Cassazione penale, Sez. II, sentenza 19 febbraio 2025, n. 6771
PRINCIPIO DI DIRITTO
Integra il reato di estorsione consumata – e non meramente tentata – la condotta di colui che, mediante minaccia o coazione, ottiene dalla vittima la sottoscrizione di una scrittura privata che formalizza un debito in realtà inesistente, in quanto l’atto così formato assume immediata valenza giuridica autonoma e vincolante, con conseguente realizzazione dell’evento tipico del reato nel momento stesso della sottoscrizione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi generici, non consentiti, oltre che manifestamente infondati.
1.1 I ricorsi, proposti con tre comuni motivi, con i quali è stata congiuntamente dedotta violazione di legge e vizio della motivazione in ogni sua forma in relazione alle condotte imputate, possono essere trattati congiuntamente, afferendo le doglianze alla medesima questione, affrontata secondo diverse allegazioni, relativa alla corretta qualificazione giuridica della condotta contestata ai ricorrenti e al conseguente vizio di motivazione, evocato in forma alternativa in modo generico ed aspecifico e, come tale, non consentito.
In tal senso, si deve evidenziare come la Corte di appello, con motivazione logica e persuasiva, che non si presta ad alcuna censura in questa sede, nel considerare la portata delle condotte contestate, ha correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale nell’ipotesi di rilascio sotto minaccia di una scrittura privata, nella quale la persona offesa dichiara di essere debitrice di una determinata somma, in realtà non dovuta, e si impegna a restituirla alle scadenze indicate, è configurabile il delitto di estorsione consumata – e non tentata – in quanto il conseguimento di un atto autonomamente produttivo di effetti giuridici costituisce esso stesso l’evento del reato (Sez. 2, n. 9756 del 18/11/2014, dep. 2015, M., Rv. 262565-01; Sez. 1, n. 44853 del 17/05/2017, Mundo, Rv. 271447-01, con riferimento al rilascio di assegno privo di provvista o relativo a conto corrente estinto).
Le argomentazioni proposte dalla difesa, tra l’altro del tutto reiterative dei motivi di appello e già per ciò solo inammissibili (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062-01, in motivazione; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869-01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316-01; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745-01; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368-01; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632-01) si caratterizzano, dunque, come una rilettura del merito non consentita in questa sede (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965-01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv.262575-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, Fasciani, Rv. 278745-01) a fronte di una motivazione della Corte di appello, ampia ed argomentata, con la quale i ricorrenti omettono sostanzialmente di confrontarsi.
1.2 I motivi si caratterizzano, dunque, per una evidente aspecificità.
Si deve a tal fine ricordare che la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutatour, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945-01).
Nel riproporre pedissequamente i motivi di appello, come emerge dall’articolazione di una serie di considerazioni in tutto corrispondenti ai motivi di appello, al fine di introdurre un’evidente lettura alternativa del merito, non ammissibile in questa sede, i ricorrenti non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza del giudice di secondo grado.
Deve essere, quindi, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01).
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’appello, e motivatamente respinti in secondo grado, non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01).
1.3 Inoltre, nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto la responsabilità dei ricorrenti con motivazione del tutto conforme e piena condivisione delle argomentazioni spese dal giudice di primo grado, giungendo alla riqualificazione della estorsione come consumata, piuttosto che tentata, sulla base della coerente e corrispondente valutazione degli elementi di prova acquisiti. Vi è stata, dunque, una concordanza nell’analisi e nella valutazione dei risultati probatori posti a fondamento della stessa, ad esito della quale, in applicazione del principio di diritto sopra richiamato, il fatto è stato riqualificato come estorsione consumata piuttosto che tentata.
Ciò posto, è opportuno ricordare che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229-01).
Invero, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841-01).
Fermo quanto precede, neanche la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa comunque essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01): ciò è all’evidenza riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali sollevati con motivazione congrua, articolata logicamente e priva di aporie (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643-01; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, dep. 2014, Maravalli, Rv. 256879-01).
I motivi di ricorso hanno inoltre, come già detto, denunciato la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con una generica deduzione, contrastante con il principio secondo il quale i vizi della motivazione si pongono «in rapporto di alternatività, ovvero di reciproca esclusione, posto che – all’evidenza – la motivazione, se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non è motivazione mancante» (così, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-01; v. anche, Sez. 1, n. 39122 del22/09/2015, Rugiano, Rv. 264535-01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263541-01; Sez. 2, n. 31811 del08/05/2012, Sardo, Rv. 254329-01; Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, in motivazione).
In altri termini, occorre considerare che i motivi di ricorso, pur essendosi formalmente espressi richiamando censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ed anche al travisamento della prova, non hanno, effettivamente, denunciato una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, bensì una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente errata del materiale probatorio. Con numerose argomentazioni sono state, quindi, proposte doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio in un senso considerato più plausibile; tuttavia, la valutazione dei dati processuali e la scelta, tra i vari risultati di prova, di quelli ritenuti più idonei a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965-01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv.262575-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, Fasciani, Rv. 278745-01).
Deve, dunque, essere ribadito il principio secondo il quale è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n.18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099-01).
1.4 La Corte di appello ha ampiamente ricostruito gli elementi a supporto della affermazione di responsabilità dei ricorrenti, con motivazione logica e persuasiva, richiamando analiticamente i rapporti tra gli stessi e le persone offese, le gravi pressioni e intimidazioni esercitate senza alcun titolo nei confronti delle stesse, la costrizione esercitata, che portava alla ricognizione di un debito inesistente ed alla rinuncia del diritto a trattenere la caparra versata per una compravendita non conclusa, riscontrando tali elementi sulla base di una approfondita considerazione delle diverse fonti di prova e dall’esame della documentazione acquisita, con puntuale e specifica valutazione dell’insieme delle condotte poste in essere in un complessivo regime di sopraffazione e violenza per il raggiungimento di un ingiusto profitto con altrui danno.
In tal senso, la Corte di appello ha evidenziato che: – la difesa non aveva effettivamente allegato elementi dai quali desumere l’inattendibilità delle persone offese, semplicemente sostenendo la attendibilità delle dichiarazioni rese da B.D., nonostante l’evidente diversa portata probatoria delle stesse (pag. 7 e seg.); – le persone offese – e, in particolar modo, la G.C. – avevano reso dichiarazioni attendibili e pienamente riscontrate dalle dichiarazioni del L. (pag. 8 e seg.); – il ruolo del S. non poteva assolutamente essere inteso nel senso riportato dalla difesa e le dichiarazioni rese dallo stesso manifestavano al contrario l’evidente timore provato dallo stesso (pag. 9 e seg.); – la pretesa avanzata dai ricorrenti con un’azione coordinata e concordata, posta in essere mediante più momenti di pressione violenta ed intimidatoria indirizzata verso la G.C. e il S., era del tutto priva di qualsiasi base normativa e giustificazione in diritto, atteso che la G.C. aveva tutto il diritto di trattenere la caparra confirmatoria; – la asserita mediazione non era stata in alcun modo richiesta dalla G.C. o dal S., ma imposta a danno della persona offesa con modi violenti per questioni relative a rapporti di insofferenza etnica tra i gruppi di etnia rom e sinti che erano stati coinvolti nella vendita o si mostravano interessati alla stessa; – tale circostanza non poteva essere nota, né era stata in alcun modo ritenuta un fatto di interesse della G.C. e del S., ponendosi in un contesto di relazioni complesse tra soggetti del tutto ignoti agli stessi, che li contattavano solo in seguito a rapporti intercorsi tra i L. e B. nell’interesse dell’L.H.; – conseguentemente, la ricognizione di debito e le condotte complessivamente poste in essere dai ricorrenti si dovevano ritenere del tutto corrispondenti alle imputazioni elevate in assenza di qualsiasi diritto legittimamente azionabile, essendosi all’evidenza la G.C. riconosciuta debitrice senza alcuna causa di una somma che avrebbe avuto il diritto di trattenere quale caparra confirmatoria; – le condotte avevano tutte manifestato una chiara e consapevole efficacia causale a tal fine, caratterizzandosi tra l’altro per pervicacia e particolare violenza (pag. 13 e seg. anche quanto alla caratterizzazione nel senso di una piena ingiustizia del profitto).
La Corte di appello ha in conclusione adeguatamente vagliato le istanze della difesa, ricostruendo in modo analitico gli elementi di prova a carico dei ricorrenti, i ruoli dagli stessi svolti, nell’ambito di tale coordinata e complessa azione, disattendendo in modo argomentato anche tutte le richieste volte a riqualificare in modo diverso le condotte ascritte. Con tale ampia motivazione, del tutto priva di aporie, i ricorrenti non si confrontano effettivamente.
- I ricorsi devono in conclusione essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen.