sub b), e nell'ipotesi in cui la domanda di revocatoria non sia stata introdotta prima dell'apertura della liquidazione giudiziale, sarebbe possibile formulare, comunque, una domanda di ammissione al passivo per il corrispondente valore del pagamento o del bene oggetto dell'atto dispositivo astrattamente revocabile.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Ma in questa ipotesi il giudice delegato (nonchè il giudice delle eventuali impugnazioni dello stato passivo) dovrà delibare la pregiudiziale pretesa costitutiva (avente ad oggetto i presupposti dell'azione revocatoria, che rappresenta il presupposto per l'ammissione al passivo del suddetto credito restitutorio) incidenter tantum (ossia, senza efficacia di giudicato): la L. Fall., art. 93, (corrispondente all'art. 201 CCII) non ammette, infatti, domande di ammissione al passivo diverse (ed ulteriori) rispetto a quelle aventi ad oggetto il riconoscimento di un credito, ovvero la restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili nei riguardi della curatela.</p> <p style="text-align: justify;">Naturalmente anche tale "soluzione mediana" richiede l'interpello delle Sezioni Unite perchè involge, pur sempre, la questione dell'ammissibilità della delibazione incidentale sulla sussistenza dei presupposti applicativi dell'azione revocatoria nei confronti di un fallimento o comunque di una procedura giudiziale di liquidazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 25230 onde, secondo l'orientamento consolidato della Cassazione, la prova della sussistenza della consapevolezza circa lo stato d'insolvenza dell'imprenditore ex. art. 67 1.f. è raggiunta ogni volta che, al momento in cui è stato posto in essere l'atto revocabile, si siano verificate circostanze tali da far presumere ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza che l'imprenditore si trovasse in una situazione di non normale esercizio dell'impresa: circostanza che può essere desunta anche da semplici indizi, aventi l'efficacia probatoria delle presunzioni semplici e, in quanto tali, soggetti a valutazione concreta da parte del giudice di merito, da compiersi in applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Una tale impostazione non equivale a negare la necessità che la conoscenza dello stato d'insolvenza da parte del terzo contraente sia effettiva e non meramente potenziale; ciò nonostante, la prova di tale effettiva conoscenza può essere raggiunta mediante il ricorso a presunzioni semplici.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 25423 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui l'atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito e come tale soggetto ad azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'articolo 2901 c.c., a condizione che sussista la mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti. Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma dell'art. 64 I.fall., salvo che si dimostri l'esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del <em>solvens </em>di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione.</p> <p style="text-align: justify;">Negli stessi termini è stato precisato che l'istituzione di trust familiare (nella specie, per fare fronte alle esigenze di vita e di studio della prole) non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura - ai fini della revocatoria ordinaria - un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 ottobre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 25725 onde la nozione di mezzo (a)nomale di pagamento, di cui all'art. 67 comma 1 n. 2 legge fall., si polarizza sul parametro dei mezzi comunemente accettati nella comune pratica commerciale, considerata rispetto a un dato periodo temporale e rispetto a una data zona di mercato.</p> <p style="text-align: justify;">Posta una impostazione di questo tipo, appare chiaro che, per sé, non esistono figure di pagamento intrinsecamente normali (fuori che il denaro per l'adempimento delle obbligazioni pecuniarie, ex art. 1277 cod. civ., ed eventualmente l'assegno circolare; per il rilievo che un mezzo «anormale» tale rimane anche se previsto <em>ab imo</em> come modo di esatta esecuzione dell'obbligazione v. Cass., 22 maggio 2007) o, per contro, intrinsecamente anormali. Ché la qualifica di (a)normale di un mezzo di pagamento viene essenzialmente a dipendere dalla dimensione e dal tipo dell'utilizzo che ne fa l'operatività (di un dato segmento temporale e con riferimento a un dato settore di mercato).</p> <p style="text-align: justify;">Ciò non toglie che esistano figure giuridiche che, in ragione dei tratti caratteristici della loro struttura, si prestino facilmente ad assumere i panni del mezzo anormale di pagamento; comunque, più facilmente di certe altre figure. E' quanto avviene in modo sintomatico, ad esempio, per la figura della <em>datio in solutum</em> e per quella della cessione dei crediti pro solvendo.</p> <p style="text-align: justify;">Non diversamente accade sull'opposto versante della normalità del mezzo di pagamento. Strutture ideate per «aumentare» i modi e i mezzi di pagamento possono facilmente incontrare il successo nella prassi degli affari. Secondo quanto accaduto - come ricorda appunto la sentenza impugnata (anche con nutrite citazioni della giurisprudenza di questa Corte) - in particolare per gli assegni bancari e per le cambiali, tratta e pagherò.</p> <p style="text-align: justify;">E' importante notare, però, che si tratta sempre di valutazioni non già assolute, bensì relative: da misurare, dunque, con le caratteristiche proprie delle fattispecie volta a volta esaminate e secondo un processo di progressivo accostamento alla concretezza delle fattispecie medesime.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 25926 onde oggetto dell'azione revocatoria non può essere l'atto istitutivo del trust, che di per sé stesso non ha effetti dispositivi, ma il conseguente atto di disposizione con cui i beni sono trasferiti al fiduciario (trustee) o posto sotto il controllo dello stesso, oppure segregati nel patrimonio del disponente, nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico, come precisa l'art. 2, comma 2, Convenzione de L'Aja.</p> <p style="text-align: justify;">L'atto istitutivo di trust è l'atto con il quale il disponente esprime la volontà di costituire un trust; l'atto dispositivo, invece, è l'atto con il quale il disponente trasferisce, a titolo gratuito, i beni in trust al trustee.</p> <p style="text-align: justify;">Appare condivisibile l'impostazione di fondo della sentenza che supera la tesi che ricava la soluzione della non revocabilità dell'atto istitutivo del trust in via diretta - ovvero automatica - dalla affermazione che trattasi di atto sprovvisto di carattere traslativo, rilevando che, invece, tale funzione è svolta, nel contesto della complessiva operazione di trust, da atto successivo e conseguente.</p> <p style="text-align: justify;">In effetti, la constatazione che, nel trust, dispositivo è l'atto col quale viene intestato al trustee il bene conferito in trust non comporta che la relativa domanda revocatoria debba essere necessariamente indirizzata negli immediati confronti di quest'atto; e non possa, per ciò stesso, essere utilmente proposta pure nei confronti dell'atto istitutivo del trust. In realtà, nel caso in cui all'istituzione del trust abbia fatto poi seguito l'effettiva intestazione del bene conferito al trustee, la domanda di revocatoria, che assume ad oggetto l'atto istitutivo, appare comunque idonea a produrre l'esito di inefficacia (dell'atto dispositivo) a cui propriamente tende la predetta azione (ove la dichiarazione di inefficacia potesse essere emessa anche in assenza dell'effettiva esistenza di un atto dispositivo, per contro, si fuoriuscirebbe senz'altro dalla funzione di conservazione patrimoniale che risulta specificamente connotare, nel sistema del codice civile, come ripreso anche nella sede della normativa fallimentare, lo strumento dell'azione revocatoria).</p> <p style="text-align: justify;">Per constatare l'indicata idoneità, è sufficiente considerare che l'atto di trasferimento e intestazione del bene conferito al trustee non risulta essere atto isolato e autoreferente. Nella complessa dinamica di un'operazione di trust, lo stesso si pone, per contro, non solo come atto conseguente, ma prima ancora come atto dipendente dall'atto istitutivo. E' in quest'ultimo atto, cioè, che l'atto dispositivo recupera la sua ragion d'essere e causa (in ipotesi) giustificatrice.</p> <p style="text-align: justify;">È del resto corrente osservazione in letteratura che il trustee risulta titolare di un «ufficio», o di una «funzione»; e che, quindi, è proprietario non già nell'interesse proprio, bensì nell'interesse altrui: secondo i termini e i modi volta a volta appunto consegnatigli dell'atto istitutivo. La peculiare proprietà del trustee non potrebbe perciò «sopravvivere» all'inesistenza, o al caducarsi, dell'atto che viene nel concreto a conformare tale diritto. L'inefficacia dell'atto istitutivo, come prodotta dall'esito vittorioso di un'azione revocatoria, reca con sé, dunque, pure l'inefficacia dell'atto dispositivo. La domanda di revoca dell'atto istitutivo viene, in altri termini, a colpire il fenomeno del trust sin dalla sua radice.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 31227 che ribadisce il principio di diritto secondo cui ella fideiussione per obbligazione futura l'onere del creditore, previsto dall'art. 1956 cod. civ., di richiedere l'autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l'autorizzazione, all'adempimento di un'obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa.</p> <p style="text-align: justify;">I presupposti di applicabilità dell'art. 1956 cod. civ. non ricorrono allorché nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale, giacché in tale ipotesi la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 1141 onde in tema di azione revocatoria, nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per la declaratoria d'inefficacia dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore, ancorchè non sia neppure proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all'accoglimento della domanda revocatoria; il fatto di essere destinatario comunque di effetti complessivamente sfavorevoli rende, pertanto, tale parte legittimata passivamente alla domanda di revocatoria e quindi se del caso soccombente.</p> <p style="text-align: justify;">Afferma inoltre la Corte che il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito (come in un rapporto contrattuale) contestato in separato giudizio, è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore abilitato all'esperimento, a tutela, dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto dispositivo compiuto dal debitore, sicchè il relativo giudizio non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione è stata proposta domanda revocatoria, poichè tale accertamento non costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, nè, infatti, può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a protezione dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 2077 che si allinea al recente indirizzo interpretativo secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma dell'art. 64 lfall., salvo che si dimostri l'esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del "solvens" di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 3327 che, richiamando il precedente n. 29257/19, ribadisce che la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente, pur dovendo essere effettiva, può essere provata anche mediante indizi e fondata su elementi di fatto, purchè idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività. Orbene, se è vero che la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione così come il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l'esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità, è pur vero che, per giurisprudenza altrettanto consolidata in tema di prova per presunzioni, il giudice deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il giudice è tenuto a seguire un procedimento articolato in due fasi logiche: dapprima, una valutazione analitica degli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi). In tal senso è stata ritenuta censurabile in sede di legittimità la decisione con la quale il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio, atomisticamente considerati, senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero però in grado di acquisirla ove valutati secondo un giudizio complessivo di sintesi e di vicendevole completamento.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che, allorquando sia in contestazione il rigore del ragionamento presuntivo che il giudice deve operare ai sensi dell'art. 2729 c.c., occorre verificare che l'apprezzamento dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, richiesti dalla legge, sia stato ricavato dal complesso degli indizi, sia pure previamente individuati per la loro idoneità a produrre le inferenze che ne discendano secondo il criterio dell'id <em>quod plerumque accidit</em> e che non sia stato omesso l'esame di un fatto secondario, dedotto come giustificativo dell'inferenza di un fatto ignoto principale, purchè decisivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 4212 che, richiamando consolidati orientamenti giurisprudenziali, afferma come per l’accoglimento dell’azione revocatoria sia sufficiente che non si tratti di credito manifestamento pretestuoso (da ultimo Cass. 11755/18); non vi sia un onere di preventiva introduzione del giudizio di accertamento del credito, come si evince dalla giurisprudenza in materia di prescrizione (Cass. 16293/16 e 1084/11); come affermato da Cass. Sez. U. n. 9440 del 2004, la ragione di credito costituisce "titolo di legittimazione" dell'azione revocatoria per cui non vi è, da parte del giudice di quest'ultima, un accertamento sia pure incidentale del credito ma un accertamento in via principale in ordine alla non manifesta pretestuosità della ragione di credito quale titolo di legittimazione all'azione.</p> <p style="text-align: justify;">Ricorda poi il Collegio che le SS.UU. del 2004 si erano espresse in merito all'applicabilità o meno della sospensione necessaria prevista dall'art. 295 c.p.c. nel caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l'accertamento del credito per la cui conservazione era stata proposta la domanda revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">In quella occasione, veniva enunciato il principio secondo cui il giudizio promosso con azione revocatoria non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell'art. 295 c.p.c., annullando l'ordinanza con cui il tribunale aveva sospeso il giudizio introdotto per ottenere la dichiarazione di inefficacia dell'atto di disposizione in ragione della pendenza del processo relativo alla domanda avente ad oggetto il credito per risarcimento danni posto a fondamento della domanda revocatoria.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore.</p> <p style="text-align: justify;">Nell'enunciazione di siffatti principi la Corte di legittimità non ha mai richiesto che l'attore in revocatoria provasse di aver preventivamente introdotto il giudizio di accertamento del credito.</p> <p style="text-align: justify;">Ed infatti la costante giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito come ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria sia rilevante una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell'azione, la quale non persegue scopi restitutori.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, per l'accoglimento di detta azione non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli "<em>prima facie</em>" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste l’azione revocatoria e che effetti spiega?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un <strong>mezzo di conservazione</strong> della <strong>garanzia patrimoniale</strong>, a carattere <strong>conservativo</strong> e con <strong>funzione cautelare</strong>;</li> <li>il soggetto protagonista è il <strong>creditore</strong> che la intenta, detto <strong>revocante</strong>;</li> <li>è <strong>azione discrezionale</strong>; il creditore “<strong><em>può</em></strong>”esercitarla, ma <strong>non è ovviamente tenuto</strong> a farlo;</li> <li>ha ad oggetto <strong>atti di disposizione patrimoniale</strong> posti in essere <strong>dal debitore</strong>, detto <strong>revocato</strong>, che siano <strong>pregiudizievoli</strong> per le <strong>ragioni del creditore</strong> revocante, nella sostanza perché <strong>sottraggono dal relativo patrimonio</strong> <strong>beni aggredibili</strong> dal creditore al fine di <strong>realizzare coattivamente</strong> il proprio credito;</li> <li>tali atti, laddove l’azione sia accolta, vengono <strong>dichiarati inefficaci</strong> nei confronti del <strong>creditore revocante</strong>; l’atto <strong>resta valido</strong> tra le <strong>parti</strong> e rispetto ai <strong>terzi</strong>, ma è <strong>inefficace</strong> nei confronti del <strong>creditore revocante</strong>, al quale <strong>non può essere opposto</strong>;</li> <li>il <strong>bene</strong> oggetto della disposizione pregiudizievole può dunque <strong>essere aggredito dal creditore revocante vittorioso</strong>, ma <strong>non anche</strong> dagli <strong>altri creditori</strong> che <strong>non</strong> abbiano spiccato azione revocatoria;</li> <li>si tratta di <strong>azione “<em>relativa</em>”</strong> quanto ad <strong>effetti spiegati</strong>, beneficiandone – laddove accolta – il <strong>solo creditore revocante</strong>, e non anche gli altri creditori non revocanti; in ciò <strong>si differenzia</strong> dall’<strong>azione surrogatoria</strong>, che è invece “<strong><em>assoluta</em></strong>” beneficiando dei relativi effetti, in caso di accoglimento, anche <strong>tutti gli altri creditori</strong> che non abbiano agito;</li> <li>tali effetti <strong>non sono</strong> di tipo <strong>restitutorio</strong>, dal momento che l’atto revocato è <strong>valido ed efficace</strong>, quantunque <strong>inopponibile</strong> al creditore revocante, che può <strong>procedere coattivamente ed esecutivamente</strong> sul ridetto bene;</li> <li>non sono <strong>neppure di tipo satisfattorio</strong> <strong>diretto</strong>, quanto piuttosto <strong>satisfattorio indiretto</strong>: ottenuta la revocatoria dell’atto, il creditore revocante, <strong>al fine di soddisfarsi</strong>, deve infatti <strong>procedere esecutivamente</strong> sul bene di cui alla disposizione revocata, sulla scorta di un <strong>legittimo e valido titolo esecutivo</strong>; in <strong>taluni peculiari casi</strong> di <strong>atti gratuiti</strong> aventi ad oggetto <strong>beni immobili o mobili registrati</strong>, a partire dal <strong>2015</strong> il creditore (munito di <strong>titolo esecutivo</strong>) può tuttavia <strong>agire direttamente in sede esecutiva</strong> col <strong>pignoramento</strong>, “<strong><em>saltando</em></strong>” la revocatoria (art.<strong>bis</strong> c.c.);</li> <li>l’atto di disposizione, per essere <strong>realmente pregiudizievole</strong>, deve incidere sulla <strong>garanzia patrimoniale generica</strong> del debitore: j.1) <strong>non sono revocabili</strong> gli atti di disposizione di beni che <strong>sono già inalienabili o impignorabili</strong>, dal momento che l’azione esecutiva del creditore <strong>non potrebbe assumerli a relativo oggetto</strong> a fini satisfattivi; j.2) del pari, non sono revocabili gli <strong>atti nulli</strong>, dal momento che la nullità può essere fatta valere <strong>da qualunque terzo</strong> che vi <strong>abbia interesse</strong>, e dunque <strong>anche dal creditore</strong>, che è allora legittimato a spiccare <strong>azione di nullità</strong> (e non azione revocatoria) al fine di scongiurare il pregiudizio che potrebbe derivargli dall’<strong>apparente diminuzione della garanzia patrimoniale</strong> a proprio favore; j.3) sono invece <strong>revocabili</strong> gli atti di disposizione patrimoniale <strong>annullabili, rescindibili o risolubili</strong>, che producono <strong>effetti</strong> fino ad annullamento, rescissione o risoluzione del pertinente titolo; in proposito, il creditore – che <strong>non può agire direttamente</strong> per l’annullamento, la rescissione o la risoluzione di tale titolo – può <strong>alternativamente</strong> esperire <strong>l’azione revocatoria</strong> al fine di far dichiarare <strong>relativamente inefficace</strong> ed <strong>a lui inopponibile</strong> il pertinente atto dispositivo, ovvero <strong>agire in surrogatoria</strong> per l’annullamento, la rescissione o la risoluzione del titolo <strong>in senso “<em>assoluto</em>”</strong> (se ne giovano anche gli altri creditori); j.4) per quanto poi riguarda gli atti di disposizione patrimoniale <strong>simulati assoluti</strong>, il creditore del debitore simulato alienante può <strong>agire in simulazione</strong> ex art.1416, comma 2, c.c., ma il regime della simulazione è <strong>particolarmente rigoroso</strong> in termini di <strong>tutela dei creditori</strong> del <strong>debitore simulato alienante</strong> e dei <strong>terzi</strong> perché <strong>l’inefficacia “<em>simulatoria</em>”</strong> dell’atto – <strong>a valle</strong> dell’azione di simulazione – <strong>non può</strong> comunque <strong>opporsi</strong> ai <strong>terzi di buona fede</strong> che abbiano <strong>acquistato diritti</strong> dal <strong>terzo simulato acquirente</strong> (art.1415 c.c.) né ai <strong>creditori di tale terzo simulato acquirente</strong> che abbiano compiuto <strong>atti di esecuzione sui beni</strong> oggetto del contratto simulato (art.1416 c.c.), onde è <strong>più prudente</strong> per il creditore spiccare <strong>tanto</strong> l’azione di simulazione <strong>quanto quella revocatoria</strong>, quest’ultima <strong>più “<em>garantista</em>”</strong> per il creditore laddove (art.<strong>2901, ultimo comma</strong>, c.c.) lascia <strong>prevalere solo</strong> i <strong>terzi di buona fede acquirenti</strong> a titolo <strong>oneroso</strong>, e <strong>non anche</strong> a titolo <strong>gratuito </strong>(quantunque <strong>in buona fede</strong>), sempre che tali <strong>acquirenti di buona fede a titolo oneroso</strong> abbiano <strong>trascritto</strong> il pertinente <strong>atto di acquisto prima</strong> che il <strong>creditore-attore</strong> abbia <strong>trascritto la domanda di revocatoria</strong>;</li> <li>deve inoltre essere <strong>un atto con effetti attuali</strong>, e come tale <strong>pregiudizievole</strong>, dovendosi dunque assumere <strong>non revocabili</strong> gli <strong>atti <em>mortis causa</em></strong>, i cui effetti sono <strong>posticipati</strong> alla <strong>morte dell’alienante</strong>, ma <strong>solo</strong> gli <strong>atti <em>inter vivos</em></strong>;</li> <li>deve trattarsi di <strong>un atto “<em>di disposizione</em>”</strong>, che dunque il debitore <strong>sceglie di volere</strong>, e che <strong>non è costretto a porre in essere</strong>: per questo motivo <strong>non</strong> sono revocabili gli <strong>atti</strong> che sono <strong>adempimento di un debito scaduto</strong> (con strumenti normali di pagamento), in quanto <strong>privi di carattere dispositivo</strong> proprio in quanto <strong>doverosi</strong>; laddove invece l’obbligazione <strong>non sia ancora scaduta</strong>, il debitore <strong>può rifiutarsi di adempiere prima</strong> della scadenza ai sensi dell’<strong>1185, comma 1</strong>, c.c., onde il relativo atto <strong>è pienamente dispositivo</strong> e, come tale, <strong>revocabile</strong>;</li> <li>per quanto riguarda le <strong>omissioni</strong>, occorre distinguere: l.1) le <strong>pure inerzie</strong>, ovvero <strong>semplici omissioni o inattività</strong>, in relazione alle quali è ammessa la <strong>sola azione surrogatoria</strong>, e <strong>non anche</strong> l’azione revocatoria; l.2) le c.d. <strong><em>omissiones adquirendi</em></strong>, quali <strong>manifestazioni di volontà</strong> che sono <strong>negozi giuridici</strong>, che implicano una <strong>disposizione pregiudizievole</strong> e che sono <strong>come tali revocabili</strong> (in dottrina si fa riferimento alla <strong>donazione modale</strong>, allorché il <strong>beneficiario del <em>modus</em></strong> rifiuti la prestazione dovutagli dal donatario, ed al <strong>contratto a favore di terzo</strong>, laddove il <strong>terzo beneficiario</strong> rifiuti la prestazione a proprio favore);</li> <li>l’<strong>atto di disposizione revocando</strong> deve essere <strong>oggettivamente “<em>pregiudizievole</em>”</strong>, dovendo intercorrere un <strong>nesso di causalità</strong> tra <strong>tale atto</strong> e l’<strong><em>eventus damni</em></strong>, quest’ultimo dovendo atteggiarsi a <strong>conseguenza immediata e diretta</strong> del primo; per <em>eventus damni</em> si intende il <strong>pericolo</strong>, <strong>attuale e concreto</strong>, <strong>determinato</strong> ovvero anche solo <strong>aggravato</strong>, che il patrimonio del debitore disponente <strong>sia insufficiente</strong> a garantire la <strong>soddisfazione dell’interesse</strong> del <strong>creditore “<em>pregiudicato</em>”</strong>;</li> <li>il <strong>pregiudizio</strong> per il creditore deve essere <strong>soggettivamente presente</strong> al debitore in termini di c.d. <strong><em>scientia damni</em></strong> o <strong><em>consilium fraudis</em></strong>, se si tratta di <strong>atto dispositivo a titolo gratuito</strong>; deve essere altresì <strong>soggettivamente presente</strong> anche al <strong>terzo acquirente</strong>, in termini di c.d. <strong><em>partecipatio fraudis</em></strong>, laddove si tratti di <strong>atto dispositivo a titolo oneroso</strong>; in caso di <strong>atto posto in essere anteriormente</strong> al <strong>sorgere del credito</strong>, esso è revocabile se viene <strong>provato l’imprescindibile elemento soggettivo</strong> del c.d. <strong><em>animus nocendi</em></strong>, ovvero della <strong>dolosa preordinazione</strong> dell’atto a <strong>pregiudicare il futuro creditore</strong>, in una con la <strong>consapevolezza di tale dolosa preordinazione</strong> anche in capo al <strong>terzo acquirente</strong> (c.d. <strong><em>partecipatio fraudis</em></strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problemi si pongono in particolare in tema di prescrizione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la prescrizione <strong>è quinquennale</strong>;</li> <li>essa decorre <strong>dalla data in cui l’atto</strong> oggetto di revocatoria <strong>è stato posto in essere</strong>; un <strong>più recente orientamento giurisprudenziale</strong>, maggiormente garantista, tende a far decorrere la prescrizione dal momento in cui <strong>dell’atto pregiudizievole è stata data pubblicità ai terzi</strong>;</li> <li>se tale atto è <strong>successivo alla nascita del credito</strong> da tutelare, <strong><em>nulla quaestio</em></strong>;</li> <li>se invece l’atto pregiudizievole <strong>è anteriore</strong> <strong>alla nascita</strong> <strong>del credito</strong> da tutelare, ed è <strong>preordinato a pregiudicare tale credito</strong> perché compiuto <strong>con c.d. <em>animus nocendi</em></strong> (art.<strong>2901</strong>c.), si configura <strong>una deroga all’art.2935</strong> c.c., la prescrizione <strong>decorrendo non già</strong> da quando il creditore <strong>può far valere il proprio diritto costitutivo</strong> alla revocatoria, quanto piuttosto da <strong>una imprecisata data antecedente</strong>, con conseguente <strong>frazione temporale</strong> di termine prescrizionale <strong>inutilmente decorsa a sfavore del creditore</strong> medesimo;</li> <li>la <em>ratio</em> di tale norma si rinviene generalmente nella <strong>necessità di scongiurare </strong>che gli <strong>atti revocandi</strong> restino “<strong><em>appesi</em></strong>” per un <strong>eccessivo periodo di tempo</strong>, circostanza capace di creare <strong>intralci</strong> al <strong>traffico giuridico</strong> dei beni.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In che modo la vendita con riserva di proprietà intercetta l’azione revocatoria e con quali effetti problematici?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta, ex <strong>1523 c.c.</strong>, di un <strong>contratto istantaneo</strong> ad <strong>effetti reali differiti</strong>;</li> <li>l’acquirente <strong>ottiene subito la cosa in consegna</strong>, la <strong>usa</strong> nel proprio interesse e la <strong>paga</strong> a <strong>scadenze successive</strong>, con un particolare regime dei <strong>frutti</strong>;</li> <li>tutti i <strong>rischi</strong> e gli <strong>oneri</strong> connessi alla proprietà sono <strong>eccezionalmente a carico dell’acquirente</strong>, pur <strong>non essendone egli</strong> ancora <strong>proprietario</strong>;</li> <li>la proprietà della cosa <strong>resta infatti in capo all’alienante</strong>, fino a <strong>completo pagamento del prezzo</strong>;</li> <li>se ne discute la <strong>natura giuridica</strong>, con diverse possibili opzioni ermeneutiche: e.1) è contratto soggetto a <strong>condizione sospensiva</strong>; e.2) è <strong>vendita obbligatoria</strong>; e.3) è un contratto che ha come <strong>contenuto tipico</strong> la <strong>garanzia del venditore</strong> con <strong>finalità recuperatoria</strong> del bene alienato in caso di <strong>risoluzione del contratto</strong> per <strong>mancato pagamento del prezzo integrale</strong> da parte del compratore; e.4) è <strong>vendita peculiare</strong> che garantisce al venditore un <strong>diritto di proprietà limitato</strong> dal <strong>concorrente diritto del compratore</strong>, fino ad integrale pagamento del prezzo;</li> <li>dal punto di vista specifico dell’<strong>azione revocatoria</strong>, e con riguardo al periodo in cui <strong>il bene è ancora del venditore</strong> ma <strong>ne usa il compratore</strong>, si contrappongono sul crinale strettamente <strong>giuridico</strong> due tesi: f.1) i creditori <strong>non possono agire esecutivamente</strong> presso il <strong>terzo acquirente</strong> con patto di riservato dominio sul bene dell’alienante; f.2) <strong>non esiste deroga specifica</strong> agli articoli <strong>2740 c.c.</strong> e <strong>543 c.p.c.</strong>, onde il creditore dell’alienante con patto di riservato dominio <strong>può agire esecutivamente</strong> presso il <strong>terzo</strong> su beni che, per l’appunto, sono ancora dell’alienante;</li> <li>la giurisprudenza tende tuttavia ad <strong>ammettere in ogni caso l’azione revocatoria</strong> muovendo dal <strong>presupposto schiettamente economico</strong> onde, <strong>in ogni caso</strong>, il patrimonio del venditore con patto di riservato dominio risulta <strong>sempre depauperato</strong>, sia nel caso in cui il compratore <strong>paghi l’intero prezzo</strong> (con <strong>definitiva fuoriuscita del bene</strong> dal patrimonio del venditore), sia nel caso in cui egli sia <strong>tenuto a restituirlo</strong> a seguito di <strong>risoluzione per inadempimento</strong> (mancato pagamento delle rate), con <strong>debito di equo compenso</strong>, ma con (normalmente) <strong>maggior credito</strong> alla <strong>restituzione di tutte le rate pagate</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problemi pongono in particolare le c.d. prestazioni di garanzia?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la questione fondamentale riguarda capire se le <strong>prestazioni di garanzia</strong> sono <strong>a titolo gratuito</strong>, ovvero <strong>a titolo oneroso</strong>, specie quando riguardano <strong>debiti altrui</strong> e, dunque, <strong>debiti di un terzo</strong> rispetto al <strong>debitore che presta la garanzia</strong>, e del cui atto (prestazione di garanzia appunto) si discute <strong>l’eventuale revocatoria</strong>;</li> <li>per l’art.2901, quando la <strong>prestazione di garanzia</strong> è “<strong><em>contestuale</em></strong>” al <strong>credito garantito</strong>, essa <strong>va considerata a titolo oneroso</strong>, anche quando <strong>prestata</strong> per un <strong>debito altrui</strong>;</li> <li>si tratta di una <strong>contestualità</strong> che <strong>fa presumere</strong> l’<strong>onerosità</strong> della prestazione di garanzia;</li> <li>si tratta di una <strong>contestualità</strong> che, secondo la <strong>più accreditata giurisprudenza</strong>, è <strong>logica</strong> e <strong>non cronologica</strong>; è prestazione di garanzia che <strong>si considera a titolo oneroso</strong> quella che – anche se <strong>non cronologicamente contestuale</strong> alla <strong>nascita del credito garantito</strong> e anche se <strong>non prevista</strong> nel <strong>medesimo documento</strong> – è comunque <strong>legata da un nesso causale</strong> alla <strong>nascita</strong> del ridetto <strong>credito garantito</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>