<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il passaggio di un bene, ed in particolare di un bene immobile, dalla mano privata alla mano pubblica – normalmente al fine di vedervi realizzata sulla pertinente area di sedime un’opera, del pari, pubblica – può avvenire attraverso strumenti leciti o legittimi messi a disposizione dal diritto privato (ad esempio, un contratto) o pubblico (ad esempio, rituale procedimento espropriativo); laddove ciò non accada, e dunque l’azione pubblica si riveli fuori asse rispetto al sistema interno e convenzionale (CEDU), eccezionali ragioni di necessario perseguimento dell’interesse pubblico consentono, entro rigorosi limiti, una “</em>acquisizione sanante<em>” alla PA ovvero, entro confini vieppiù angusti, l’acquisto della proprietà del bene divisato attraverso lo strumento civilistico dell’usucapione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile vede la luce il codice civile liberale (Codacci-Pisanelli) che è tutto incentrato sulla proprietà, quale diritto che assume connotati “<em>sacrali</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varata la legge n.2359 che disciplina la possibilità per lo Stato di procedere all’espropriazione di beni privati per interesse pubblico. Importanti le fattispecie di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità (dell’opera divisata), individuate dall’art. 13, comma 3, nel caso di inutile decorso dei termini finali in essa fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori, senza che sia intervenuto il decreto ablativo.</p> <p style="text-align: justify;">Interessante anche l’art.54 della legge che, per l'ipotesi di mancato accordo degli interessati sul riparto dell’indennità di espropriazione dovuta, prevede l'opposizione al pagamento della ridetta stima da parte del terzo che vanti “<em>diritti</em>” su essa, norma che fonderà la successiva giurisdizione del GO con riguardo ai processi, per l’appunto, di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile si incentra ormai sull’impresa e non sulla proprietà, come invece accadeva nel codice liberale del 1865: la proprietà viene prevista tra l’altro, all’art.832, come generatrice di obblighi per il proprietario, e può essere perduta per espropriazione in forza della legge 2359 del 1865. I modi di acquisto della proprietà costituiscono un numero chiuso e sono previsti: all’art.922 del codice, secondo il quale la proprietà si acquista per occupazione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-i/art923.html">923</a>), per invenzione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-i/art927.html">927</a>), per accessione (articoli <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-ii/art934.html">934</a> e ss.: degno di nota in particolare l’art.938, che prevede un caso di accessione invertita in cui è la proprietà di ciò che insiste sul suolo a determinare la proprietà del suolo, e non viceversa, come normalmente accade secondo il noto principio romanistico “<em>superficies solo cedit</em>”), per specificazione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-ii/art940.html">940</a>), per unione o commistione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-ii/art939.html">939</a>), per usucapione (articoli <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-viii/capo-ii/sezione-iii/art1158.html">1158</a> ss.), per effetto di contratti (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-ii/capo-v/sezione-i/art1376.html">1376</a>), per successione a causa di morte (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-i/capo-i/art456.html">456</a>) e negli altri modi stabiliti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso codice prevede, all’art.2058 e per i casi di illecito, il risarcimento del danno in forma specifica qualora esso sia in cotal guisa (in tutto o in parte) possibile e non eccessivamente oneroso per il debitore, nonché all’art.2933 l’esecuzione specifica degli obblighi di non fare, onde, se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo, chiarendosi però (comma 2) che non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può conseguire solo il <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/3912.html">risarcimento dei danni</a>, se la distruzione della cosa stessa è di pregiudizio all'economia nazionale.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, sono importanti le disposizioni del codice civile che prevedono l’abbandono liberatorio della proprietà privata, ed in particolare l’art.550 (abbandono della nuda proprietà della porzione disponibile da parte dei legittimari: c.d. cautela sociniana), l’art.1070 (abbandono del fondo servente), l’art.1104 (rinunzia della quota di comproprietà). Interessante anche l’art.827 c.c. che, nel disciplinare i beni immobili c.d. “<em>vacanti</em>”, afferma che i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che all’art.42, nell’accostare alla proprietà privata quella pubblica, prevede la possibilità di esproprio della proprietà privata per motivi di interesse generale e salvo indennizzo, in via generale, appunto all’art.42, e per particolari categorie di beni, all’art.43.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1950 </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre viene firmata a Roma la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1952</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo viene firmato il primo Protocollo addizionale alla CEDU, secondo il cui articolo 1 ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei propri beni. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1955</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto viene varata la legge n.848, con la quale l’Italia ratifica la CEDU e con essa il primo Protocollo addizionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 gennaio viene varata la legge n.1, recante accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali, il cui articolo 1, comma 3, afferma che gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità cessano (sopravvenuta inefficacia) se le opere non hanno avuto inizio nel triennio successivo all'approvazione del progetto che compendia la ridetta dichiarazione di pubblica utilità “<em>implicita</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Ai sensi del comma 1 di tale articolo 1, infatti, l'approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse. Per quanto concerne la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, le fattispecie sono ora individuate: a) dall’art. 13, comma 3, legge 2359/1865 per la dichiarazione di pubblica utilità esplicita (nel caso di inutile decorso dei termini finali in esso fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori senza che sia intervenuto il decreto ablativo); b) dall’art. 1, comma 3, legge 1/1978 per la dichiarazione di pubblica utilità implicita (in caso di mancato inizio delle opere nel triennio successivo all'approvazione del pertinente progetto).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 febbraio esce la sentenza delle SSUU n.1464 che conia la figura della c.d. acquisizione appropriativa (o acquisitiva), quale modo di acquisto delle proprietà a titolo originario, in capo alla PA, di un’opera pubblica come precipitato di una occupazione già illegittima <em>ab origine</em>, o comunque divenuta illegittima. Le SSUU, sconfessando la precedente giurisprudenza, assumono inammissibile la coesistenza di proprietà separate nella colonna verticale, onde il proprietario del fondo resterebbe tale anche se l’opera pubblica che vi viene realizzata illegittimamente (e che vi insiste) appartiene invece alla PA; laddove manchi <em>ab ovo</em> un titolo legittimante l’occupazione, ovvero laddove tale titolo abbia perso efficacia, in difetto dell’adozione di un valido decreto di esproprio, è la radicale trasformazione del fondo privato occupato che fa sì che la proprietà (pubblica) dell’opera (pubblica) attragga quella privata: in sostanza, il fondo originariamente di proprietà privata, venendo irreversibilmente funzionalizzato alla realizzazione di un’opera pubblica giusta concreta realizzazione della medesima, implica che si estingue la proprietà privata e coevamente sorge quella pubblica, acquisendo la PA agente (anche) la proprietà del fondo (oltre ovviamente a quella dell’opera pubblica) a titolo originario, nel proprio patrimonio indisponibile.</p> <p style="text-align: justify;">Nel momento della irreversibile trasformazione del fondo – che è quello che consente l’acquisizione del fondo medesimo alla mano pubblica a titolo originario – si consuma tuttavia un illecito che impone alla PA di risarcire il danno al privato il cui fondo sia stato illegittimamente occupato, con decorrenza di un termine di prescrizione quinquennale, trattandosi di illecito aquiliano.</p> <p style="text-align: justify;">Nasce così, per via pretoria, un nuovo modo “<em>atipico</em>” di acquisto della proprietà (a titolo originario): un medesimo fatto – la irreversibile trasformazione del fondo privato, tale da far luogo, attraverso la inscindibile incorporazione nel suolo dell’opera pubblica (seppure ancora non ultimata, ma in ogni caso ormai riconoscibile come tale) ad un bene nuovo e diverso, funge ad un tempo da modo di acquisto atipico della proprietà a titolo originario e da fatto illecito generatore di danno risarcibile.</p> <p style="text-align: justify;">Il meccanismo è in qualche modo analogo a quello previsto dall’art.938 c.c., secondo il quale se nella costruzione di un edificio si occupa in <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1488.html">buona fede</a> una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro 3 mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/996.html">autorità giudiziaria</a>, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell'edificio e del suolo occupato ma il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1167.html">risarcimento dei danni</a>.</p> <p style="text-align: justify;">Una disposizione che tuttavia – come fa rilevare da subito la dottrina più avvertita - presuppone la buona fede del costruttore, e che appare difficilmente predicabile nel caso della PA che sia occupante illegittima, <em>ab origine</em> o per inefficacia sopravvenuta, del fondo privato sul quale essa realizza l’opera pubblica; inoltre, sempre la dottrina, critica verso le SSUU, rappresenta che: a) nella fattispecie di cui all’art.938 c.c. il costruttore che occupa in buona fede parte del fondo senza l’opposizione nei 3 mesi del proprietario del fondo medesimo, deve corrispondergli il doppio del valore venale della porzione di fondo acquisita in proprietà, secondo uno schema di tipo risarcitorio-sanzionatorio, mentre nel caso dell’accessione invertita pubblica la PA è tenuta a risarcire i danni nei limiti del valore venale della porzione di fondo occupata, salvi gli ulteriori danni se provati; b) nella fattispecie di cui all’art.938 c.c. il provvedimento del giudice ha natura costitutiva: la proprietà si trasferisce <em>ope iudicis</em> sulla base di una ponderazione tra l’interesse del proprietario del fondo occupato e l’interesse del costruttore occupante in buona fede, mentre nell’occupazione acquisitiva pubblica è il fatto in sé della irreversibile trasformazione del fondo giusta realizzazione dell’opera pubblica a far acquisire alla PA la proprietà della corrispondente porzione di fondo illegittimamente occupato, l’eventuale provvedimento giurisdizionale assumendo mera natura dichiarativa di accertamento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo esce la legge n.50, recante delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare - stando al relativo art.7, comma 2 - al riordino delle norme interessate (tra le quali quelle in materia espropriativa) si procede entro il 31 dicembre 2001 mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari. Fino alla data di entrata in vigore di una legge generale sull'attivita' normativa, nella redazione dei testi unici, emanati ai sensi del comma 4, il Governo deve attenersi a taluni criteri e principi direttivi tra i quali, in particolare, quello previsto dalla lettera d) e recante “<em>coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 maggio esce la sentenza della Corte EDU sul caso soc. Belvedere Alberghiera / Italia, che muove dal presupposto onde non occorre, in astratto, verificare se nell’ordinamento italiano un istituto di pura creazione giurisprudenziale, come appunto l’occupazione appropriativa, assuma una configurazione assimilabile a quella di una disposizione di legge, per acclararne il conflitto con la CEDU, essendo sufficiente in proposito prendere atto di come la giurisprudenza sviluppatasi in materia abbia condotto ad applicazioni contraddittorie, ventilando per ciò solo – in concreto – risultati arbitrari ed imprevedibili, tali da privare gli interessati (ablati) di una tutela efficace dei relativi diritti e da porsi per tale via in frizione con il principio di legalità, convenzionalmente inteso, fissato all’art.1, Protocollo 1, alla CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, soggiunge la Corte, attraverso l’occupazione appropriativa la PA si avvantaggia di una situazione illegittima, e - specie laddove esclude la restituzione del bene al privato ablato nonostante l’annullamento in sede giurisdizionale degli atti dell’espropriazione illegittima - si pone ancora una volta in contrasto con il principio di legalità siccome tracciato dalla Convenzione e dal relativo I Protocollo addizionale. Infine, la Corte afferma che l’occupazione appropriativa corrisponde ad uno spossessamento del privato proprietario senza titolo, e non già ad una espropriazione cui difetti soltanto il pagamento di un’equa indennità per poterla considerare legittima: da ciò discende per la Corte che – in applicazione dell’art.41 della CEDU – la migliore forma di riparazione per il privato ablato è costituita dalla restituzione del bene da parte della PA, oltre al risarcimento dei danni (assumendo l’equa indennità mero valore recessivo).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una pronuncia della Corte che investe, più che un caso di occupazione appropriativa, una ipotesi di c.d. occupazione usurpativa, a cagione dell’annullamento del progetto di opera pubblica in sede giurisdizionale e di conseguente venir meno (col progetto medesimo) della dichiarazione di pubblica utilità fondante la procedura espropriativa: laddove tuttavia la Corte stigmatizza il contegno dello Stato italiano che ha denegato al privato la restituzione del bene ablato, la dottrina più avvertita vede - già con riguardo a questa sentenza - l’affermazione da parte della Corte EDU di principi applicabili all’ipotesi (meno grave) dell’occupazione appropriativa pura.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">In quel medesimo 30 maggio esce la coeva ed omologa sentenza della Corte EDU sul caso Carbonara e Ventura / Italia, che dichiara ancora una volta l’occupazione appropriativa o espropriazione indiretta in frizione con il primo Protocollo Addizionale alla CEDU in tema di tutela della proprietà privata, con le medesime argomentazioni di cui al caso Belvedere Alberghiera. Si muove dal difetto di precise disposizioni normative a disciplinare l’occupazione appropriativa, e da un diritto vivente della Cassazione italiana incompatibile con il principio di legalità di cui alla CEDU, per avere esso dato luogo ad applicazioni contraddittorie e tali da non rispettare quella esigenza di principi accessibili, precisi e prevedibili che soli possono dirsi idonei a garantire ai privati proprietari interessati una efficace tutela dei relativi diritti, con l’aggravante onde la PA si avvantaggia di una situazione di sostanziale illegalità per acquisire la proprietà del bene.</p> <p style="text-align: justify;">La sentenza si occupa anche della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione per chiedere il risarcimento del danno in caso di occupazione appropriativa: il momento in cui avviene la irreversibile trasformazione del fondo appare non individuabile con sufficienti margini di esattezza, finendo col rendere incerto lo stesso <em>dies</em> dal quale decorre appunto il termine prescrizionale, e da questo punto di vista la Corte EDU si pone in contrasto con le acquisizioni della Corte costituzionale di cui alla sentenza 188.95, che aveva invece assunto costituzionalmente legittima la configurazione del <em>dies a quo</em> per il decorso del termine prescrizionale, affidata alla ragionevole discrezionalità del legislatore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno vede la luce il d.p.r. n.327, testo unico in materia di espropri. Importante in particolare l’art.13 che, per quanto riguarda la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, non prevede più l’obbligatoria fissazione di un termine per le espropriazioni e per i lavori (inizio ed ultimazione), come invece prevedeva la disciplina previgente: il decreto di esproprio deve in ogni caso intervenire non oltre i 5 anni successivi. Ne consegue che da questo momento in poi la dichiarazione di pubblica utilità non può configurarsi illegittima né radicalmente nulla laddove non preveda i ridetti termini, che sono ormai facoltativi.</p> <p style="text-align: justify;">Di rilievo massime, <em>ratione materiae</em>, l’art.43, che prevede una particolare forma di acquisto provvedimentale <em>ex post</em> della proprietà privata in caso di occupazioni illegittime, definito “<em>acquisizione sanante</em>”. Altra norma importante è l’art.53 che afferma appartenere alla giurisdizione esclusiva del GA tutte le controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti, accordi e comportamenti delle PPAA e di soggetti ad esse equiparati, conseguenti all’applicazione del Testo Unico sugli espropri (comma 1), mentre resta ferma la giurisdizione del GO per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">Più in particolare, stando al ridetto art.43 – rubricato “<em>utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico</em>” - valutati gli interessi in conflitto, la PA che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al relativo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni (comma 1).</p> <p style="text-align: justify;">Si configura dunque un provvedimento di acquisizione <em>ex lege</em> che, ai sensi del comma 2: a) può essere adottato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio; b) deve far constare delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si e' verificata; c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di 30 giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già proposta; d) e' notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili; e) comporta il passaggio del diritto di proprietà dal privato alla PA; f) e' trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari; g) e' trasmesso all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2 (al fine dell’aggiornamento di elenchi legati al procedimento espropriativo).</p> <p style="text-align: justify;">Stando poi al successivo comma 3, nel diverso caso in cui sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei primi due comma (afferenti al procedimento espropriativo), ovvero sia spiccata da parte del privato un’azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, la PA che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il GA, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.</p> <p style="text-align: justify;">Qualora poi il GA abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l'autorità amministrativa che ha disposto l'occupazione dell'area adotta – ai sensi del comma 5 - l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno ed il decreto viene trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità.</p> <p style="text-align: justify;">Ai sensi del comma 6, le disposizioni di cui ai precedenti comma si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, ai sensi del comma 6, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti comma il risarcimento del danno e' determinato: a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7; b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre viene pubblicata la legge costituzionale n.3 che, tra le altre cose, modifica il testo dell’art.117 della Costituzione: la potestà legislativa deve essere esercitata: - nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario: il che fa dire a parte della dottrina che la frizione di una norma interna con una norma comunitaria comporta (nuovamente) non già la relativa disapplicabilità “<em>diffusa</em>”, quanto piuttosto un vizio di costituzionalità con competenza “<em>centralizzata</em>” alla relativa declaratoria riconoscibile solo alla Corte costituzionale (previa remissione della relativa questione di legittimità); - nel rispetto dei vincoli derivanti dai Trattati internazionali, e dunque anche dalla CEDU.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre viene varato il decreto legislativo n.302, recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, il cui art.1 introduce nell’art.43 del testo unico ridetto un nuovo comma 6 bis, onde - ai sensi dell'articolo 3 della legge 1 agosto 2002, n. 166 – la PA espropriante può procedere ai sensi dei comma precedenti (e dunque giusta “<em>acquisizione sanante</em>”) disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della Corte EDU resa ancora una volta sul caso Belvedere Alberghiera / Italia, che fa applicazione questa volta dell’art.41 della CEDU, onde “<em>se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa</em>”. Nel caso di specie, in difetto di intervenuta restituzione dell’immobile al legittimo proprietario privato, la Corte EDU quantifica l’equa soddisfazione dovuta al medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">La società Belvedere Alberghiera aveva infatti insistito nella richiesta della <em>restitutio in integrum</em>, ma la Corte, stante la evidente impossibilità sul piano pratico di provvedervi direttamente essa stessa - e muovendo dall’assunto onde se il diritto italiano non permette o non permette perfettamente di eliminare le conseguenze della violazione, l’art. 41 abilita la Corte medesima ad accordare alla parte lesa, se del caso, la soddisfazione che le sembri più appropriata - opta per il risarcimento del danno in assenza di restituzione del bene; peraltro, l’illegalità dello spossessamento del privato ablato induce la Corte a quantificare tale indennizzo in misura corrispondente al valore del bene non già alla data della relativa occupazione illegittima, ma al pertinente valore attuale (evidentemente molto più elevato perché ormai incorporante l’opera pubblica realizzatavi), valore cui vanno aggiunte ulteriori somme a titolo di mancato godimento del terreno a decorrere dallo spossessamento, di deprezzamento dell’immobile e di mancato guadagno nell’attività dell’albergatore dal 1987 al 2032 (con una proiezione futura del mancato guadagno di 45 anni rispetto alla data dell’occupazione).</p> <p style="text-align: justify;">Sempre la Corte EDU condanna nel caso di specie lo Stato italiano al risarcimento del danno morale (richiesto nel caso di specie dalla società ricorrente in 30 mila euro in caso di <em>restitutio in integrum</em>, e in 100 mila euro in caso di mancata <em>restitutio in integrum,</em> e concretamente riconosciuto dalla Corte secondo equità in 25 mila euro) motivando in ordine al riconoscimento del danno morale con un richiamo al caso Comingersoll c. Portogallo, n. 35382/97, a giustificazione dell’estensibilità alle persone giuridiche della riparazione pecuniaria del pregiudizio morale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 dicembre esce la sentenza della Corte EDU resa ancora una volta sul caso Carbonara e Ventura / Italia, che anche qui fa (ormai) applicazione dell’art.41 della CEDU nel pertinente caso di occupazione appropriativa (accessione invertita o espropriazione indiretta) e di connessa violazione dell'articolo 1 del Protocollo addizionale n. 1 sul diritto di proprietà: stante la mancata restituzione dell’area acquisita illegalmente dall’Amministrazione, e proprio a motivo dell’illiceità di tale acquisizione, l'indennizzo a carico dello Stato italiano deve necessariamente riflettere il valore pieno ed integrale del bene.</p> <p style="text-align: justify;">Più in specie, la Corte afferma che la liquidazione del danno materiale arrecato al privato a seguito di un’illegittimità nella procedura espropriativa non deve limitarsi al valore che la proprietà ablata aveva alla data (remota) della relativa occupazione, dovendosi rapportare il detto valore del bene allo stato attuale in cui si trova (valore, evidentemente molto più elevato laddove ormai incorporante l’opera pubblica realizzatavi), tenendo conto anche delle eventuali potenzialità di sviluppo urbanistico del suolo di che trattasi, e dunque dei relativi, attuali valori di mercato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 aprile esce l’importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.2, alla cui stregua l’acquisizione sanante di cui all’art.43 del TU 327.01 deve assumersi pienamente conforme ai principi di cui alla Corte EDU ed ai canoni costituzionali.</p> <p style="text-align: justify;">Innanzi tutto, il bene viene acquistato dalla PA sulla base di un provvedimento che è previsto dalla legge, con efficacia <em>ex nunc</em> ed effetto sanante delle pregresse illegittimità siccome perpetrate <em>ex parte publica</em>, dovendo dunque assumersi rispettate le esigenze di preminenza del diritto e di chiarezza del sistema ordinamentale vigente <em>ratione materiae</em>. Peraltro, il pertinente provvedimento – l’acquisizione sanante appunto – è sindacabile in sede giurisdizionale ed è adottato a valle di una spendita di potere discrezionale che viene assistita da peculiari cautele.</p> <p style="text-align: justify;">Più in specie, la motivazione dell’atto di acquisizione sanante deve atteggiarsi a particolarmente esaustiva in ordine alla valutazione di tutti gli interessi in conflitto, e conseguentemente più stringente deve atteggiarsi il pertinente sindacato giurisdizionale. Gli stessi requisiti per l'ammissibilità del provvedimento di acquisizione devono essere valutati in modo rigoroso, dovendosi escludere, per esempio, che il provvedimento possa far leva sulla semplice utilizzabilità dell'immobile ovvero sulla relativa, astratta idoneità ad essere utilizzato per il soddisfacimento di un interesse generale, facendo per contro riferimento la norma all’utilizzazione in atto per un interesse pubblico specifico e concreto.</p> <p style="text-align: justify;">Sul crinale del soggetto privato è poi comunque garantita la tutela risarcitoria, senza contare che – laddove difetti il provvedimento di acquisizione sanante – la restituzione dell’area non può essere impedita al privato medesimo se non nel caso in cui sia quest’ultimo a scegliere autonomamente di rinunciare alla restituzione.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, il diritto alla restituzione del bene spetta difatti comunque al danneggiato anche laddove sia subentrata la realizzazione dell'opera in caso di assenza del provvedimento di acquisizione da parte della PA, onde, in caso di illegittimità della procedura espropriativa e di realizzazione dell'opera pubblica, l’unico rimedio riconosciuto dall'ordinamento per scongiurare la restituzione dell’area è proprio l'adozione di un legittimo provvedimento di acquisizione ax art. 43, in difetto del quale la PA non può addurre semplicemente l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e, quindi, quale impedimento alla restituzione del bene; la realizzazione dell’opera pubblica per l’Adunanza è un fatto, e tale resta, onde la perdita della proprietà da parte del privato e l'acquisto in capo all’Amministrazione possono conseguire unicamente all’adozione di un provvedimento formale, nel rispetto del principio di legalità e di preminenza del diritto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 maggio esca la sentenza della Corte EDU, <em>Acciardi e Campagna</em>, che ribadisce – in tema di espropriazioni illecite – come vada scongiurato il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per i privati interessati.</p> <p style="text-align: justify;">Nella categoria suddetta la Corte inserisce non soltanto l'ipotesi corrispondente alla c.d. occupazione espropriativa, ma tutte indistintamente le fattispecie di "<em>perdita di ogni disponibilità dell'immobile combinata con l'impossibilita' di porvi rimedio, e con conseguenze assai gravi per il proprietario che subisce una espropriazione di fatto incompatibile con il suo diritto al rispetto dei propri beni</em>": ritenendo ininfluente "<em>che una tale vicenda sia giustificata soltanto dalla giurisprudenza, ovvero sia consentita mediante disposizioni legislative, come e' avvenuto con l'art. 3 della legge 458 del 1988, ovvero da ultimo con l'art.43 del T.U., in quanto il principio di legalità non significa affatto esistenza di una norma di legge che consenta l'espropriazione indiretta, bensì esistenza di norme giuridiche interne sufficientemente accessibili, precise e prevedibili</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Con la conseguenza onde il supporto di "<em>una base legale non e' sufficiente a soddisfare al principio di legalità</em>" e che "<em>e' utile porre particolare attenzione</em> ("<em>se pencher</em>") <em>sulla questione della qualità della legge</em>" (§ 75). Al nuovo istituto del T.U. i giudici di Strasburgo muovono l'ulteriore addebito di non aver neppure escluso, come aveva fatto la giurisprudenza ordinaria, che l'espropriazione indiretta potesse applicarsi quando la dichiarazione di p.u. sia stata annullata, avendo previsto «<em>che anche in assenza della dichiarazione di p.u. qualsiasi terreno possa essere acquisito al patrimonio pubblico, se il giudice decide di non ordinare la restituzione del terreno occupato e trasformato dall'amministrazione</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte la “<em>legalizzazione dell'illegale</em>" non e' conclusivamente consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tampoco ad un provvedimento amministrativo che di essa sia attuativo, quale e' quello che eventualmente disponga l'”<em>acquisizione sanante</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 ottobre 2005 esce la sentenza della Corte EDU, <em>Scordino</em>, che ribadisce – in tema di espropriazioni illecite – come vada scongiurato il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per i privati interessati.</p> <p style="text-align: justify;">Nella categoria suddetta la Corte inserisce non soltanto l'ipotesi corrispondente alla c.d. occupazione espropriativa, ma tutte indistintamente le fattispecie di "<em>perdita di ogni disponibilità dell'immobile combinata con l'impossibilita' di porvi rimedio, e con conseguenze assai gravi per il proprietario che subisce una espropriazione di fatto incompatibile con il suo diritto al rispetto dei propri beni</em>": ritenendo ininfluente "<em>che una tale vicenda sia giustificata soltanto dalla giurisprudenza, ovvero sia consentita mediante disposizioni legislative, come e' avvenuto con l'art. 3 della legge 458 del 1988, ovvero da ultimo con l'art.43 del T.U., in quanto il principio di legalità non significa affatto esistenza di una norma di legge che consenta l'espropriazione indiretta, bensì esistenza di norme giuridiche interne sufficientemente accessibili, precise e prevedibili</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Con la conseguenza onde il supporto di "<em>una base legale non e' sufficiente a soddisfare al principio di legalità</em>" e che "<em>e' utile porre particolare attenzione</em> ("<em>se pencher</em>") <em>sulla questione della qualità della legge</em>" (§ 75). Al nuovo istituto del T.U. i giudici di Strasburgo muovono l'ulteriore addebito di non aver neppure escluso, come aveva fatto la giurisprudenza ordinaria, che l'espropriazione indiretta potesse applicarsi quando la dichiarazione di p.u. sia stata annullata, avendo previsto «<em>che anche in assenza della dichiarazione di p.u. qualsiasi terreno possa essere acquisito al patrimonio pubblico, se il giudice decide di non ordinare la restituzione del terreno occupato e trasformato dall'amministrazione</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte la “<em>legalizzazione dell'illegale</em>" non e' conclusivamente consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tampoco ad un provvedimento amministrativo che di essa sia attuativo, quale e' quello che eventualmente disponga l'”<em>acquisizione sanante</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 ottobre 2005 esce la sentenza della Corte EDU, <em>Serrao</em>, che ribadisce – in tema di espropriazioni illecite – come vada scongiurato il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per i privati interessati.</p> <p style="text-align: justify;">Nella categoria suddetta la Corte inserisce non soltanto l'ipotesi corrispondente alla c.d. occupazione espropriativa, ma tutte indistintamente le fattispecie di "<em>perdita di ogni disponibilità dell'immobile combinata con l'impossibilita' di porvi rimedio, e con conseguenze assai gravi per il proprietario che subisce una espropriazione di fatto incompatibile con il suo diritto al rispetto dei propri beni</em>": ritenendo ininfluente "<em>che una tale vicenda sia giustificata soltanto dalla giurisprudenza, ovvero sia consentita mediante disposizioni legislative, come e' avvenuto con l'art. 3 della legge 458 del 1988, ovvero da ultimo con l'art.43 del T.U., in quanto il principio di legalità non significa affatto esistenza di una norma di legge che consenta l'espropriazione indiretta, bensì esistenza di norme giuridiche interne sufficientemente accessibili, precise e prevedibili</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Con la conseguenza onde il supporto di "<em>una base legale non e' sufficiente a soddisfare al principio di legalità</em>" e che "<em>e' utile porre particolare attenzione</em> ("<em>se pencher</em>") <em>sulla questione della qualità della legge</em>" (§ 75). Al nuovo istituto del T.U. i giudici di Strasburgo muovono l'ulteriore addebito di non aver neppure escluso, come aveva fatto la giurisprudenza ordinaria, che l'espropriazione indiretta potesse applicarsi quando la dichiarazione di p.u. sia stata annullata, avendo previsto «<em>che anche in assenza della dichiarazione di p.u. qualsiasi terreno possa essere acquisito al patrimonio pubblico, se il giudice decide di non ordinare la restituzione del terreno occupato e trasformato dall'amministrazione</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte la “<em>legalizzazione dell'illegale</em>" non e' conclusivamente consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tampoco ad un provvedimento amministrativo che di essa sia attuativo, quale e' quello che eventualmente disponga l'”<em>acquisizione sanante</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 gennaio esce la sentenza della Corte EDU, <em>Sciarrotta</em>, che ribadisce – in tema di espropriazioni illecite – come vada scongiurato il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per i privati interessati.</p> <p style="text-align: justify;">Nella categoria suddetta la Corte inserisce non soltanto l'ipotesi corrispondente alla c.d. occupazione espropriativa, ma tutte indistintamente le fattispecie di "<em>perdita di ogni disponibilità dell'immobile combinata con l'impossibilita' di porvi rimedio, e con conseguenze assai gravi per il proprietario che subisce una espropriazione di fatto incompatibile con il suo diritto al rispetto dei propri beni</em>": ritenendo ininfluente "<em>che una tale vicenda sia giustificata soltanto dalla giurisprudenza, ovvero sia consentita mediante disposizioni legislative, come e' avvenuto con l'art. 3 della legge 458 del 1988, ovvero da ultimo con l'art.43 del T.U., in quanto il principio di legalità non significa affatto esistenza di una norma di legge che consenta l'espropriazione indiretta, bensì esistenza di norme giuridiche interne sufficientemente accessibili, precise e prevedibili</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Con la conseguenza onde il supporto di "<em>una base legale non e' sufficiente a soddisfare al principio di legalità</em>" e che "<em>e' utile porre particolare attenzione</em> ("<em>se pencher</em>") <em>sulla questione della qualità della legge</em>" (§ 75). Al nuovo istituto del T.U. i giudici di Strasburgo muovono l'ulteriore addebito di non aver neppure escluso, come aveva fatto la giurisprudenza ordinaria, che l'espropriazione indiretta potesse applicarsi quando la dichiarazione di p.u. sia stata annullata, avendo previsto «<em>che anche in assenza della dichiarazione di p.u. qualsiasi terreno possa essere acquisito al patrimonio pubblico, se il giudice decide di non ordinare la restituzione del terreno occupato e trasformato dall'amministrazione</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte la “<em>legalizzazione dell'illegale</em>" non e' conclusivamente consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tampoco ad un provvedimento amministrativo che di essa sia attuativo, quale e' quello che eventualmente disponga l'”<em>acquisizione sanante</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.290 che, riprendendo quanto già statuito dall’Adunanza Plenaria nella pronuncia 2.05, afferma come l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa (astrattamente) venire meno l'obbligo della PA procedente di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, dovendosi ritenere superata – alla stregua della CEDU e, in particolare, del primo Protocollo addizionale - l'interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del bene effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’Amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza tanto il risarcimento del danno, quanto la restituzione del fondo con annessa riduzione in pristino stato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 febbraio esce la sentenza della Corte EDU, <em>Immobiliare Cerro</em>, che ribadisce – in tema di espropriazioni illecite – come vada scongiurato per i privati il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per gli interessati.</p> <p style="text-align: justify;">Nella categoria suddetta la Corte inserisce non soltanto l'ipotesi corrispondente alla c.d. occupazione espropriativa, ma tutte indistintamente le fattispecie (come già statuito nella sent. 19 maggio 2005, Acciardi) di "<em>perdita di ogni disponibilità dell'immobile combinata con l'impossibilita' di porvi rimedio, e con conseguenze assai gravi per il proprietario che subisce una espropriazione di fatto incompatibile con il suo diritto al rispetto dei propri beni</em>": ritenendo ininfluente "<em>che una tale vicenda sia giustificata soltanto dalla giurisprudenza, ovvero sia consentita mediante disposizioni legislative, come e' avvenuto con l'art. 3 della legge 458 del 1988, ovvero da ultimo con l'art.43 del T.U., in quanto il principio di legalità non significa affatto esistenza di una norma di legge che consenta l'espropriazione indiretta, bensì esistenza di norme giuridiche interne sufficientemente accessibili, precise e prevedibili</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Con la conseguenza onde il supporto di "<em>una base legale non e' sufficiente a soddisfare al principio di legalità</em>" e che "<em>e' utile porre particolare attenzione</em> ("<em>se pencher</em>") <em>sulla questione della qualità della legge</em>" (sent. Acciardi cit. § 75). Al nuovo istituto del T.U. i giudici di Strasburgo muovono l'ulteriore addebito di non aver neppure escluso, come aveva fatto la giurisprudenza ordinaria, che l'espropriazione indiretta potesse applicarsi quando la dichiarazione di p.u. sia stata annullata, avendo previsto «<em>che anche in assenza della dichiarazione di p.u. qualsiasi terreno possa essere acquisito al patrimonio pubblico, se il giudice decide di non ordinare la restituzione del terreno occupato e trasformato dall'amministrazione</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte la “<em>legalizzazione dell'illegale</em>" non e' conclusivamente consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tampoco ad un provvedimento amministrativo di essa attuativo, quale e' quello che disponga l'acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.13215, onde il proprietario del suolo su cui il terzo abbia eseguito con materiali propri una costruzione acquista <em>ipso iure</em> la proprietà della stessa al momento e per effetto della relativa incorporazione, senza necessità di alcuna manifestazione di volontà, che invece è richiesta per evitare l'acquisto, nel caso in cui egli, avvalendosi dello <em>ius tollendi</em>, ne pretenda la rimozione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 giugno esce la sentenza del Tar Abruzzo, Pescara, n.345, alla cui stregua anche a seguito della sentenza della Corte cost. 191.06, sussiste la giurisdizione esclusiva del GA in ordine all’impugnazione degli atti con i quali l'Amministrazione ha disposto - ai sensi dell'art. 43, dPR n. 327 del 2001 - l'acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune di un immobile nonché in ordine alla connessa richiesta di restituzione del bene e di risarcimento dei danni al privato proprietario, nel caso in cui l'occupazione del bene ridetta sia collegata (e comunque riconducibile) all'esercizio di un potere amministrativo, essendo stata disposta in esecuzione di una dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità ed urgenza non seguita poi dall'emissione nei termini del pertinente decreto di espropriazione definitiva; in tal caso infatti, per il Collegio l'occupazione dell'immobile non è avvenuta <em>sine titulo</em>, palesandosi piuttosto riconducibile all'esercizio di un pubblico potere.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 2582 alla cui stregua l'occupazione acquisitiva, integrando una condotta illecita permanente, non è soggetta come tale al termine quinquennale di prescrizione, sicché il proprietario che ha chiesto il risarcimento del danno ha diritto ad ottenere, in caso di mancata adozione dell’atto di acquisizione sanante ex art. 43, d.P.R. n. 327 del 2001 o, in alternativa, di cessione bonaria del bene, la restituzione del bene medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5830, alla cui stregua in caso di occupazione illegittima della PA cui si accompagni la irreversibile trasformazione della pertinente area di sedime, non è possibile giungere – nonostante l’espressa domanda formulata in tal senso dal privato proprietario – ad una mera condanna risarcitoria della PA e dunque ad una tutela solo per equivalente, dacché una tale pronuncia postulerebbe inammissibilmente l'avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della PA che se ne è illecitamente impossessata; esito, questo (comunque sia ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato dal primo Protocollo addizionale della Convenzione europea dei duetti dell'uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Donde la necessità di un passaggio intermedio, finalizzato all'acquisto della proprietà del bene da parte dell'Ente espropriante.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 marzo esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.5925, che si occupa della peculiare fattispecie in cui il ricorso spiccato dal privato avverso uno degli atti di cui ai primi 2 comma dell’art. 43 T.U. 327.01 sia stato rigettato o comunque ritenuto infondato, circostanza al cospetto della quale viene meno il presupposto previsto perché il GA possa conoscere dei profili risarcitori della vicenda acquisitiva, disponendo la liquidazione del risarcimento del danno al privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte, non essendo stata nel caso di specie accolta l’impugnazione dell’atto di acquisizione, che il Tar adito dal privato ablato ha assunto legittimo, non può assumersi applicabile la disciplina dell’art.43, comma 3, del ridetto T.U., onde i profili risarcitori vanno in simili ipotesi demandati al GO,e non al GA (come invece accade quando il ricorso del privato sia stato accolto e la PA non voglia comunque restituire il bene al privato proprietario e chieda piuttosto la liquidazione del danno in relativo favore).</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di specie, per le SSUU la giurisdizione esclusiva del GA non potrebbe fondarsi né sull’art.34 del decreto legislativo 80.98 (siccome modificato dall’art.7 della legge 205.00), nel testo risultante a valle della sentenza della Corte costituzionale 204.04, né sull’art.53 dello stesso T.U. 327.01, essendosi al cospetto di un comportamento illecito, peraltro tenuto in tempi anteriori alla stessa entrata in vigore del ridetto T.U., all’epoca dei quali non era ravvisabile un atto di esercizio del pubblico potere, con la conseguenza onde il pur sopravvenuto atto di acquisizione sanante, riconosciuto legittimo ed ancorché spieganti effetti <em>ex tunc</em>, non è capace di mutare la <em>causa petendi</em> della domanda risarcitoria, fondata sulla lesione di un diritto soggettivo (la proprietà) al di fuori di un procedimento ablativo e, come tale, appannaggio del GO ai sensi degli articoli 103 e 113 Cost.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per il Collegio che – una volta rigettato il ricorso spiccato dal privato per l’annullamento del sopravvenuto atto di acquisizione sanante ex art.43 del T.U. 327.01 – l’azione di restituzione e risarcitoria non può assumersi avere sotteso, quale <em>causa petendi</em>, un provvedimento legittimo, quanto piuttosto il mero comportamento illecito di occupazione dell’area di sedime in proprietà privata e la conseguente trasformazione della stessa, da addurre come tale alla cognizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 ottobre esce l’ordinanza della V sezione del Tar Campania n.730, che solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, d.P.R. n. 327 del 2001 per violazione degli artt. 3, 24, 42, 97 e 113 Cost., laddove tale norma consente alla P.A., con lo strumento dell’acquisizione c.d. sanante, di eludere in particolare gli obblighi procedimentali di instaurazione del contraddittorio con il privato (oltre ad altri obblighi concernenti le tre fasi progettuali e la verifica delle pertinenti norme di conformità urbanistica).</p> <p style="text-align: justify;">Per il Tar va aggiunta la considerazione onde l'applicazione di tale istituto “<em>sanante</em>” ai casi in cui sia già passata in giudicato la sentenza di annullamento degli atti inerenti la procedura espropriativa comporta una grave lesione del canone di intangibilità del giudicato amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">L’art.43 di che trattasi appare poi al Tar di dubbia legittimità costituzionale anche in relazione all'art. 117, comma 1, Cost., per contrasto con i principi della CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte EDU, laddove ha più volte affermato il diretto contrasto della prassi interna italiana sulla c.d. “<em>espropriazione indiretta</em>” con l'art. 1, prot. 1, della Convenzione.</p> <p style="text-align: justify;">Ulteriore profilo di illegittimità denunciato dal Tar concerne la presunta frizione dell’art.43 del TU 327.01 con l’art. 76 Cost., laddove il ridetto art. 43, nel contemplare l’emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione sanante, sembra aver ecceduto i limiti della delega di cui all’art. 7, comma 2, lett. d), della legge n. 50 del 1999.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 novembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.26793 che autorevolmente ribadisce come, anche a seguito della sentenza della Corte cost. 191.06, sussista la giurisdizione esclusiva del GA in ordine all’impugnazione degli atti con i quali l'Amministrazione ha disposto - ai sensi dell'art. 43, dPR n. 327 del 2001 - l'acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune di un immobile nonché in ordine alla connessa richiesta di restituzione del bene e di risarcimento dei danni al privato proprietario, nel caso in cui l'occupazione del bene ridetta sia collegata e riconducibile all'esercizio di un potere amministrativo, essendo stata disposta in esecuzione di una dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità ed urgenza non seguita poi dall'emissione, nei termini, del decreto di espropriazione definitiva; in tal caso, infatti, l'occupazione dell'immobile non è avvenuta <em>sine titulo</em>, ma è piuttosto riconducibile all'esercizio di un pubblico potere.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.915 alla cui stregua il provvedimento di acquisizione sanante assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio e dunque sintetizza <em>uno actu</em> lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti di legge che devono essere valutati in maniera estremamente analitica dalla PA nell'esercizio del proprio, pertinente potere discrezionale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 5 giugno esce la sentenza della V sezione del Tar Campania n.3124, alla cui stregua in caso di occupazione illegittima della PA cui si accompagni la irreversibile trasformazione della pertinente area di sedime, non è possibile giungere – nonostante l’espressa domanda formulata in tal senso dal privato proprietario – ad una mera condanna risarcitoria della PA e dunque ad una tutela solo per equivalente, dacché una tale pronuncia postulerebbe inammissibilmente l'avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della PA che se ne è illecitamente impossessata; esito, questo (comunque sia ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato dal primo Protocollo addizionale della Convenzione europea dei duetti dell'uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Donde la necessità di un passaggio intermedio, finalizzato all'acquisto della proprietà del bene da parte dell'Ente espropriante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 ottobre esce la sentenza della sezione II bis del Tar Lazio n.9557 onde il possesso continuato ed ininterrotto per 20 anni fa acquisire il fondo occupato alla PA per usucapione, dovendo assumersi a quel punto estinte tanto la tutela reale (restitutoria) quanto quella obbligatoria (risarcimento del danno), dacché viene radicalmente meno il connotato di illiceità del contegno tenuto <em>ex parte publica</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.290 che, riprendendo quanto già statuito dall’Adunanza Plenaria nella pronuncia 2.05, afferma come l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l'obbligo della PA procedente di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, dovendosi ritenere superata – alla stregua della CEDU e, in particolare, del primo Protocollo addizionale - l'interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del bene effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’Amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza tanto il risarcimento del danno, quanto la restituzione del fondo con annessa riduzione in pristino stato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 aprile esce la sentenza del C.G.A. per la Regione Siciliana n.558, onde l'acquisizione sanante è da assumersi esperibile in relazione a beni culturali, perché l'istituto non è escluso dagli artt. 95, 96, 97 c 100, d.lgs. n. 42 del 2004 e 32, d.P.R. n, 32 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">La suddetta normativa infatti, a detta del Collegio, circoscrive il rinvio alle disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità nei limiti della compatibilità con quelle sui beni culturali; e l'acquisizione sanante è istituto di carattere generale avente la specifica finalità di far conseguire alla P.A. un bene anche nell'ipotesi del mancato esito fruttuoso di procedure espropriative in precedenti svolte.</p> <p style="text-align: justify;">Non si ravvisa pertanto, prosegue il Collegio, alcun ostacolo all’applicabilità dell’istituto nei casi in cui la medesima esigenza acquisitiva venga in rilievo in rapporto a beni culturali, non costituzionalmente orientato profilandosi un diverso opinare giacché i beni culturali, specialmente quelli già vincolati, si palesano maggiormente bisognosi di una tutela pubblica, soprattutto se compromessi sul piano strutturale funzionale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 maggio esce la sentenza della V Sezione del Tar Campania n.4250 alla cui stregua, nel solco di collaudata giurisprudenza sul punto, esula dalla giurisdizione amministrativa la domanda relativa al pagamento dell'indennità per il periodo di occupazione legittima, atteso che per tale domanda continua ad operare, senza che possano ipotizzarsi effetti di assorbimento per la concentrazione del giudizio, la riserva al GO disposta dall’art. 53, d P.R. 8 giugno 2001, n, 327</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.15327 onde, nel caso di occupazione e trasformazione di area in costanza e sulla base di una valida dichiarazione di pubblica utilità, va dichiarata la giurisdizione del GA sulle relative domande di restituzione e risarcimento, atteso che in materia di espropriazioni rientra nella giurisdizione del GO soltanto quel che riguarda il pagamento delle indennità di occupazione od espropriazione ovvero il risarcimento dei danni cagionati da comportamenti non riconducibili, neppure in via mediata e indiretta, all'esercizio di un potere pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 ottobre esce la fondamentale sentenza della Corte costituzionale n.293, che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).</p> <p style="text-align: justify;">In via preliminare, la Corte registra come la questione dell’applicabilità della norma in esame non sia stata risolta in modo univoco dalla giurisprudenza. La Corte di cassazione esclude, infatti, l’ammissibilità dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001 (sentenze 22 settembre 2008, n. 23943, 28 luglio 2008 n. 20543, 19 dicembre 2007, n. 26732). Diversamente, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato è ormai prevalente il principio secondo cui «<em>la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata </em>sine titulo<em>, descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma</em>» (Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1762, Sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3509, inoltre: Ad. Plen. 29 aprile 2005, n. 2; Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830, esaminata senza rilievi sulla giurisdizione da Cass., SS.UU., 16 aprile 2009, n. 9001). In presenza di tale contrasto, per la Corte le ordinanze di rimessione hanno motivato in maniera non implausibile in ordine all’applicabilità della norma, richiamando la giurisprudenza assolutamente prevalente ed il «<em>diritto vivente</em>» del Consiglio di Stato.</p> <p style="text-align: justify;">Nel merito, per il Collegio vanno esaminate in via preliminare le censure riferite all’art. 76, della Costituzione. Spetta, infatti, alla Corte «<em>valutare il complesso delle eccezioni e delle questioni costituenti il thema decidendum devoluto al suo esame</em>» e «<em>stabilire, anche per economia di giudizio, l’ordine con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre</em>» (da ultimo, sentenze n. 181 del 2010 e n. 262 del 2009), quando si è in presenza di «<em>questioni tra loro autonome per l’insussistenza di un nesso di pregiudizialità</em>» (sentenza n. 262 del 2009). Nella specie, è palese la pregiudizialità logico-giuridica delle censure riferite all’art. 76 Cost., giacché esse investono il corretto esercizio della funzione legislativa e, quindi, la loro eventuale fondatezza eliderebbe in radice ogni questione in ordine al contenuto precettivo della norma in esame. I rimettenti denunciano la violazione dell’art. 76 Cost., deducendo che l’art. 43 non troverebbe «<em>riferimento o principi e criteri direttivi in norme preesistenti</em>», in quanto la legge-delega n. 50 del 1999 prevedeva il mero coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, e consentiva, nei limiti di tale coordinamento, le sole modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio; questione che per la Corte è da assumersi fondata.</p> <p style="text-align: justify;">La norma impugnata – rammenta il Collegio - disciplina l’istituto cosiddetto della «<em>acquisizione sanante</em>». In particolare essa dispone, fra l’altro, al comma 1, che, «<em>valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni</em>». Viene, poi, precisato, al comma 2, che l’atto di acquisizione «<em>...a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio</em>;». Si tratta, dunque, della possibilità di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza occupato e modificato per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, anche nel caso in cui l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia venuta meno, con effetto retroattivo, in conseguenza del relativo annullamento o per altra causa, o anche in difetto assoluto di siffatta dichiarazione («<em>assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità</em>»).</p> <p style="text-align: justify;">La norma censurata è contenuta nel testo unico, in materia di espropriazioni, redatto in attuazione della legge n. 50 del 1999, a sua volta collegata alla legge 15 marzo 1997 n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. In particolare, la delega riguardava il «<em>riordino</em>» delle norme elencate nell’allegato I alla legge n. 59 del 1997 (nel testo risultante a seguito dell’art. 1, legge 24 novembre 2000, n. 340 – Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999), che contemplava, quale oggetto, il «<em>procedimento di espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Il chiaro tenore delle norme richiamate rende palese che la delega oggetto delle medesime concerneva esplicitamente il tessuto normativo costituito dalle leggi n. 2359 del 1865 e n. 865 del 1971. Il sistema dell’espropriazione per pubblica utilità risultante da dette leggi era articolato, in sintesi, in un procedimento che presupponeva il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’opera e la fissazione di termini, con la connessa disciplina dei casi di indifferibilità ed urgenza. In seguito, la legge n. 865 del 1971 aveva previsto la concentrazione del procedimento in un’unica fase, ricollegando la dichiarazione di pubblica utilità, unitamente alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza delle opere pubbliche, all’approvazione dei progetti delle opere medesime da parte degli organi competenti. Successivamente, ed in presenza di una nutrita serie di patologie dei procedimenti amministrativi di espropriazione, consistenti nell’accertamento dell’occupazione <em>sine titulo</em> da parte della PA, la giurisprudenza di legittimità aveva elaborato gli istituti dell’occupazione «<em>appropriativa</em>» ed «<em>usurpativa</em>».</p> <p style="text-align: justify;">In sintesi, la prima era caratterizzata da una anomalia del procedimento espropriativo, a causa della relativa mancata conclusione con un formale atto ablativo, mentre la seconda era collegata alla trasformazione del fondo di proprietà privata, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità. Nel primo caso (il cui <em>leading case</em> si rinviene nella sentenza delle Sezioni Unite 26 febbraio 1983, n. 1464), l’acquisto della proprietà conseguiva ad un’inversione della fattispecie civilistica dell’accessione di cui agli artt. 935 ss. cod. civ., in considerazione della trasformazione irreversibile del fondo. Secondo questa ricostruzione, la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato comportava l’acquisto a titolo originario, da parte dell’ente pubblico, della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato.</p> <p style="text-align: justify;">La successiva sentenza delle Sezioni Unite 10 giugno 1988, n. 3940, precisò poi la figura della «<em>occupazione acquisitiva</em>», limitandola al caso in cui si riscontrasse una valida dichiarazione di pubblica utilità che permetteva di far prevalere l’interesse pubblico su quello privato. L’«<em>occupazione usurpativa</em>», invece, non accompagnata da dichiarazione di pubblica utilità, <em>ab initio</em> o per effetto dell’intervenuto annullamento del relativo atto o per scadenza dei relativi termini, in quanto tale non determinava dunque l’effetto acquisitivo a favore della pubblica amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">E’ questo, in sostanza, il contesto normativo in cui – chiosa la Corte - è stato inserito il citato art. 43, comprensivo anche dei ricordati istituti di origine giurisprudenziale, i quali hanno nel tempo disciplinato la materia. Nella redazione del testo unico il legislatore delegato era tenuto ad osservare i seguenti principi e criteri direttivi, contenuti nell’art. 7, comma 2, della citata legge n. 50: la puntuale individuazione del testo vigente delle norme (lettera b dell’art. 7 cit.); l’indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni (lettera c); il coordinamento «<em>formale</em>» del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo (lettera d). La legge-delega imponeva, poi, l’indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restavano comunque in vigore (lettera e) e l’esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, che regolavano la materia oggetto di delegificazione, con espressa indicazione delle stesse in apposito allegato al testo unico (lettera f).</p> <p style="text-align: justify;">Occorre verificare pertanto, soggiunge la Corte, se il legislatore delegato abbia osservato i suindicati principi e criteri direttivi. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte medesima, il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa si esplica attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli. Il primo riguarda le norme che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione. Il secondo riguarda le norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (<em>ex plurimis</em>, sentenze n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, n. 54 del 2007, n. 280 del 2004, n. 199 del 2003).</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, da un lato, deve farsi riferimento alla ratio della delega; dall’altro, occorre tenere conto della possibilità, insita nello strumento della delega, di introdurre norme che siano un coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato; dall’altro ancora, sebbene rientri nella discrezionalità del legislatore delegato emanare norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore (sentenza n. 199 del 2003; ordinanza n. 213 del 2005), è nondimeno necessario che detta discrezionalità sia esercitata nell’ambito dei limiti stabiliti dai principi e criteri direttivi. Inoltre, secondo la costante giurisprudenza della Corte, qualora la delega abbia ad oggetto, come nella specie, la revisione, il riordino ed il riassetto di norme preesistenti, queste finalità giustificano un adeguamento della disciplina al nuovo quadro normativo complessivo, conseguito dal sovrapporsi, nel tempo, di disposizioni emanate in vista di situazioni ed assetti diversi. L’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente è, tuttavia, ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato (sentenza n. 170 del 2007 e n. 239 del 2003).</p> <p style="text-align: justify;">Alla luce di questi principi, risulta chiara alla Corte la fondatezza delle censure svolte dai giudici rimettenti. La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento «<em>formale</em>» relativo a disposizioni «<em>vigenti</em>». L’istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, è connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale. In primo luogo, non è dato ravvisare nelle leggi indicate nel citato allegato I, alla legge n. 59 del 1997, alcuna norma che potesse giustificare un intervento della PA, in via di sanatoria, sulle procedure ablatorie previste. Inoltre, neppure può farsi riferimento al contesto degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, in quanto più profili della cosiddetta «<em>acquisizione sanante</em>», così come disciplinata dalla norma censurata, eccedono con tutta evidenza dagli istituti della occupazione appropriativa e della occupazione usurpativa, così come delineati da quegli orientamenti.</p> <p style="text-align: justify;">Il citato art. 43, infatti, ha anzitutto assimilato le due figure, introducendo la possibilità per l’Amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al GA, in ogni caso e senza limiti di tempo, la (mera) condanna al risarcimento in luogo della restituzione. Peraltro, esso estende tale disciplina anche alle servitù, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso l’applicabilità della cosiddetta occupazione appropriativa, trattandosi di fattispecie non applicabile all’acquisto di un diritto reale <em>in re aliena</em>, in quanto difetta la non emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale dell’opera pubblica. Infine, la norma censurata differisce il prodursi dell’effetto traslativo al momento dell’atto di acquisizione.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di elementi di sicuro rilievo e qualificanti, i quali dimostrano che la norma in esame non solo è marcatamente innovativa rispetto al contesto normativo positivo di cui era consentito un mero riordino, ma neppure è coerente con quegli orientamenti di giurisprudenza che, in via interpretativa, erano riusciti a porre un certo rimedio ad alcune gravi patologie emerse nel corso dei procedimenti espropriativi. Siffatto carattere della norma impugnata trova conferma significativa nella circostanza onde, secondo la giurisprudenza di legittimità, in materia di occupazione di urgenza, la sopravvenienza di un provvedimento amministrativo non poteva avere un’efficacia sanante retroattiva, determinata da scelte discrezionali dell’ente pubblico o dai relativi poteri autoritativi. Nel regime risultante dalla norma impugnata, invece, si prevede un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa Amministrazione che ha commesso l'illecito, (financo) a dispetto di un giudicato che dispone il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato (e, dunque, la restituzione del pertinente bene).</p> <p style="text-align: justify;">Il legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto ed al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega. La Corte ha in proposito affermato, infatti, che, per quanta ampiezza possa riconoscersi al potere di riempimento del legislatore delegato, «<em>il libero apprezzamento</em>» del medesimo «<em>non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega</em>» (sentenze n. 340 del 2007 e n. 68 del 1991).</p> <p style="text-align: justify;">In contrario, non giova dedurre che il legislatore delegato abbia inteso tenere conto delle censure mosse dalla giurisprudenza di Strasburgo alla pratica delle espropriazioni «<em>indirette</em>». Indipendentemente sia da ogni considerazione relativa al fatto che ciò non era contemplato nei principi e criteri direttivi di cui al più volte citato art. 7 della legge n. 50 del 1999, sia dal legittimo dubbio quanto alla idoneità della scelta realizzata con la norma a garantire il rispetto dei principi della CEDU, che in questa sede non è per la Corte possibile sciogliere, quella prefigurata costituisce soltanto una delle molteplici soluzioni possibili. Il legislatore avrebbe potuto conseguire tale obiettivo e disciplinare in modi diversi la materia, ed anche espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti europei.</p> <p style="text-align: justify;">E neppure è mancato qualche rilievo in questo senso della Corte di Strasburgo, la quale, infatti, sia pure incidentalmente, ha precisato che l’espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all’Amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da «<em>azioni illegali</em>», e ciò sia allorché essa costituisca conseguenza di un’interpretazione giurisprudenziale, sia allorché derivi da una legge – con espresso riferimento all’articolo 43 del t.u. qui censurato –, in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire un’alternativa ad un’espropriazione adottata secondo «<em>buona e debita forma</em>» (Causa Sciarrotta ed altri c. Italia – Terza Sezione – sentenza 12 gennaio 2006 – ricorso n. 14793/02). Anche considerando la giurisprudenza di Strasburgo, pertanto, non è affatto sicuro che la mera trasposizione in legge di un istituto, in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dell’espropriazione indiretta, sia sufficiente di per sé a risolvere il grave <em>vulnus</em> al principio di legalità.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua dei rilievi svolti, va dunque dichiarata per la Corte l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, poiché la disciplina inerente all’acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6 bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri comma, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l’applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi (cfr. sentenza n. 18 del 2009). La pronuncia di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 76 Cost., determina l’assorbimento delle questioni poste con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 113 e 117, primo comma, Cost.</p> <p style="text-align: justify;">Va rimarcato, del pronunciamento della Corte, il passaggio “<em>di merito</em>” onde il legislatore avrebbe potuto disciplinare in modi diversi la materia, ed al limite anche espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti europei: il Collegio dunque, al di là delle considerazioni di tipo formale, sembra anche “<em>sostanzialmente</em>” ventilare una non perfetta coerenza con l’ordinamento costituzionale e convenzionale (CEDU) dell’acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.7472 alla cui stregua l’acquisizione sanante di cui all’art.43 del TU 327.01 opera anche retroattivamente, palesandosi come tale capace di “<em>superare</em>” anche l’eventualmente già intervenuto giudicato che abbia disposto la restituzione del bene occupato <em>sine titulo</em> al privato proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il Collegio, sotto altro profilo, ai fini della costituzione in via coattiva di una servitù pubblica, rileva non la “<em>modificazione</em>” materiale, bensì la modificazione immateriale in cui consiste il pregresso uso -parimenti <em>sine titulo</em> e nell'interesse pubblico - del bene su cui far gravare la servitù titolata; servitù che appunto comporta, diversamente dall’acquisizione della proprietà - esclusiva - del bene da parte della PA (per riunirla a quella dell'opera pubblica), la facoltà del titolare del fondo servente di continuare a propria volta a farne uso.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre esce la sentenza del Tar Puglia, Lecce, sezione I, n.2683, alla cui stregua una volta intervenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art, 43, d.P.R. n. 327 del 2001, da parte della Corte costituzionale, si deve fare applicazione, nei casi di utilizzazione <em>sine titulo</em> di un bene per scopi di pubblico interesse, dell'istituto giuridico della “<em>specificazione</em>”, disciplinato all'art. 940 c.c., secondo cui “<em>se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d'opera. In quest'ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d'opera</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che qualora sia stata realizzata un’opera pubblica su di un fondo che sia stato in precedenza illegittimamente occupato dalla PA ed irreversibilmente trasformato, la proprietà del fondo e dell’opera pubblica su di esso ormai insistente passa all’Amministrazione che deve tuttavia riconoscere al proprietario del fondo un indennizzo pari al valore che il bene – il fondo, per l’appunto – avrebbe avuto se non fosse stato reso oggetto di (irreversibile) trasformazione.</p> <p style="text-align: justify;">E’ ben vero che la specificazione è modo di acquisto della proprietà previsto dall’art.940 c.c. con riguardo alle sole cose mobili, nelle quali vanno ricomprese le energie naturali che abbiano valore economico; nondimeno, tale previsione del codice civile ben può essere applicata in via analogica, con conseguente estensione del relativo usbergo precettivo anche alle cose immobili, sol che si consideri come – a differenza di quanto accadeva nel diritto romano – la proprietà fondiaria non si estenda ormai più (come allora) “<em>usque ad sidera et usque ad inferos</em>”, onde gli elementi che distinguono la proprietà dei suoli rispetto alla proprietà delle cose mobili si sono notevolmente attenuati.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio pugliese, più in specie, il fenomeno unificante sarebbe da ravvisarsi – tanto nel caso delle cose mobili quanto in quello dei beni immobili - nella modificazione di una <em>res</em> in modo talmente incisivo da dar vita ad una cosa “<em>nuova</em>” che non può essere identificata con quella esistente prima della modificazione, l'art. 940 c.c., secondo tale interpretazione, palesandosi quale istituto in funzione di una società informata allo sviluppo ed alla tutela delle energie creative, piuttosto che alla staticità.</p> <p style="text-align: justify;">Il fondo dunque, in caso di occupazione della PA e di irreversibile trasformazione <em>ex parte publica</em>, viene fatto oggetto di una specificazione a valle della quale la proprietà dell’opera pubblica viene acquistata a titolo originario dall’Ente pubblico “<em>specificatore</em>” nel momento in cui l’opera pubblica medesima viene completata; si tratta di un acquisto che, lungi dal conseguire ad un illecito, affonda piuttosto le proprie radici nel diritto romano, quale fatto “<em>lecito</em>” che dà diritto ad un indennizzo, piuttosto che fatto “<em>illecito</em>” cui si giustappone un diritto al risarcimento del danno in capo al privato (ex proprietario).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una nuova impostazione pretoria cui, nondimeno, non fanno difetto le critiche di chi non ammette il ricorso all’interpretazione analogica per estendere la specificazione ex art.940 c.c. – prevista per le cose mobili – anche alle cose immobili, dacché la fattispecie dell’opera eseguita da un terzo con materiali propri su suolo (fondo) altrui risulta specificamente disciplinata, in tema di accessione e come risulta già a chiare lettere dalla pertinente rubrica, dall’art.936 c.c., senza possibilità dunque di fare applicazione analogica della specificazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce la sentenza della sezione I del Tar Toscana n.29 alla cui stregua, una volta annullato il decreto di esproprio in sede giurisdizionale, l’effetto ripristinatorio della pertinente sentenza impone l’integrale restituzione del fondo interessato dall’esproprio medesimo – previa relativa rimessione in pristino - al privato ricorrente, avendo la PA illegittimamente condotto il procedimento espropriativo, con diritto del proprietario privato in parola al risarcimento del danno parametrato al tempo di mancato godimento del fondo pertinente; i singoli ratei risarcitori vanno peraltro via via rivalutati (danno emergente) fino alla data di pubblicazione della sentenza, senza nondimeno che sulle somme rivalutate decorrano anche gli interessi legali, a meno che il ricorrente non abbia fornito la prova di un lucro cessante specifico.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una soluzione pretoria diametralmente opposta rispetto a quella – facente leva sull’applicazione analogica ai beni immobili dell’istituto della specificazione – che predica una acquisizione della proprietà dell’opera pubblica e di quella del fondo di sedime in capo alla PA protagonista del procedimento ablatorio; soluzione anch’essa criticata da chi non ammette possa prospettarsi – in caso di utilizzazione <em>sine titulo</em> di un bene privato per scopi pubblici – la sola ed indefettibile conseguenza della restituzione del fondo al privato proprietario, previa relativa riduzione in pristino e connesso diritto del privato medesimo al risarcimento del danno per mancato godimento del pertinente bene, dovendosi tenere conto della consistente dispersione di risorse pubbliche avvinta alla realizzazione e successiva demolizione dell’opera pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre la dottrina più critica fa notare come la conclusione raggiunta dal Collegio toscano, e dalla giurisprudenza che ad esso si uniforma, non si palesa supportata da verun riferimento normativo, entrando piuttosto in rotta di collisione con l’art.936 c.c. alla cui stregua – in caso di opere realizzate da un terzo con materiali propri su fondo altrui – al proprietario del fondo va riconosciuto sì il diritto di ritenere l’opera, ma pagando lui al realizzatore, a propria scelta, il valore dei materiali ed il prezzo della manodopera, ovvero l’aumento di valore arrecato al fondo giusta realizzazione medesima.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre l’11 gennaio esce la sentenza della III sezione del Tar Sicilia n.9, alla cui stregua gli atti di acquisizione sanante devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, data l'intrinseca e ben rilevante discrezionalità della pertinente determinazione che, in tale ambito, la PA procedente deve assumere; vanno tuttavia fatti salvi i casi di urgenza, debitamente motivata e comprovata, che giustifichino l’omissione di tale rilevante adempimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 gennaio esce la sentenza del Tar Campania, Salerno, sezione II, n. 43 onde – dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art.43 del T.U. 327.01 ad opera della Corte costituzionale, deve assumersi applicabile alle pertinenti fattispecie l’art.934 c.c. onde tutto ciò che viene edificato su di un suolo accede di diritto alla proprietà del suolo stesso (<em>omne quod inedificatur solo cedit</em>), in combinato disposto con l’art.936, alla cui stregua laddove un terzo abbia eseguito opere con materiali propri su fondo altrui, il proprietario di tale fondo può scegliere se acquisire la proprietà di tali opere ovvero può obbligare il terzo esecutore a rimuoverle.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, allorché in quest’ultima fattispecie la rimozione non sia stata chiesta dal proprietario del suolo nel termine di 6 mesi di cui articolo 936, ultimo comma, c.c., quest’ultimo – e, dunque, il proprietario del suolo – acquista a titolo originario ed <em>ipso iure</em> la proprietà delle opere realizzate dal terzo in virtù del principio generale dell’accessione, atteso anche come l’obbligazione avente ad oggetto il pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera, ovvero dell’incremento di valore del proprio fondo (cui è tenuto in forza dell’art.936, comma 2, c.c.) rivesta natura indennitaria e non si ponga in posizione di sinallagma rispetto all’acquisto della proprietà dell’opera, non configurando dunque una condizione rispetto alla pienezza dell’atto di acquisto di tale proprietà.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 febbraio esce la sentenza della sezione II del Tar Sicilia n.175 onde il rimedio puramente risarcitorio in favore del proprietario del fondo va necessariamente subordinato alla definizione formale tra le parti dell'atto traslativo del diritto domenicale, in modo da rendere la situazione di diritto coerente con la situazione di fatto ormai consolidata.</p> <p style="text-align: justify;">Ad un tempo, va esclusa <em>in nuce</em> la violazione del divieto di arricchimento senza causa che altrimenti conseguirebbe all'illegittima locupletazione del privato, quale soggetto ancora formalmente titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il controvalore giusta pertinente risarcimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 17 febbraio esce la sentenza del Tar Campania, sezione II, n. 262, onde – dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art.43 del T.U. 327.01 ad opera della Corte costituzionale, deve assumersi applicabile alle pertinenti fattispecie l’art.934 c.c. onde tutto ciò che viene edificato su di un suolo accede di diritto alla proprietà del suolo stesso (<em>omne quod inedificatur solo cedit</em>), in combinato disposto con l’art.936, alla cui stregua laddove un terzo abbia eseguito opere con materiali propri su fondo altrui, il proprietario di tale fondo può scegliere se acquisire la proprietà di tali opere ovvero può obbligare il terzo esecutore a rimuoverle.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, allorché in quest’ultima fattispecie la rimozione non sia stata chiesta dal proprietario del suolo nel termine di 6 mesi di cui articolo 936, ultimo comma, c.c., quest’ultimo – e, dunque, il proprietario del suolo – acquista a titolo originario ed <em>ipso iure</em> la proprietà delle opere realizzate dal terzo in virtù del principio generale dell’accessione, atteso anche come l’obbligazione avente ad oggetto il pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera, ovvero dell’incremento di valore del proprio fondo (cui è tenuto in forza dell’art.936, comma 2, c.c.) rivesta natura indennitaria e non si ponga in posizione di sinallagma rispetto all’acquisto della proprietà dell’opera, non configurando dunque una condizione rispetto alla pienezza dell’atto di acquisto di tale proprietà.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.11963, alla cui stregua in caso di occupazione illegittima di un'area da parte della P.A. e successiva irreversibile trasformazione della stessa, la richiesta di reintegrazione in forma specifica del pregiudizio subito ex art. 2058, primo comma, c.c. è ordinariamente destinata ad un esito negativo, dovendo trovare prioritario soddisfacimento l'interesse posto a base della realizzazione dell'opera pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, prosegue la Corte, nel caso in cui le condizioni di fatto riscontrate depongano nel senso di un sopraggiunto difetto di interesse della PA a perseguire l'obiettivo originariamente considerato meritevole di soddisfacimento, non vi è alcun motivo ostativo all'accoglimento della domanda di restituzione del terreno occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, domanda basata sulla richiesta di applicazione delle disposizioni vigenti in tema di risarcimento del danno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 giugno esce la sentenza della sezione IV del Consiglio di Stato n.3331 onde il rimedio puramente risarcitorio in favore del proprietario del fondo va necessariamente subordinato alla definizione formale tra le parti dell'atto traslativo del diritto domenicale, in modo da rendere la situazione di diritto coerente con la situazione di fatto ormai consolidata.</p> <p style="text-align: justify;">Ad un tempo, va esclusa <em>in nuce</em> la violazione del divieto di arricchimento senza causa che altrimenti conseguirebbe all'illegittima locupletazione del privato, quale soggetto ancora formalmente titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il controvalore giusta pertinente risarcimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio viene varato il decreto legge n.98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, il cui art.34, comma 1, introduce nel D.p.R. 327.01, Testo Unico in materia espropriativa, l’art.42 bis e, con esso, la “<em>nuova</em>” acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">La norma, rubricata “<em>utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico</em>” prevede al comma 1 che, valutati gli interessi in conflitto, la PA che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente (e dunque <em>ex nunc</em>), al proprio patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del 10 per cento del valore venale del bene.</p> <p style="text-align: justify;">Il provvedimento di acquisizione, ai sensi del comma 2, può essere adottato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio; e può essere adottato, altresì, anche durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti testé indicati, se la PA che ha adottato l'atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell'interesse legale, vanno peraltro detratte da quelle dovute a titolo di indennizzo per acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua del successivo comma 3, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 e' determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7 del testo unico 327.01. Per il periodo di occupazione senza titolo e' computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del 5 per cento annuo sul valore siccome determinato secondo i criteri anzidetti.</p> <p style="text-align: justify;">Il provvedimento di acquisizione, recante l'indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, e' – in forza del comma 4 - specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla pertinente adozione; nell'atto e' liquidato l'indennizzo dovuto al privato e ne e' disposto il pagamento entro il termine di 30 giorni. L'atto va notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito (effettuato ai sensi dell'articolo 20, comma 14 del testo unico); e' soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell'Amministrazione procedente ed e' trasmesso in copia all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2 del testo unico ridetto.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il successivo comma 5, quando le disposizioni in tema di acquisizione sanante concernono un terreno che sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratti di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento e' di competenza dell'autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell'indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale e' pari al 20 per cento del valore venale del bene.</p> <p style="text-align: justify;">A titolo “<em>estensivo</em>”, il comma 6 afferma poi che le disposizioni in tema di acquisizione sanante si applicano, in quanto compatibili, anche quando e' imposta una servitù ed il bene pertinente continua ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l'autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.</p> <p style="text-align: justify;">La PA che adotta il provvedimento di acquisizione sanante ne deve dare comunicazione, entro 30 giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale (comma 7).</p> <p style="text-align: justify;">Infine, ai sensi del comma 8 e sul crinale diacronico (con norma improntata a consistente retroattività di effetti) le disposizioni dell’articolo 42 bis trovano applicazione anche ai fatti anteriori alla relativa entrata in vigore ed anche se vi e' già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle ancora dovute ai sensi del medesimo art.42 bis.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 luglio viene varata la legge n.111 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.98.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 settembre viene varato il decreto legislativo n.150 - recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 – secondo il cui art.29 le controversie aventi ad oggetto l'opposizione alla stima di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dall’articolo in parola (comma 1), competente essendo la Corte di Appello nel cui distretto si trova il bene espropriato (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">L'opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest'ultima sia successiva al decreto di esproprio; ma il termine e' di 60 giorni se il ricorrente risiede all'estero (comma 3); il pertinente ricorso va notificato all'autorità espropriante, al promotore dell'espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell'espropriazione, se attore e' il proprietario del bene, ovvero all'autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore e' il promotore dell'espropriazione; va inoltre notificato anche al concessionario dell'opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell'indennità (comma 4).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 novembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5844, onde il riferimento che il nuovo art.42 bis del TU 327.01 fa ai danni “<em>non patrimoniali</em>” va assunto afferente anche alla relativa componente in termini di danni “<em>morali</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6351, alla cui stregua la PA ha l'obbligo giuridico di far venire meno l'occupazione <em>sine titulo</em>, dovendo pertanto restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la riduzione in pristino, oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell’area da parte del soggetto attuale possessore.</p> <p style="text-align: justify;">Sulla base di tali presupposti il, per il Collegio va ordinato - <em>ope iudicis</em> appunto - alla PA di avviare un procedimento ai sensi dell'art. 42 bs, d.P.R. n. 327 del 2001, al fine di verificare l'eventuale sussistenza del presupposti per l’adozione del provvedimento acquisitivo.</p> <p style="text-align: justify;">Parte della dottrina dichiara peraltro esplicitamente di non condividere questa presa di posizione della giurisprudenza, dacché la decisione di procedere ai sensi dell'art. 42 bis del TU 327.01 viene assunta quale scelta autonoma dell’amministrazione, alla quale quest'ultima non può assumersi vincolata dalla sentenza d’annullamento degli atti espropriativi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 01 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.25718, alla cui stregua la competenza eccezionale in unico grado attribuita alla Corte d’Appello competente per territorio deve assumersi circoscritta alla domanda di determinazione dell'indennità dovuta al proprietario del bene espropriato ed a quelle accessorie di pagamento degli interessi e dell'eventuale maggior danno per il ritardato adempimento, ma non comprende anche la domanda diversa ed autonoma - per <em>petitum</em> e <em>causa petendi</em> - diretta a stabilire chi sia, nei rapporti interni, il soggetto che, in via di regresso, debba sopportare l’onere economico dell'indennità corrisposta all’espropriato, appartenendo il relativo giudizio al giudice di primo grado, secondo gli ordinari criteri della competenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.25862 alla cui stregua parte del rapporto espropriativo ed obbligato al pagamento dell'indennità nei confronti del proprietario espropriato e come tale legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima promosso è il soggetto espropriante, a favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione, anche nell'ipotesi di concorso di più enti nella realizzazione dell'opera pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 dicembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.6604 onde il giudizio di opposizione alla stima, avendo ad oggetto la quantificazione del debito dell'espropriante e del corrispondente credito dell’espropriato, inerisce a posizioni di diritto soggettivo ed è, quindi, devoluto alla giurisdizione del GO, giacché la stima costituisce espressione di mera valutazione tecnica nell’applicazione di criteri liquidatori direttamente fissati dalla legge e non è, pertanto, atto suscettibile di degradare di affievolire le posizioni soggettive che vengono in discussione nel giudizio di opposizione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.702 alla cui stregua se il decreto di esproprio non è notificato, il termine di 30 giorni per la proposizione dell'opposizione alla stima innanzi alla competente Corte d’Appello non comincia a decorrere.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2329 onde l'opposizione alla stima è giudizio che ha ad oggetto l'accertamento della giusta indennità dovuta al privato ablato, il giudice non essendo in alcun modo vincolato alle domande delle parti, espropriato ed espropriante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2774 onde nel caso in cui il provvedimento di acquisizione sanante sia adottato per realizzare un programma di edilizia convenzionata, non sussiste il presupposto dell'intervento di riforma economico-sociale che giustifica la riduzione del 25% del valore venale del bene ai fini della determinazione dell'indennità, dovendo tale “<em>intervento di riforma economico-sociale</em>“ riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza una previsione normativa che in tal senso lo definisca.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1438 alla cui stregua il legislatore dell’art.42 bis TU 327.01 – in materia di ristoro del privato che abbia subito una occupazione illegittima poi sfociata in acquisizione sanante - ha previsto un mutamento del titolo della pretesa del privato medesimo (indennizzo in luogo di risarcimento del danno), che di per sé risulta dunque ormai sottoposta alla cognizione del GO, ai sensi dell’art. 133, comma I, lett. f), c.p.a., per il quale non sussiste la giurisdizione esclusiva del GA quando si tratti della determinazione e della corresponsione “<em>delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa</em>”, nel cui novero rientra senz'altro quella di cui al ridetto art.42 bis.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, su altro crinale, l’art.42 bis del T.U. n. 327 del 2011 non viola i principi della Carta costituzionale, in quanto introduce una disciplina sensibilmente diversa rispetto al previgente art. 43 dello stesso testo unico, tale da superare ogni possibile profilo di conflitto con la normativa costituzionale e con la disciplina CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 09 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Calabria, Catanzaro, n.434 onde il giudizio di opposizione alla stima, avendo ad oggetto la quantificazione del debito dell'espropriante e del corrispondente credito dell’espropriato, inerisce a posizioni di diritto soggettivo ed è, quindi, devoluto alla giurisdizione del GO, giacché la stima costituisce espressione di mera valutazione tecnica nell’applicazione di criteri liquidatori direttamente fissati dalla legge e non è, pertanto, atto suscettibile di degradare o di affievolire le posizioni soggettive che vengono in discussione nel pertinente giudizio di opposizione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1777 alla cui stregua quando si proceda all’espropriazione di un bene indiviso, l'opposizione del singolo comproprietario alla stima dell'indennità effettuata in sede amministrativa estende i propri effetti anche agli altri comproprietari, con la conseguenza che il giudice deve determinare l’indennità ridetta in rapporto al bene considerato nel relativo complesso ed unità, e non alle singole quote spettanti ai compartecipi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7906 alla cui stregua nel giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione, è da assumersi inammissibile la domanda svolta dal terzo (nella specie, l’impresa aggiudicataria - ed in parte concessionaria - delle aree espropriate) in surrogazione del Comune espropriante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 giugno esce la sentenza della II sezione del Tar Sardegna n.557, alla cui stregua gli atti di acquisizione sanante devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, data l'intrinseca e ben rilevante discrezionalità della pertinente determinazione che, in tale ambito, la PA procedente deve assumere, fatti salvi i casi di urgenza, debitamente motivata e comprovata, che giustifichino l’omissione di tale rilevante adempimento.</p> <p style="text-align: justify;">Su altro crinale, l'adozione degli atti di acquisizione sanante, avendo essi natura gestionale, rientra per il Tar nella competenza dei dirigenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.11147 onde il possesso continuato ed ininterrotto per 20 anni fa acquisire il fondo occupato alla PA per usucapione, dovendo assumersi a quel punto estinte – con riguardo al privato “<em>ablato</em>” - tanto la tutela reale (restitutoria) quanto quella obbligatoria (risarcimento del danno), dacché viene radicalmente meno il connotato di illiceità del contegno tenuto <em>ex parte publica</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 5 luglio esce la sentenza della sezione III del Tar Sicilia n.1402 onde il possesso continuato ed ininterrotto per 20 anni fa acquisire il fondo occupato alla PA per usucapione, dovendo assumersi a quel punto estinte – con riguardo al privato “<em>ablato</em>” - tanto la tutela reale (restitutoria) quanto quella obbligatoria (risarcimento del danno), dacché viene radicalmente meno il connotato di illiceità del contegno tenuto <em>ex parte publica</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.11053 onde le autorità amministrative - quali il Prefetto, il Presidente della Giunta regionale o il Sindaco – che hanno adottato il decreto di esproprio e quello di occupazione temporanea, devono rimanere estranee ai giudizi di opposizione alla stima dei relativi indennizzi ovvero al giudizio finalizzato ad ottenere da parte del privato il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, non essendo tali autorità identificabili con l’espropriante e neppure la loro attività riferibile, in base ad un rapporto d’immedesimazione organica, all’Amministrazione di appartenenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4650 alla cui stregua, in caso di occupazione <em>sine titulo</em> di un bene privato da parte della PA, l'illecito permane (anche a fini di decorrenza della prescrizione della pertinente azione risarcitoria) finché dura l’illegittima occupazione del bene senza che vi sia un eventuale titolo idoneo a determinare il trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto altro profilo, il Collegio ribadisce come l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non faccia venire meno l'obbligo della PA procedente di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, dovendosi ritenere superata – alla stregua della CEDU e, in particolare, del primo Protocollo addizionale - l'interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del bene effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’Amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza tanto il risarcimento del danno, quanto la restituzione del fondo con annessa riduzione in pristino stato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5189 che, riprendendo quanto già statuito dall’Adunanza Plenaria nella pronuncia 2.05, ribadisce come l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non faccia venire meno l'obbligo della PA procedente di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, dovendosi ritenere superata – alla stregua della CEDU e, in particolare, del primo Protocollo addizionale - l'interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del bene effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’Amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza tanto il risarcimento del danno, quanto la restituzione del fondo con annessa riduzione in pristino stato.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, peraltro, va escluso che si possa configurare un’ipotesi di acquisizione dell’area e degli immobili realizzati <em>ex parte publica</em> invocando l'istituto civilistico della specificazione ex art. 940 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.22174 che – inserendosi in un collaudato solco pretorio – ribadisce come in tema di tutela possessoria, ricorre spoglio violento (impeditivo dell’usucapione in capo a chi lo opera) anche in ipotesi di privazione dell'altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest'ultimo, sussistendone la presunzione di volontà contraria ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca e non interpretabile come espressione di acquiescenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 gennaio esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana n.9 onde il possesso continuato ed ininterrotto per 20 anni fa acquisire il fondo occupato alla PA per usucapione, dovendo assumersi a quel punto estinte – con riguardo al privato “<em>ablato</em>” - tanto la tutela reale (restitutoria) quanto quella obbligatoria (risarcimento del danno), dacché viene radicalmente meno il connotato di illiceità del contegno tenuto <em>ex parte publica</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia n.533 onde il tenore dell'art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001 è sensibilmente diverso nel relativo contenuto precettivo rispetto al previgente art. 43 del medesimo decreto, pur conservando la medesima rubrica.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, più in specie, il provvedimento di acquisizione coattiva introdotto dall’intervenuta novella legislativa si configura come un nuovo atto, omogeneo a quello di esproprio, previsto per il caso in cui la P.A. già detenga il bene e lo utilizzi per ragioni di pubblico interesse, che opera <em>ex nunc</em> e che quindi non vale a sanare ed eliminare il precedente illecito.</p> <p style="text-align: justify;">Il provvedimento di acquisizione di cui all'art. 42 bis, chiosa ancora il Collegio, non configura un <em>tertium genus</em> rispetto al provvedimento espropriativo o alla cessione volontaria, atteggiandosi piuttosto a rimedio del quale l'Amministrazione può avvalersi ove la procedura espropriativa sia stata riscontrata affetta da illegittimità sicché, ove non voglia divenire proprietaria del fondo illegittimamente occupato, essa può non avvalersene, restituendolo e liquidando i danni al privato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 21 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4229 onde il tenore dell'art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001 è sensibilmente diverso nel relativo contenuto precettivo rispetto al previgente art. 43 del medesimo decreto, pur conservando la medesima rubrica.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, più in specie, il provvedimento di acquisizione coattiva introdotto dall’intervenuta novella legislativa si configura come un nuovo atto, omogeneo a quello di esproprio, previsto per il caso in cui la P.A. già detenga il bene e lo utilizzi per ragioni di pubblico interesse, che opera <em>ex nunc</em> e che quindi non vale a sanare ed eliminare il precedente illecito.</p> <p style="text-align: justify;">Il provvedimento di acquisizione di cui all'art. 42 bis, chiosa ancora il Collegio, non configura un <em>tertium genus</em> rispetto al provvedimento espropriativo o alla cessione volontaria, atteggiandosi piuttosto a rimedio del quale l'Amministrazione può avvalersi ove la procedura espropriativa sia stata riscontrata affetta da illegittimità sicché, ove non voglia divenire proprietaria del fondo illegittimamente occupato, essa può non avvalersene, restituendolo e liquidando i danni al privato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 agosto esce l’ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4318 onde l’ordinamento giuridico non esclude la possibilità per le parti privata e pubblica di accordarsi per una cessione bonaria dell'immobile espropriando alla Pubblica amministrazione, con contestuale accordo per il ristoro dei danni eventualmente derivati al privato dall'occupazione illegittima subita.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 novembre esce la sentenza della sezione III del Tar Puglia, Lecce, n.2310, onde il possesso continuato ed ininterrotto per 20 anni fa acquisire il fondo occupato alla PA per usucapione, dovendo assumersi a quel punto estinte – con riguardo al privato “<em>ablato</em>” - tanto la tutela reale (restitutoria) quanto quella obbligatoria (risarcimento del danno), dacché viene radicalmente meno il connotato di illiceità del contegno tenuto <em>ex parte publica</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 gennaio esce l’ordinanza delle SSUU n.441 che assume non manifestamente infondata - con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111 e 117, comma 1, Cost., anche alla luce dell'art. 6 CEDU e dell’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del decreto legge n. 98.11, convertito con modifiche dalla legge 111.11, laddove ha introdotto l'art. 42 bis nel T.U. degli espropri, sul duplice rilievo onde: a) la “<em>legalizzazione dell’illegale</em>” non è consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tampoco ad un provvedimento amministrativo che sia di essa attuativo, quale è quello che disponga la reintroduzione nel sistema dell’acquisizione sanante; b) rivive con la norma in parola la possibilità per la PA che utilizza un bene privato senza titolo per scopi di interesse pubblico di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la riduzione in pristino stato) attraverso il ricorso ad un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile, che sostituisce il procedimento ablativo prefigurato dal tu. espropriazioni, e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato - con dubbio di elusione delle garanzie poste dall’art. 42 Cost. a tutela della proprietà privata - il quale assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, sintetizzando <em>uno actu</em> lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 gennaio esce la sentenza della sezione I del Tar Umbria n.41 alla cui stregua l'applicazione dell’art. 1158 c.c. in tema di usucapione alla Pubblica Amministrazione che abbia occupato <em>sine titulo</em> il bene di un privato nel contesto di un procedimento espropriativo desta seri dubbi di coerenza costituzionale — anche nella prospettiva dell'art. 117 Cost., in relazione all'applicazione della CEDU — sul presupposto onde l’apprensione materiale del ridetto bene da parte della PA al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di una acquisizione sanante ex art. 42-bis T.U. n. 327 del 2001, se idonea a costituire possesso utile ai fini appunto dell'acquisto per usucapione, farebbe correre il rischio di una surrettizia reintroduzione nell'ordinamento interno di forme di espropriazione indiretta o larvata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 giugno esce l’ordinanza della sezione II del Tar del Lazio n.5979 che assume rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 bis del T.U. espropriazioni per presunto contrasto con gli artt. 3, 24, 42, 97 Cost., nonché con l’art.117, comma 1, Cost, anche alla luce dell’art. 6 CEDU e dell’art. 1 del I Protocollo Addizionale della Convenzione.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio la disposizione impugnata, reintroducendo una sorta di procedimento ablativo semplificato in favore della PA che utilizzi senza titolo un bene privato per scopi di interesse pubblico, si pone in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza e di ragionevolezza intrinseca, con la garanzia della proprietà privata rintracciabile anche in vincoli derivanti da obblighi internazionali, con il principio della legalità dell’azione amministrativa, riservando all’Amministrazione un ingiustificato trattamento privilegiato, tale da consentirle l'acquisizione del beni al patrimonio pubblico per effetto di un suo comportamento <em>contra ius</em>, di cui essa si avvantaggia anche nella determinazione dell’indennizzo o risarcimento dovuto al proprietario privato rispetto al ristoro altrimenti spettante nel caso di legittimo procedimento espropriativo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3346, che ribadisce come l'applicazione dell’art. 1158 c.c. in tema di usucapione alla Pubblica Amministrazione che abbia occupato <em>sine titulo</em> il bene di un privato nel contesto di un procedimento espropriativo desti seri dubbi di coerenza costituzionale — anche nella prospettiva dell'art. 117 Cost., in relazione all'applicazione della CEDU — sul presupposto onde l’apprensione materiale del ridetto bene da parte della PA al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di una acquisizione sanante ex art. 42-bis T.U. n. 327 del 2001, se idonea a costituire possesso utile ai fini appunto dell'acquisto per usucapione, farebbe correre il rischio di una surrettizia reintroduzione nell'ordinamento interno di forme di espropriazione indiretta o larvata.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio soggiunge che, sul crinale civilistico, occorre por mente all’ampia nozione di “<em>violenza</em>” del possesso – che, ove ricorra, esclude la stessa configurabilità di un possesso <em>ad usucapionem</em> – siccome elaborata in giurisprudenza, onde va presunta la volontà contraria del proprietario del fondo laddove difetti la prova di una manifestazione univoca del relativo consenso.</p> <p style="text-align: justify;">Va poi tenuto in debito conto proprio l’art.1 del Protocollo addizionale alla CEDU e la relativa nozione di espropriazione indiretta o larvata, come tale da assumersi illegittima, siccome elaborata dalla Corte EDU, nonché l'ingiustizia degli esiti ai quali condurrebbe la retroattività reale dell’usucapione (laddove quest’ultima venga ammessa), idonea proprio perché retroattiva ad estinguere anche ogni pretesa risarcitoria del privato nei confronti della PA.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 3 luglio esce l’ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3347, che rinvia alla decisione dell’Adunanza Plenaria la questione se, nella fase di ottemperanza ad una sentenza avente ad oggetto la demolizione di atti afferenti ad una procedura espropriativa, rientri o meno tra i poteri sostitutivi del GA, e per esso, del commissario <em>ad acta</em>, l’adozione della procedura semplificata dì cui all'art, 42 bis TU 327.01.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4203 onde il potere di disporre l’acquisizione ex art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n 327 di un'area di proprietà privata occupata senza titolo è da assumersi espressione del più generale potere di amministrazione attiva che compete agli enti pubblici, ai quali il GA non può sostituirsi al di fuori dei casi di giurisdizione estesa al merito; di conseguenza, la valutazione degli interessi in gioco e la conseguente decisione in ordine all'acquisizione o alla restituzione del bene rimane nella sfera di discrezionalità dell’Amministrazione, mentre il giudice può essere adito in sede di ottemperanza solo nell'ipotesi in cui l’Amministrazione non restituisca il bene immobile, né provveda all'adozione del provvedimento di acquisizione, ma non quando la stessa, all'esito di una rinnovata ed autonoma valutazione degli interessi in conflitto, decida di acquisire al proprio patrimonio indisponibile il bene in forza dei poteri espressamente riconosciutigli dall'ordinamento, della legittimità dei quali conosce il giudice della cognizione e non già quello dell’ottemperanza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.735, che si occupa dell'illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e dell'irreversibile trasformazione del relativo terreno per la costruzione di un'opera pubblica, sconfessando definitivamente – in sede di risoluzione del relativo contrasto di giurisprudenza dopo le note prese di posizione della CEDU - la legittimità dell’occupazione appropriativa.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la Corte, nel caso classico finora additato quale occupazione acquisitiva - e dunque anche quando vi sia stata valida dichiarazione di pubblica utilità – non si configura un acquisto dell'area occupata da parte dell'Amministrazione, con la conseguenza onde il privato ha diritto di chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al proprio diritto dominicale e chiedere il risarcimento del danno. Sempre il privato, soggiunge la Corte, ha poi diritto al risarcimento dei danni per il periodo (non coperto dall'eventuale occupazione legittima) nel corso del quale abbia subito la perdita delle utilità ricavabili dal proprio terreno e ciò sino al momento della restituzione, laddove abbia chiesto detta restituzione, ovvero sino al momento in cui ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno, laddove abbia optato per questo secondo esito.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte precisa, con riguardo alla prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni, che essa decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente. Le Sezioni unite, sotto altro profilo, escludono che la sopravvivenza o meno dell’istituto dell’occupazione appropriativa, per le vicende espropriative antecedenti l’entrata in vigore del Testo Unico, possa argomentarsi in ragione della retroattività dell’art. 42- <em>bis</em> (che ha sostituito l’art. 43 dichiarato costituzionalmente illegittimo), il definitivo declino dell’istituto dell’espropriazione indiretta dovendosi unicamente ricondurre al relativo, inequivocabile contrasto con le norme CEDU, come già affermato dalle ordinanze delle sezioni unite 441 e 442 del 13 gennaio 2014, che hanno sollevato questione di legittimità costituzionale proprio dell’art. 42-<em>bis</em> del d.p.r. 327.01.</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, per le SSUU il contrasto dell'istituto dell'occupazione acquisitiva con l'art. 1 del I Protocollo addizionale alla Convenzione EDU è sufficiente per escluderne la sopravvivenza nel nostro ordinamento.</p> <p style="text-align: justify;">L’importanza di questa pronuncia risiede nel fatto che ormai sia l’occupazione acquisitiva sia – <em>a fortiori</em> - quella usurpativa sono da considerarsi come un illecito comune capace solo di rendere la PA responsabile di tale illecito, senza alcuna possibilità che ne discenda un acquisto della proprietà del bene privato: in sostanza, la distinzione tra occupazione acquisitiva ed usurpativa è ormai sostanzialmente irrilevante.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte, non si tratta di illecito istantaneo ad effetti permanenti, ma di illecito permanente (come fino ad ora affermato per la c.d. occupazione usurpativa), che cessa in via alternativa o con la restituzione del bene abusivamente occupato al privato proprietario, o con la compiuta usucapione da parte della PA occupante (in difetto di opposizione da parte del privato che la subisce), ovvero con la rinuncia abdicativa del privato medesimo al diritto di proprietà sul bene, che è da assumersi implicita nella relativa richiesta di risarcimento del danno per equivalente.</p> <p style="text-align: justify;">Solo per le occupazioni avvenute dopo il 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.p.R. n.327 del 2001, esiste anche l’alternativa dell’acquisizione sanante ex art.42.bis del D.p.R. medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 marzo esce l’ordinanza della II sezione del Tar Lazio n.131 che torna sulla questione della compatibilità con la Carta costituzionale del nuovo art. 42 bis, d.P.R. n. 327 de 2001, promuovendone nuovo scrutinio di costituzionalità con riferimento agli artt, 3, 24, 42, 97 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 aprile esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2126 onde - seppure l'art. 42 bis del T.U. espropri non fissa alcun termine per adottare il provvedimento di acquisizione sanante, capace di porre fine alla pertinente situazione di illiceità - ciò non significa certamente che la P.A. conservi un potere di dilazionare <em>sine die</em> l'applicazione della norma, ritardando in modo indebito l’esercizio dell'opzione da essa prevista, ovvero la restituzione del fondo o l'adozione del decreto di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.71 che dichiara il meccanismo di cui all’art.42-bis del T.U. sulle espropriazioni (c.d. acquisizione sanante), compatibile con i principi CEDU, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo. Si tratta dunque di un modo di acquisto della proprietà per via provvedimentale a seguito di una procedura espropriativa illegittima previsto dalla legge e giudicato sia costituzionalmente che convenzionalmente legittimo.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 42-bis – premette la Corte - è stato introdotto nel T.U. sulle espropriazioni dall’art. 34, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, dopo che la Consulta medesima, con <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2010/0293s-10.html">sentenza n. 293 del 2010</a>, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, dell’art. 43 del medesimo T.U. sulle espropriazioni, che disciplinava un istituto affine.</p> <p style="text-align: justify;">È utile per il Collegio partire dalla sommaria descrizione del contesto, anche giurisprudenziale, nel quale sono stati inseriti, dapprima l’art. 43, e poi l’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni. Come è noto, in presenza di una serie di patologie rilevabili nei procedimenti amministrativi di espropriazione, la giurisprudenza di legittimità aveva elaborato gli istituti dell’occupazione «<em>appropriativa</em>» ed «<em>usurpativa</em>».</p> <p style="text-align: justify;">In sintesi, la prima era caratterizzata da una anomalia del procedimento espropriativo, a causa della relativa mancata conclusione con un formale atto ablativo, mentre la seconda era collegata alla trasformazione del fondo di proprietà privata, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità. Nel primo caso (a partire dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 26 febbraio 1983, n. 1464), l’acquisto della proprietà conseguiva ad un’inversione della fattispecie civilistica dell’accessione di cui agli artt. 935 e seguenti cod. civ., in considerazione della trasformazione irreversibile del fondo. Secondo questa ricostruzione, la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato comportava l’acquisto a titolo originario, da parte dell’ente pubblico, della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato.</p> <p style="text-align: justify;">La successiva sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 10 giugno 1988, n. 3940, precisò poi la figura della «<em>occupazione acquisitiva</em>», limitandola al caso in cui si riscontrasse una valida dichiarazione di pubblica utilità che permetteva di far prevalere l’interesse pubblico su quello privato. L’«<em>occupazione usurpativa</em>», invece, non accompagnata da dichiarazione di pubblica utilità, <em>ab initio</em> o per effetto dell’intervenuto annullamento del relativo atto o per scadenza dei relativi termini, in quanto tale non determinava l’effetto acquisitivo a favore della pubblica amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni per eccesso di delega, la Corte (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2010/0293s-10.html">sentenza n. 293 del 2010</a>) ha rilevato che l’intervento della PA sulle procedure ablatorie, come disciplinato dalla norma da ultimo richiamata, eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa Amministrazione che aveva commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato (in sostanza, la restituzione del bene).</p> <p style="text-align: justify;">Nella medesima pronuncia, la Corte aveva, inoltre, prospettato in termini dubitativi la compatibilità del meccanismo di “<em>acquisizione sanante</em>”, per come disciplinato dalla norma allora impugnata, con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Quest’ultima, infatti, sia pure incidentalmente, ha più volte osservato che l’espropriazione cosiddetta indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all’Amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da «<em>azioni illegali</em>». Ciò accade sia allorché tale situazione costituisca conseguenza di un’interpretazione giurisprudenziale, sia allorché derivi da una legge (con espresso riferimento all’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni), in quanto l’espropriazione indiretta non può comunque costituire un’alternativa ad un’espropriazione adottata secondo «<em>buona e debita forma</em>» (<a href="http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-72008">sentenza 12 gennaio 2006, Sciarrotta e altri contro Italia</a>).</p> <p style="text-align: justify;">È dunque opportuno – chiosa a questo punto il Collegio - che lo scrutinio della norma censurata nel presente giudizio di legittimità costituzionale sia preceduto da un relativo raffronto con l’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni, dovendosi, dapprima, stabilire se il nuovo meccanismo acquisitivo risulti disciplinato in modo difforme rispetto a quello previsto dal precedente art.43, e successivamente valutare la consistenza delle censure mosse dalle ordinanze di rimessione.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni ha certamente reintrodotto la possibilità, per l’Amministrazione che utilizza senza titolo un bene privato per scopi di interesse pubblico, di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la riduzione in pristino stato), attraverso un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile. Tale atto sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni, e si pone, a propria volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza <em>uno actu</em> lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, il nuovo meccanismo acquisitivo presenta significative differenze rispetto all’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni. La nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto in giurisprudenza sull’art. 43 appena citato, dispone espressamente che l’acquisto della proprietà del bene da parte della PA avvenga <em>ex nunc</em>, solo al momento dell’adozione dell’atto di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato). Inoltre, la norma censurata impone uno specifico obbligo motivazionale “<em>rafforzato</em>” in capo alla PA procedente, che deve indicare le circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio. La motivazione, in particolare, deve esibire le «<em>attuali ed eccezionali</em>» ragioni di interesse pubblico che giustificano l’adozione dell’atto, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, e deve, altresì, evidenziare l’assenza di ragionevoli alternative alla pertinente adozione.</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, nel computo dell’indennizzo viene fatto rientrare non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del 10 per cento del valore venale del bene. Ciò costituisce sicuramente un ristoro supplementare rispetto alla somma che sarebbe spettata nella vigenza della precedente disciplina. Il passaggio del diritto di proprietà, inoltre, è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione. La nuova disciplina si applica non solo quando manchi del tutto l’atto espropriativo, ma anche laddove sia stato annullato – o impugnato a tal fine, nel qual caso occorre il previo ritiro in autotutela da parte della medesima PA – l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, oppure la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera oppure, ancora, il decreto di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;">Non è stata più riproposta la cosiddetta acquisizione in via giudiziaria, precedentemente prevista dal comma 3 dell’art. 43, ed in virtù della quale l’acquisizione del bene in favore della PA poteva realizzarsi anche per effetto dell’intervento di una pronuncia del GA, volta a paralizzare l’azione restitutoria proposta dal privato. Non secondaria, nell’economia complessiva del nuovo istituto, è infine la previsione (non presente nel precedente art. 43) in base alla quale l’autorità che emana il provvedimento di acquisizione ne dà comunicazione, entro 30 giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale. Si è, dunque, in presenza di un istituto diverso da quello disciplinato dall’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni.</p> <p style="text-align: justify;">Occorre ora – prosegue la Corte - esaminare partitamente le censure mosse dalle ordinanze di rimessione, con riferimento ai singoli parametri evocati. La prima censura attiene al supposto contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Il parametro di cui all’art. 3 Cost. viene invocato dai giudici rimettenti sotto il duplice versante della violazione del principio di eguaglianza – con profili involgenti anche la violazione dell’art. 24 Cost., <em>sub specie</em> di compressione del diritto di difesa – e dell’intrinseca irragionevolezza della norma impugnata. La questione non è fondata. Quanto al primo versante della questione così posta, i giudici rimettenti rilevano che la norma riserverebbe un trattamento privilegiato alla PA rispetto a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento che abbia commesso un fatto illecito, pur in mancanza di un pregresso effettivo esercizio di funzione amministrativa e, dunque, sulla base della sola qualifica soggettiva dell’autore della condotta.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la violazione del principio di eguaglianza sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ma non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (<em>ex plurimis</em>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0155s-14.html">sentenza n. 155 del 2014</a>; <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2009/0041o-09.html">ordinanze n. 41 del 2009</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2004/0109o-04.html">n. 109 del 2004</a>), sempre con il limite generale dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2013/0085s-13.html">sentenza n. 85 del 2013</a>). Nel caso di specie, i giudici rimettenti omettono di considerare che, se pure il presupposto di applicazione della norma sia «<em>l’indebita utilizzazione dell’area</em>» – ossia una situazione creata dalla PA in carenza di potere (per la mancanza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilità dell’opera o per l’annullamento o la perdita di efficacia di essa) – tuttavia l’adozione dell’atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è certamente espressione di un potere attribuito appositamente dalla norma impugnata alla stessa PA. Con l’adozione di tale atto, quest’ultima riprende a muoversi nell’alveo della legalità amministrativa, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione degli scopi di pubblica utilità perseguiti, sebbene emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni del privato cittadino. Sotto questo punto di vista, trascurato dai rimettenti, la situazione appare conforme alla giurisprudenza della Corte, secondo cui «[…] <em>la P.A. ha una posizione di preminenza in base alla Costituzione non in quanto soggetto, ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della P.A. che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici ad essa assegnati</em>» (così la <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1981/0138s-81.html">sentenza n. 138 del 1981</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Di conseguenza, prosegue la Corte, neppure potrebbe dirsi violato l’art. 24 Cost., come sostengono i rimettenti. Tale norma costituzionale è infatti posta a presidio del diritto alla tutela giurisdizionale (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2013/0032o-13.html">ordinanza n. 32 del 2013</a>), assumendo così una valenza processuale (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2009/0244o-09.html">ordinanze n. 244 del 2009</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2007/0180o-07.html">n. 180 del 2007</a>). In particolare, l’art. 24, come pure il successivo art. 113 Cost., enunciano il principio dell’effettività del diritto di difesa, il primo in ambito generale, il secondo con riguardo alla tutela contro gli atti della pubblica amministrazione, ed entrambi tali parametri sono volti a presidiare l’adeguatezza degli strumenti processuali posti a disposizione dall’ordinamento per la tutela in giudizio dei diritti, operando esclusivamente sul piano processuale (in tal senso, <em>ex plurimis</em>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2009/0020s-09.html">sentenza n. 20 del 2009</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Ne deriva che la violazione di tale parametro costituzionale può considerarsi sussistente solo nei casi di «<em>sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2007/0237s-07.html">sentenza n. 237 del 2007</a>) o di imposizione di oneri tali da compromettere irreparabilmente la tutela stessa (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2005/0213o-05.html">ordinanza n. 213 del 2005</a>) e non anche nel caso in cui, come nella specie, la norma censurata non elimini affatto la possibilità di usufruire della tutela giurisdizionale (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2013/0085s-13.html">sentenza n. 85 del 2013</a>). Tale tutela viene bensì parzialmente “<em>conformata</em>”, in modo da garantire comunque un serio ristoro economico, prevedendosi l’esclusione delle sole azioni restitutorie; ma queste ultime non sarebbero congruamente esperibili rispetto ad un comportamento non più qualificato in termini di illecito. In definitiva, il diritto alla tutela giurisdizionale, a presidio del quale la norma costituzionale invocata è posta (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2012/0015s-12.html">sentenza n. 15 del 2012</a>), non risulta violato dalla disposizione censurata.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto altro aspetto, sempre secondo i giudici rimettenti, la violazione del principio di eguaglianza risulterebbe dal fatto che l’indennizzo previsto dalla norma censurata sarebbe ingiustificatamente inferiore nel confronto con l’espropriazione in via ordinaria dello stesso immobile. In realtà, la norma attribuisce al privato proprietario il diritto ad ottenere il ristoro del danno patrimoniale nella misura pari al valore venale del bene (così come accade per l’espropriazione condotta nelle forme ordinarie), oltre ad una somma a titolo di danno non patrimoniale, quantificata in misura pari al 10 per cento del valore venale del bene. Si è perciò in presenza di un importo ulteriore, non previsto per l’espropriazione condotta nelle forme ordinarie, determinato direttamente dalla legge, in misura certa e prevedibile. E deve sottolinearsi che il privato, in deroga alle regole ordinarie, è in tal caso sollevato dall’onere della relativa prova. Quanto all’indennità dovuta per il periodo di occupazione illegittima antecedente al provvedimento di acquisizione, è vero che essa viene determinata in base ad un parametro riduttivo rispetto a quello cui è commisurato l’analogo indennizzo per la (legittima) occupazione temporanea dell’immobile, ma il terzo comma della norma impugnata contiene una clausola di salvaguardia, in base alla quale viene fatta salva la prova di una diversa entità del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Sollecitano i giudici rimettenti un ulteriore vaglio di conformità al principio di eguaglianza, in quanto nel sistema delineato dalla norma censurata il bene privato detenuto <em>sine titulo</em> sarebbe sottoposto in perpetuo al sacrificio dell’espropriazione, mentre nel procedimento ordinario di espropriazione l’esposizione al pericolo dell’adozione del provvedimento acquisitivo è temporalmente limitata all’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità. La norma impugnata, in effetti, non prevede alcun termine per l’esercizio del potere riconosciuto alla PA. Ma i rimettenti non hanno preso in considerazione le molteplici soluzioni, elaborate dalla giurisprudenza amministrativa, per reagire all’inerzia della pubblica amministrazione autrice dell’illecito: a seconda degli orientamenti, infatti, talvolta è stato posto a carico del proprietario l’onere di esperire il procedimento di messa in mora, per poi impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto dell’amministrazione; in altri casi, è stato riconosciuto al GA anche il potere di assegnare all’amministrazione un termine per scegliere tra l’adozione del provvedimento di cui all’art. 42-bis e la restituzione dell’immobile. È dunque possibile scegliere – tra le molteplici elaborate – un’interpretazione idonea ad evitare il pregiudizio consistente nell’asserita esposizione in perpetuo al potere di acquisizione, senza in alcun modo forzare la lettera della disposizione (per tutte, tra le più recenti, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0235s-14.html">sentenza n. 235 del 2014</a>).</p> <p style="text-align: justify;">I rimettenti lamentano infine, chiosa ancora la Corte, l’intrinseca irragionevolezza dell’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni, con presunta violazione dell’art. 3 Cost. anche sotto questo profilo. Secondo i giudici rimettenti, in primo luogo, la norma avrebbe trasformato il precedente regime risarcitorio in un indennizzo derivante da atto lecito, che di conseguenza assumerebbe natura di debito di valuta, non automaticamente soggetto alla rivalutazione monetaria. Lamentano, inoltre, i rimettenti che il ristoro economico assicurato resterebbe pur sempre inferiore nel confronto con l’espropriazione per le vie ordinarie dello stesso immobile, in quanto: a) ove il fondo abbia destinazione edificatoria, non è riconosciuto l’aumento del 10 per cento di cui all’art. 37, comma 2, del T.U. sulle espropriazioni, non richiamato dalla norma impugnata; b) se il terreno è agricolo, non è applicabile il precedente art. 40, comma 1, che impone di tener conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e «<em>del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola</em>».</p> <p style="text-align: justify;">È noto che lo scrutinio di ragionevolezza, in ambiti connotati da un’ampia discrezionalità legislativa, impone alla Corte di verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «<em>attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1988/1130s-88.html">sentenza n. 1130 del 1988</a>). Orbene, alla luce di tali premesse, anche queste censure non sono fondate. Quanto a quella relativa alla mutata natura del ristoro, la norma prevede bensì la corresponsione di un indennizzo, ma determinato in misura corrispondente al valore venale del bene e con riferimento al momento del trasferimento della proprietà di esso, sicché non vengono in considerazione somme che necessitano di una rivalutazione. Quanto alle restanti censure, è appena il caso di sottolineare per il Collegio che l’aumento del 10 per cento previsto dal comma 2 dell’art. 37 del T.U. sulle espropriazioni non si applica a tutte le procedure, ma solo nei casi in cui sia stato concluso l’accordo di cessione (o quando esso non sia stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato, ovvero perché a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva), senza contare che ai destinatari del provvedimento di acquisizione spetta sempre un <em>surplus</em> pari proprio al 10 per cento del valore venale del bene, a titolo di ristoro del danno non patrimoniale.</p> <p style="text-align: justify;">Va, ancora, considerato che l’inapplicabilità del comma 1 dell’art. 37 del T.U. sulle espropriazioni (pure non richiamato dalla norma censurata per i terreni a vocazione edilizia) esclude anche la riduzione del 25 per cento dell’indennizzo – prevista invece per le espropriazioni legittime – imposta quando la vicenda è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale. Infine, i giudici rimettenti – basandosi sul solo dato letterale e trascurando una visione di sistema − non hanno sperimentato la praticabilità di un’interpretazione che, facendo riferimento genericamente al «<em>valore venale del bene</em>», consenta di ritenere riconducibili ad esso anche le somme corrispondenti al valore delle colture effettivamente praticate sul fondo e al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, previsti dall’art. 40 del T.U. sulle espropriazioni. La stessa obiezione può essere mossa alla censura secondo cui la norma impugnata non contemplerebbe l’ipotesi di espropriazione parziale e non consentirebbe, per questo motivo, di tener conto della diminuzione di valore del fondo residuo, invece indennizzata fin dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359, recante «<em>Espropriazioni per causa di utilità pubblica</em>» (art. 40, ora trasfuso nell’art. 33 del T.U. sulle espropriazioni).</p> <p style="text-align: justify;">I giudici rimettenti dubitano poi – prosegue la Corte - della compatibilità della norma censurata con l’art. 42 Cost. In particolare, ritengono che l’art. 42 Cost. – disciplinando la potestà espropriativa come avente carattere eccezionale, esercitabile solo nei casi in cui sia la legge a prevederla e nella necessaria ricorrenza di «<em>motivi di interesse generale</em>» – imponga che questi ultimi siano predeterminati dall’amministrazione ed emergano da un apposito procedimento, anteriormente al sacrificio del diritto di proprietà. L’emersione del pubblico interesse, culminante nell’adozione della dichiarazione di pubblica utilità, dovrebbe perciò risultare da una fase preliminare, autonoma e strumentale rispetto al successivo procedimento espropriativo in senso stretto, cioè in un momento in cui sia possibile un’effettiva comparazione tra l’interesse pubblico e l’interesse privato, al fine di evidenziare la scelta migliore, quando eventuali ipotesi alternative all’espropriazione non siano ostacolate da una situazione fattuale ormai irreversibilmente compromessa.</p> <p style="text-align: justify;">La questione, così posta, non è fondata, nei sensi qui di seguito indicati. Da una parte, la norma censurata delinea pur sempre una procedura espropriativa, che in quanto tale non può non presentare alcune caratteristiche essenziali. Ma non si deve trascurare, dall’altra parte, che si tratta di una procedura “<em>eccezionale</em>”, che ha necessariamente da confrontarsi con la situazione fattuale chiamata a risolvere, in cui la previa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera sarebbe distonica rispetto ad un’opera pubblica già realizzata. La norma censurata presuppone evidentemente una già avvenuta modifica dell’immobile, utilizzato per scopi di pubblica utilità: da questo punto di vista, non è congrua la pretesa che l’adozione del provvedimento di acquisizione consegua all’esito di un procedimento scandito in fasi logicamente e temporalmente distinte, esattamente come nella procedura espropriativa condotta nelle forme ordinarie. Si è, invece, in presenza di una procedura espropriativa che, sebbene necessariamente “<em>semplificata</em>” nelle forme, si presenta “<em>complessa</em>” negli esiti, prevedendosi l’adozione di un provvedimento «<em>specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione</em>».</p> <p style="text-align: justify;">L’adozione del provvedimento acquisitivo presuppone, appunto, una valutazione comparata degli interessi in conflitto, qualitativamente diversa da quella tipicamente effettuata nel normale procedimento espropriativo. E l’assenza di ragionevoli alternative all’adozione del provvedimento acquisitivo va intesa in senso pregnante, in stretta correlazione con le eccezionali ragioni di interesse pubblico richiamate dalla disposizione in esame, da considerare in comparazione con gli interessi del privato proprietario. Non si tratta, soltanto, di valutare genericamente una eccessiva difficoltà od onerosità delle alternative a disposizione dell’amministrazione, secondo un principio già previsto in generale dall’art. 2058 cod. civ. Per risultare conforme a Costituzione, l’ampiezza della discrezionalità amministrativa va delimitata alla luce dell’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione <em>sine titulo</em> e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, la quale ultima non risulta mutata neppure a seguito di trasformazione irreversibile del fondo.</p> <p style="text-align: justify;">Ne deriva che l’adozione dell’atto acquisitivo è consentita esclusivamente allorché costituisca l’<em>extrema ratio</em> per la soddisfazione di “<em>attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico</em>”, come recita lo stesso art. 42-bis del T.U. delle espropriazioni. Dunque, solo quando siano stati escluse, all’esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita, e non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel relativo diritto di proprietà. Soltanto sotto questa luce tornano ad essere valorizzati – pur in assenza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilità o in caso di relativo annullamento o perdita di efficacia – i «<em>motivi di interesse generale</em>» presupposti dall’art. 42 Cost., secondo il quale il diritto di proprietà può essere compresso «<em>sol quando lo esiga il limite della “funzione sociale”</em> […]: <em>funzione sociale, la quale esprime, accanto alla somma dei poteri attribuiti al proprietario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali, nel che si sostanzia la nozione stessa del diritto di proprietà come viene modernamente intesa e come è stata recepita dalla nostra Costituzione</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1986/0108s-86.html">sentenza n. 108 del 1986</a>). Soltanto adottando questa prospettiva ermeneutica, l’attribuzione del potere ablatorio (in questa forma eccezionale) può essere ritenuta legittima, sulla scia della giurisprudenza costituzionale che impone alla legge ordinaria di indicare «<em>elementi e criteri idonei a delimitare chiaramente la discrezionalità dell’Amministrazione</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1966/0038s-66.html">sentenza n. 38 del 1966</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Si lamenta, inoltre, dai giudici rimettenti che l’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni violerebbe il principio del giusto procedimento, desumibile dall’art. 97 Cost. Ciò perché il provvedimento acquisitivo consentirebbe il trasferimento della proprietà in assenza di una sequenza procedimentale partecipata dal privato. Il principio di legalità dell’azione amministrativa sarebbe leso anche sotto il profilo della tutela giurisdizionale effettiva di cui all’art. 113 Cost. Anche tale questione non è fondata.</p> <p style="text-align: justify;">Bisogna, innanzitutto, ricordare – per il Collegio - che il principio del “<em>giusto procedimento</em>” (in virtù del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, e in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti), non può dirsi assistito in assoluto da garanzia costituzionale (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1995/0312s-95.htm">sentenze n. 312</a>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1995/0210s-95.htm">n. 210</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1995/0057S-95.htm">n. 57 del 1995</a>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1993/0103s-93.html">n. 103 del 1993</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1978/0023s-78.html">n. 23 del 1978</a>; <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1987/0503o-87.html">ordinanza n. 503 del 1987</a>). Questa constatazione non sminuisce certo la portata che tale principio ha assunto nel nostro ordinamento, specie dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e successive modifiche, in base alla quale «<em>il destinatario dell’atto deve essere informato dell’avvio del procedimento, avere la possibilità di intervenire a propria difesa, ottenere un provvedimento motivato, adire un giudice</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2007/0104s-07.html">sentenza n. 104 del 2007</a>). Del resto, proprio in materia espropriativa, la Corte ha da tempo affermato che i privati interessati devono essere messi «<em>in condizioni di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1962/0013s-62.html">sentenza n. 13 del 1962</a>; <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0344s-90.html">sentenze n. 344 del 1990</a>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1989/0143s-89.html">n. 143 del 1989</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1986/0151s-86.html">n. 151 del 1986</a>). Per parte sua, il provvedimento disciplinato dalla norma in esame non potrebbe, innanzitutto, sottrarsi all’applicazione delle ricordate, generali, regole di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, come, infatti, è riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, che impone la previa comunicazione di avvio del procedimento. Ma, soprattutto, in virtù della effettiva comparazione degli interessi contrapposti richiesta dalla norma in questione, il privato sarà ulteriormente sempre posto in grado di accentuare il proprio ruolo partecipativo, eventualmente facendo valere l’esistenza delle «<em>ragionevoli alternative</em>» all’adozione dell’annunciato provvedimento acquisitivo, prima fra tutte la restituzione del bene.</p> <p style="text-align: justify;">I giudici rimettenti dubitano, ancora, della conformità della norma impugnata all’art. 117, primo comma, Cost., in quanto la norma sarebbe in contrasto con i principi della CEDU, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo, sotto due distinti profili. In primo luogo, l’art. 42-bis violerebbe la norma interposta di cui all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, rispetto al quale il fenomeno delle cosiddette “<em>espropriazioni indirette</em>” si porrebbe «<em>in radicale contrasto</em>». In secondo luogo, l’art. 42-bis violerebbe la norma interposta di cui all’art. 6 CEDU, avendo la Corte EDU ripetutamente considerato lecita l’applicazione dello <em>ius superveniens</em> in cause già pendenti soltanto in presenza di «<em>ragioni imperative di interesse generale</em>». La norma risulterebbe anche in contrasto con l’art. 111, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui, disponendo la propria applicabilità ai giudizi in corso, violerebbe i principi del giusto processo, con particolare riferimento alla condizione di parità delle parti davanti al giudice.</p> <p style="text-align: justify;">Le doglianze possono essere esaminate congiuntamente, per concludere – precisa subito la Corte - nel senso della loro infondatezza, nei sensi della motivazione che segue, per le ragioni già esposte, sia pur in relazione al diverso parametro di cui all’art. 42 Cost., in un precedente passaggio. È vero, infatti, che la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla relativa entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato. Ma è anche vero che questa previsione risponde alla stessa esigenza primaria sottesa all’introduzione del nuovo istituto (così come del precedente art. 43): quella di eliminare definitivamente il fenomeno delle “<em>espropriazioni indirette</em>”, che aveva fatto emergere quella che la Corte EDU (nella <a href="http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-150370">sentenza 6 marzo 2007, Scordino contro Italia</a>) aveva definito una “<em>défaillance structurelle</em>”, in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo allegato alla CEDU. Né si deve trascurare che con l’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni − come peraltro già accadeva con il precedente art. 43 − l’acquisto della proprietà da parte della PA non è più legato ad un accertamento in sede giudiziale, connotato, come tale, da margini di imprevedibilità criticamente evidenziati dalla Corte EDU. Soprattutto, come già rilevato, rispetto al precedente art. 43, l’art. 42-bis contiene significative innovazioni, che rendono il meccanismo compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU in materia di espropriazioni cosiddette indirette, ed anzi rispondente all’esigenza di trovare una soluzione definitiva ed equilibrata al fenomeno, attraverso l’adozione di un provvedimento formale della pubblica amministrazione. Le differenze rispetto al precedente meccanismo acquisitivo consistono nel carattere non retroattivo dell’acquisto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato), nella necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione e, infine, nello stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Anche alla luce dell’asserita violazione degli artt. 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., questo obbligo motivazionale, in base alla significativa previsione normativa, che richiede «<em>l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione</em>», deve essere interpretato, come già chiarito, nel senso che l’adozione dell’atto è consentita – una volta escluse, all’esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita – solo quando non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel relativo diritto di proprietà. Solo se così interpretata la norma consente infatti: − di riconoscere, per le situazioni prodottesi prima della relativa entrata in vigore, l’esistenza di «<em>imperativi motivi di interesse generale</em>» legittimanti l’applicazione dello <em>ius superveniens</em> in cause già pendenti. Tali motivi consistono nell’ineludibile esigenza di eliminare una situazione di deficit strutturale, stigmatizzata dalla Corte EDU; − di prefigurare, per le situazioni successive alla relativa entrata in vigore, l’applicazione della norma come <em>extrema ratio</em>, escludendo che essa possa costituire una semplice alternativa ad una procedura espropriativa condotta «<em>in buona e debita forma</em>», come imposto, ancora una volta, dalla giurisprudenza della Corte EDU; − di considerare rispettata la condizione, posta dalla stessa Corte EDU nella citata <a href="http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-150370">sentenza Scordino del 6 marzo 2007</a>, secondo cui lo Stato italiano avrebbe dovuto «<em>sopprimere gli ostacoli giuridici che impediscono la restituzione del terreno sistematicamente e per principio</em>»; − di impedire alla pubblica amministrazione – ancora una volta in coerenza con le raccomandazioni della Corte EDU − di trarre vantaggio dalla situazione di fatto da essa stessa determinata; − di escludere il rischio di arbitrarietà o imprevedibilità delle decisioni amministrative in danno degli interessati.</p> <p style="text-align: justify;">Va, infine, valorizzata nella giusta misura la previsione del comma 7 dell’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni, in base alla quale «[l]<em>’autorità che emana il provvedimento di acquisizione</em> […] <em>ne dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti</em>». Questo richiamo alle possibili conseguenze per i funzionari che, nel corso della vicenda espropriativa, si siano discostati dalle regole di diligenza previste dall’ordinamento risponde, infatti, ad un invito della stessa Corte EDU (sempre <a href="http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-150370">sentenza 6 marzo 2007, Scordino contro Italia</a>), secondo cui «<em>lo Stato convenuto dovrebbe scoraggiare le pratiche non conformi alle norme degli espropri in buona e dovuta forma, adottando misure dissuasive e cercando di individuare le responsabilità degli autori di tali pratiche</em>».</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio esce la sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n.2012 onde - premesso che il giudicato civile relativo al risarcimento del danno per occupazione illegittima conseguente all'annullamento del decreto di esproprio (ormai in giudicato) non preclude l'adozione di un provvedimento di acquisizione sanante – nondimeno la eventuale determinazione dell'indennità ex art. 42 bis da parte dell’Amministrazione in misura diversa e inferiore non può travolgere le pertinenti statuizioni del giudicato civile; sicché, per la parte relativa alla determinazione dell'indennità, il provvedimento di acquisizione sanante non può avere altro contenuto che il versamento delle somme dovute secondo la sentenza civile, che in tal senso per il Collegio “<em>integra</em>” necessariamente il provvedimento amministrativo e ne sostituisce la difforme determinazione in contrasto con il giudicato medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3988, che ribadisce come l'applicazione dell’art. 1158 c.c. in tema di usucapione alla Pubblica Amministrazione che abbia occupato <em>sine titulo</em> il bene di un privato nel contesto di un procedimento espropriativo desti seri dubbi di coerenza costituzionale — anche nella prospettiva dell'art. 117 Cost., in relazione all'applicazione della CEDU — sul presupposto onde l’apprensione materiale del ridetto bene da parte della PA al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di una acquisizione sanante ex art. 42-bis T.U. n. 327 del 2001, se idonea a costituire possesso utile ai fini appunto dell'acquisto per usucapione, farebbe correre il rischio di una surrettizia reintroduzione nell'ordinamento interno di forme di espropriazione indiretta o larvata.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio soggiunge che, sul crinale civilistico, occorre por mente all’ampia nozione di “<em>violenza</em>” del possesso – che, ove ricorra, esclude la stessa configurabilità di un possesso <em>ad usucapionem</em> – siccome elaborata in giurisprudenza, onde va presunta la volontà contraria del proprietario del fondo, ove manchi la prova di una manifestazione univoca del relativo consenso.</p> <p style="text-align: justify;">Va poi tenuto in debito conto proprio l’art.1 del Protocollo addizionale alla CEDU e la relativa nozione di espropriazione indiretta o larvata, come tale da assumersi illegittima, siccome elaborata dalla Corte EDU, nonché l'ingiustizia degli esiti ai quali condurrebbe la retroattività reale dell’usucapione (laddove quest’ultima venga ammessa), idonea proprio perché retroattiva ad estinguere anche ogni pretesa risarcitoria del privato nei confronti della PA.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 26 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4014, che ammette un'azione <em>per silentium</em> e l'assegnazione alla P.A. di un termine per provvedere all'adozione del provvedimento di cui all’art. 42 bis del T.U. 327.01, o comunque all'adozione di una decisione definitiva idonea a porre rimedio al pregiudizio scaturente dall’illegittima occupazione di un fondo privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio nell'attuale quadro normativo, vigente l'art. 42 bis ridetto, le Amministrazioni hanno l'obbligo giuridico di far venir meno l'occupazione <em>sine die</em> e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto, circostanza dalla quale discende la configurabilità in astratto di un obbligo di provvedere, onde l’azione <em>per silentium</em> è validamente esperibile dal privato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4403 alla cui stregua, anche nel vigore del nuovo art.42 bis del TU 327.01 va ribadita l'operatività dell'istituto dell’acquisizione sanante pur al cospetto di un (già intervenuto) giudicato di restituzione del bene al legittimo proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, l'ordine giudiziale di restituzione di un’area illegittimamente occupata dalla P.A., pur contenuto in una sentenza già passata in giudicato, non preclude l'applicazione dell'istituto della c.d. acquisizione sanante, previsto dall’art. 42 bis, d.P.R. n, 327 del 2001, che presuppone l’assodata lesione del diritto di proprietà altrui; la restituzione, infatti, è la conseguenza dell'accertamento del possesso del bene e non implica effetti costitutivi; il giudice che la dispone non modifica la situazione giuridica precedente l’abusiva detenzione del bene ma semplicemente la accerta; il relativo ordine non è pertanto idoneo a paralizzare un atto di autorità che, consapevolmente, viola il diritto di proprietà senza contestarte la titolarità secondo uno schema reso possibile dall’arr. 42, comma 3, Cost., permanendo il potere dell'Amministrazione, anche dopo la nomina di un commissario <em>ad acta</em> in sede di esecuzione del giudicato, di adottare un provvedimento di acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">Nella fattispecie concreta oggetto del giudizio, tutt’affatto peculiare, affiora peraltro in capo alla PA una carenza di risorse utili all'adempimento del giudicato di restituzione, condizionato alla previa bonifica del sito da restituire al privato proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">Anche tenendo conto di dette peculiarità, per la dottrina di commento tale pronuncia non appare coerente con i limiti posti – <em>ratione materiae</em> - dalla sentenza della Corte cost. 30 aprile 2015. n. 71 in ottica di compatibilità costituzionale e sovranazionale dell'istituto dell’acquisizione sanante e, in particolare, con riguardo alla natura e agli effetti <em>ex nunc</em> (e non già <em>ex tunc</em>) dell'acquisto determinato dal provvedimento ex art. 42 bis, d.P.R. n. 327.01; un corollario di tale postulato è stato affermato espressamente dalla Corte costituzionale essere l’evidente impedimento del ricorso a tale istituto al cospetto di una sentenza definitiva (e dunque in giudicato) che abbia disposto la restituzione al privato del relativo terreno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4777 alla cui stregua, per quanto concerne le controversie vertenti sull'ammontare dell’indennizzo dovuto dalla P.A. in conseguenza dell'emissione di un provvedimento di acquisizione sanante ax art. 42 bis, il ristoro previsto dalla ridetta norma configura un indennizzo da atto lecito, sicché le controversie inerenti alla relativa quantificazione devono essere devolute alla giurisdizione del GO ai sensi dell’art, 133, lett. g), del c.p.a..</p> <p style="text-align: justify;">La Corte costituzionale, rammenta il Collegio, con la sentenza n. 71 del 2015 ha chiarito che l’art. 42 bis descrive una procedura espropriativa semplificata nelle forme, ma complessa negli esiti, al termine della quale viene adottato un provvedimento che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità che il decreto di esproprio; inoltre, con la relativa adozione la P.A. riprende a muoversi nell'alveo della legalità, esercitando una funzione amministrativa meritevole di tutela privilegiata in ragione degli scopi di pubblica utilità perseguiti, sebbene emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni del soggetto ablato, palesandosi dunque non più percorribile l'opzione ermeneutica alla cui stregua si tratterebbe di questioni risarcitorie devolute alla giurisdizione del G.A.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.22096, onde rientra nella giurisdizione del GO, e non in quella del GA, la controversia concernente l’ammontare dell’indennizzo dovuto dalla PA in sede di adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ax art. 42 bis, T.U. espropriazione, avendo il ridetto indennizzo natura non già risarcitoria, quanto piuttosto indennitaria.</p> <p style="text-align: justify;">Per le SSUU, alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nel contesto motivazionale della sentenza n. 71 del 2015, può concludersi che nella fattispecie delineata dal citato art. 42 bis l'illecita o l'illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte della PA per scopi di interesse pubblico costituisca soltanto il presupposto indispensabile, unitamente ad altre specifiche condizioni previste da tale articolo, per l'adozione del peculiare provvedimento di acquisizione “<em>sanante</em>” ivi previsto, con la conseguenza onde, laddove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente promosso e quindi attuato e concluso, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire all'indennizzo medesimo natura non già risarcitoria quanto piuttosto indennitaria, con l’ulteriore corollario onde le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità în conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriafiva o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 dicembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5530, alla cui stregua, con riguardo all’acquisizione sanante siccome rimodellata dall’art.42 bis del T.U. 327.01, il riparto di giurisdizione tra GA e GO viene disciplinato dalle norme del codice del processo amministrativo e facendo riferimento all’oggetto della controversia.</p> <p style="text-align: justify;">Devono pertanto distinguersi per il Collegio le azioni che attengono alla sussistenza dei presupposti che la legge prevede per il ricorso a tale strumento e quelle concernenti invece il <em>quantum</em> dell’indennizzo dovuto dalla PA ai sensi del menzionato art.42 bis, onde sussiste la giurisdizione del GO, e non del GA, nella controversia proposta dal privato proprietario di un fondo per l'annullamento della delibera con la quale la Pubblica amministrazione - che lo aveva illegittimamente occupato - ne abbia disposto l'acquisizione sanante ex art, 42 bis, d.P.R. n. 327.01, ove la ridetta controversia attenga esclusivamente alla quantificazione dell'importo dovuto in applicazione del ridetto articolo, non venendo in contestazione l'utilizzo, da parte dell’Amministrazione, di tale strumento né la legittimità dello stesso in relazione alla sussistenza dei presupposti normativamente previsti per la adozione di un provvedimento di acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5841, onde va ammessa un'azione <em>per silentium</em> e l'assegnazione alla P.A. di un termine per provvedere all'adozione del provvedimento di cui all’art. 42 bis del T.U. 327.01, o comunque all'adozione di una decisione definitiva idonea a porre rimedio al pregiudizio scaturente dall’illegittima occupazione di un fondo privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio nell'attuale quadro normativo, vigente l'art. 42 bis ridetto, le Amministrazioni hanno l'obbligo giuridico di far venir meno l'occupazione <em>sine die</em> e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto, circostanza dalla quale discende la configurabilità in astratto di un obbligo di provvedere, onde l’azione <em>per silentium</em> è validamente esperibile dal privato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.2, che si occupa della questione se, nella fase di ottemperanza ad una sentenza avente ad oggetto una domanda demolitoria di atti afferenti ad una procedura espropriativa, rientri o meno tra i poteri sostitutivi del GA, e per esso, del commissario <em>ad acta</em>, l’adozione della procedura semplificata dì cui all'art, 42 bis TU 327.01.</p> <p style="text-align: justify;">Prima di procedere alla risoluzione del quesito sottoposto all'Adunanza plenaria, è indispensabile per il Collegio ricostruire (limitandosi a quanto di interesse) il quadro dei condivisibili principi che, successivamente all'ordinanza di rimessione della IV Sezione, sono stati elaborati dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 71 del 2015 cit.), dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. decisioni n. 735 del 19 gennaio 2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato (cfr. sentenze Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015; n. 4403 del 21 settembre 2015; n. 3988 del 26 agosto 2015; n. 2126 del 27 aprile 2015; n. 3346 del 3 luglio 2014), all'interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per contrastare il deprecato fenomeno delle “<em>espropriazioni indirette</em>” del diritto di proprietà o di altri diritti reali (cfr., <em>ex plurimis</em> e da ultimo, con riferimento all'ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. II, 3 giugno 2014, Rossi e Variale; Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci; Sez. II, 5 giugno 2012, Immobiliare Cerro; Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso; Sez. II, 6 marzo 2007, Scordino; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta; Sez. II, 17 maggio 2005, Scordino; Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera; Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura).</p> <p style="text-align: justify;">In linea generale, quale che sia la relativa forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. - con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull'occupazione <em>contra ius</em>, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene - che viene a cessare solo in conseguenza: a) della restituzione del fondo; b) di un accordo transattivo; c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull'Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014); dunque a condizione che: I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta; II) si possa individuare il momento esatto della <em>interversio possesionis</em>; III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003), perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il “<em>giorno in cui il diritto può essere fatto valere</em>”; e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u. espr.</p> <p style="text-align: justify;">Chiarito dunque per il Collegio che l'acquisizione ex art. 42-bis cit. costituisce una delle possibili cause legali di estinzione di un fatto illecito e che essa trova legittima applicazione anche alle situazioni prodottesi prima della relativa entrata in vigore (§ 6.9.1. della sentenza della Corte cost. n. 71 del 2015 cit., che ha così definitivamente fugato i dubbi adombrati dalle Sezioni unite al § 4 della sentenza n. 735 del 2015 cit.), giova evidenziare per il Collegio che:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) la disposizione introduce una norma di natura eccezionale; tale conclusione è coerente con l'impostazione tradizionale che considera a tale stregua le norme limitatrici della sfera giuridica dei destinatari, con particolare riguardo a quelle che attribuiscono alla P.A. un potere ablatorio. Un atto definibile come espropriazione in sanatoria <em>stricto sensu</em>, e basato sulla illiceità dell'occupazione di un bene altrui, infatti, segnerebbe una interruzione della consequenzialità logica della disciplina generale (europea e nazionale) di riferimento in materia di acquisizione coattiva della proprietà privata, ponendosi in contrasto con essa attraverso una discriminazione - pure sancita dalla legge - del trattamento giuridico di situazioni soggettive che altrimenti sarebbero destinatarie della disciplina generale; da qui l'indefettibile necessità, ex art. 14, disp. prel. c.c., di una esegesi rigorosa della norma medesima che sia, ad un tempo, conforme al sistema di tutela della proprietà privata disegnato dalla CEDU ma rispettosa del valore costituzionale della funzione sociale della proprietà privata sancito dall'art. 42, co. 2, Cost. (che costituisce il fondamento del potere attribuito alla P.A.), secondo un approccio metodologico basato su una visione sistemica, multilivello e comparata della tutela dei diritti, a propria volta incentrata sulla considerazione dell'ordinamento nel suo complesso, quale risultante dalla interazione fra norme (interne e internazionali) e principi delle Corti (interne e sovranazionali);</li> <li>b) l'art. 42-bis configura un procedimento ablatorio <em>sui generis</em>, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (<em>uno actu perficitur</em>), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque <em>ex nunc</em>), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione <em>contra ius</em>, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata <em>sine titulo</em>;</li> <li>c) un tale obbiettivo istituzionale, inoltre, deve emergere necessariamente da un percorso motivazionale - rafforzato, stringente e assistito da garanzie partecipative rigorose - basato sull'emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro che l'apprensione coattiva si pone come <em>extrema ratio</em> (perché non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative e che tale assenza di alternative non può mai consistere nella generica “<em>eccessiva difficoltà ed onerosità dell'alternativa a disposizione dell'amministrazione</em>”, per la tutela di siffatte imperiose esigenze pubbliche;</li> <li>d) sono coerenti con questa impostazione: I) le importanti guarentigie previste per il destinatario dell'atto di acquisizione sotto il profilo della misura dell'indennizzo (avente natura indennitaria secondo Cass. civ., Sez. un., n. 2209 del 2015 cit.), valutato a valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della <em>taxatio rei</em>, senza che, dunque, ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 t.u.espr.), maggiorato della componente non patrimoniale (10 per cento senza onere probatorio per l'espropriato), e con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare autonome poste di danno; II) la previsione del coinvolgimento obbligatorio della Corte dei conti in una vicenda che produce oggettivamente (e indipendentemente dagli eventuali profili soggettivi di responsabilità da accertarsi nelle competenti sedi) un aggravio sensibile degli esborsi a carico della finanza pubblica;</li> <li>e) per evitare che l'eccezionale potere ablatorio previsto dall'art. 42-bis possa essere esercitato <em>sine die</em> in violazione dei valori costituzionali ed europei di certezza e stabilità del quadro regolatorio dell'assetto dei contrapposti interessi in gioco, la disciplina ivi dettata è inserita in (ed arricchita da) un più ampio contesto ordinamentale che - in ragione della sussistenza dell'obbligo della P.A. di valutare se adottare un atto tipico sull'adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto - prevede per il proprietario strumenti adeguati di reazione all'inerzia della P.A., esercitabili davanti al giudice amministrativo, sia attraverso il c.d. "<em>rito silenzio</em>" (artt. 34 e 117 c.p.a.), sia in sede di ordinario giudizio di legittimità avente ad oggetto il procedimento ablatorio sospettato di illegittimità (o altro giudizio avente ad oggetto la tutela reipersecutoria, come verificatosi nel caso di specie), secondo le coordinate esegetiche esplicitamente stabilite dalla sentenza n. 71 del 2015 (in particolare § 6.6.3.);</li> <li>f) assume un rilievo centrale (in particolare ai fini della risoluzione del quesito sottoposto all'Adunanza plenaria) un ulteriore elemento caratterizzante l'istituto in esame, ovvero l'impossibilità che l'Amministrazione emani il provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato che abbia disposto la restituzione del bene al proprietario; tale elemento - valorizzato dalla sentenza n. 71 del 2015 in coerenza coi principi elaborati dalla Corte di Strasburgo - si desume implicitamente dalla previsione del comma 2 dell'art. 42- bis nella parte in cui consente all'autorità di adottare il provvedimento durante la pendenza del giudizio avente ad oggetto l'annullamento della procedura ablatoria (ovvero nel corso del successivo eventuale giudizio di ottemperanza), ma non oltre, e quindi dopo che si sia formato un eventuale giudicato non soltanto cassatorio ma anche esplicitamente restitutorio;</li> <li>g) ne consegue che la scelta che la PA è tenuta ad esprimere nell'ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due comma dell'art. 42-bis, non concerne l'alternativa fra l'acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la relativa acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico - cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l'immobile assunta dall'amministrazione in sede procedimentale - ed essa non costituisce, né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell'autorità, atteso che, nell'adempiere gli obblighi di diritto comune, l'amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento e non agisce <em>iure auctoritatis</em>;</li> <li>h) per concludere sul punto utilizzando un argomento esegetico caro all'analisi economica del diritto, può dirsi che la nuova disposizione, in buona sostanza, ha evitato che si riproducesse il <em>vulnus</em> arrecato dal superato art. 43 t.u. espr., ovvero la possibilità, accordata dalla norma all'epoca vigente, di far regredire la <em>property rule</em> (che dovrebbe assistere il privato titolare della risorsa), a <em>liability rule</em> (con facoltà della pubblica amministrazione di acquisire a propria discrezione l'altrui bene con il solo pagamento di una compensazione pecuniaria), introducendo pragmaticamente una regola di <em>second best</em>, da un lato, riducendo al minimo l'ambito applicativo dell'appropriazione coattiva, dall'altro, evitando che tale strumento divenga di uso routinario - causa maggiori costi, responsabilità erariale, impossibilità di far valere l'onerosità della restituzione quale giusta causa di acquisizione del bene, partecipazione rafforzata del proprietario alla scelta finale, motivazione esigente e rigorosa sulla impossibilità di configurare soluzioni diverse - configurandosi come una normale alternativa all'espropriazione ordinaria: in quest'ottica la procedura prevista dall'art. 42-bis non rappresenta più (per usare il linguaggio della Corte di Strasburgo) il punto di emersione di una <em>defaillance structurelle</em> dell'ordinamento italiano (rispetto a quello europeo) ma costituisce, essa stessa, espropriazione adottata secondo il canone della “<em>buona e debita forma</em>” predicato dal paradigma europeo.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">La possibilità di adozione – prosegue a questo punto il Collegio - del provvedimento ex art. 42-bis in sede di ottemperanza, da parte del giudice amministrativo o per esso dal commissario <em>ad acta</em>, non può essere predicata <em>a priori</em> e in astratto ma, al contrario, come bene testimonia il caso di specie, postula una risposta articolata che prenda necessariamente le mosse dal contesto processuale in cui è chiamato ad operare il giudice (ed il relativo ausiliario) e lo conformi ai principi dianzi illustrati. Si è visto in precedenza che l'effetto inibente (l'adozione del provvedimento di acquisizione) del giudicato restitutorio costituisce elemento essenziale dell'istituto disciplinato dall'art. 42-bis nella lettura costituzionalmente orientata che ne ha fatto il giudice delle leggi in armonia con la CEDU: conseguentemente in presenza di un giudicato restitutorio il provvedimento di acquisizione non può essere adottato.</p> <p style="text-align: justify;">Si pone il problema della individuazione del giudicato restitutorio: <em>nulla quaestio</em> nel caso in cui il giudicato (amministrativo o civile) disponga espressamente, <em>sic et simpliciter</em>, la restituzione del bene, con l'unica precisazione che una tale statuizione restitutoria potrebbe sopravvenire anche nel corso del giudizio di ottemperanza. Si tratta di una conseguenza fisiologica della naturale portata ripristinatoria e restitutoria del giudicato di annullamento di provvedimenti lesivi di interessi oppositivi d'indole espropriativa (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 29 aprile 2005, n. 2; Ad. plen., 4 dicembre 1998, n. 8; Ad. plen., 22 dicembre 1982, n. 19). In tutti questi casi è certo che l'Amministrazione non potrà adottare il provvedimento ex art. 42-bis.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, costituisce fatto notorio che, sovente, durante la pendenza del processo avente ad oggetto la procedura espropriativa, il fondo subisca alterazioni tali da rendere necessario il compimento, ai fini della relativa restituzione, di rilevanti attività giuridiche o materiali; a fronte di una situazione di tal fatta si possono verificare le seguenti evenienze: I) il privato potrebbe non avere un interesse reale ed attuale alla tutela reipersecutoria - preferendo evitare di essere coinvolto in attività spesso defatiganti - e dunque non propone una rituale domanda di condanna dell'Amministrazione alla restituzione previa riduzione in pristino, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 30, co. 1, e 34, co. 1, lett. c) ed e), c.p.a.; in questo caso il giudicato si presenterebbe come puramente cassatorio, per scelta (e a tutela) del proprietario, ma non si produrrebbe l'effetto inibitorio dell'adozione del provvedimento ex art. 42-bis; II) il proprietario ha interesse alla restituzione e propone la relativa domanda ma il giudice non si pronuncia o si pronuncia in modo insoddisfacente; in tal caso il rimedio è affidato ai normali strumenti di reazione processuale, in mancanza (o all'esito) dei quali se il giudicato continua a non recare la statuizione restitutoria, comunque l'Amministrazione potrà adottare il provvedimento ex art. 42-bis non sussistendo la preclusione inibente dianzi richiamata.</p> <p style="text-align: justify;">A diverse conclusioni deve giungersi allorquando, come verificatosi nella vicenda scrutinata dall’Adunanza Plenaria, il giudicato rechi, in via esclusiva o alternativa, la previsione puntuale dell'obbligo dell'Amministrazione di adottare un provvedimento ex art. 42-bis. In realtà è bene precisare subito che non esiste la possibilità, tranne si versi in una situazione processuale patologica, che il giudice condanni direttamente in sede di cognizione l'Amministrazione ad adottare <em>tout court</em> il provvedimento in questione: vi si oppongono, da un lato, il principio fondamentale di separazione dei poteri (e della riserva di amministrazione) su cui è costruito il sistema costituzionale della Giustizia Amministrativa; dall'altro, uno dei relativi, più importanti corollari processuali consistente nella tassatività ed eccezionalità dei casi di giurisdizione di merito sanciti dall'art. 134 c.p.a. fra i quali non si rinviene tale tipologia di contenzioso (cfr. negli esatti termini Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5). A maggior ragione in una fattispecie in cui vengono in rilievo sofisticate valutazioni sulla ricorrenza delle circostanze eccezionali che giustificano l'acquisizione coattiva, cui si possono eventualmente riconnettere gravi ricadute in termini di responsabilità erariale. Se del caso, dovrà essere cura delle parti evitare che si formi un giudicato di tal fatta su domande il cui <em>petitum</em> ha proprio ad oggetto l'adozione di un provvedimento ex art. 42-bis, attraverso la proposizione di specifiche eccezioni (o mezzi di impugnazione all'esito della sentenza di primo grado).</p> <p style="text-align: justify;">Come si è testé rilevato è ben possibile, invece, che il GA, adito in sede di cognizione ordinaria ovvero nell'ambito del c.d. rito silenzio, a chiusura del sistema, imponga all'amministrazione di decidere - ad esito libero, ma una volta e per sempre, nell'ovvio rispetto di tutte le garanzie sostanziali e procedurali dianzi illustrate - se intraprendere la via dell'acquisizione ex art. 42-bis ovvero abbandonarla in favore delle altre soluzioni individuate in precedenza. In questo caso, per il Collegio non vi è ragione di discostarsi dai principi recentemente enucleati dall'Adunanza plenaria (cfr. sentenza 15 gennaio 2013, n. 2) in sintonia con la Corte europea dei diritti dell'uomo (cfr. sentenza 18 novembre 2004, <em>Zazanis</em>), alla stregua dei quali l'effettività delle tutela giurisdizionale e il carattere poliforme del giudicato amministrativo, impongono di darvi esecuzione secondo buona fede e senza che sia frustrata la legittima aspettativa del privato alla definizione stabile del contenzioso e del contesto procedimentale: in tali casi, la totale inerzia dell'autorità o l'attività elusiva di carattere soprassessorio posta in essere da quest'ultima, consentiranno al giudice adito in sede di ottemperanza di intervenire, secondo lo schema disegnato dagli artt. 112 e ss. c.p.a., direttamente o (più normalmente) di nominare un commissario <em>ad acta</em> che procederà, nel rispetto delle prescrizioni e dei limiti dianzi illustrati, a valutare se esistono le eccezionali condizioni legittimanti l'acquisizione coattiva del bene ex art. 42-bis.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, il Collegio formula il principio di diritto onde il commissario <em>ad acta</em> può adottare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto dall'articolo 42-bis d.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità -: a) se nominato dal giudice amministrativo a mente degli artt. 34, comma 1, lett. e), e 114, comma, 4, lett. d), c.p. a., qualora tale adempimento sia stato previsto dal giudicato <em>de quo agitur</em>; b) se nominato dal giudice amministrativo a mente dell' art. 117, comma 3, c.p.a., qualora l'amministrazione non abbia provveduto sull'istanza dell'interessato che abbia sollecitato l'esercizio del potere di cui al menzionato art. 42-bis.</p> <p style="text-align: justify;">Interessanti anche le conclusioni cui il Collegio perviene in tema di giurisdizione sulla opposizione alla stima nelle fattispecie di c.d. “<em>acquisizione sanante</em>”, venendo il pertinente provvedimento additato quale atto di natura espropriativa; per il Collegio, tutte le voci di danno di cui ai comma 1, 3, 4 e 5 del ridetto art.42 bis si configurano come oggetti di un’unica previsione indennitaria, compresa la voce concernente il periodo di occupazione <em>sine titulo</em> subita dal proprietario ablato e contemplata al comma 3, ultimo periodo, dell’art.42 bis che – laddove parla di somme “<em>a titolo risarcitorio</em>” - palesa una mera improprietà lessicale della quale è rimasto vittima il legislatore che, proprio perché tale, non consente di pretermettere gli obiettivi (ed i canoni esegetici che li sottendono) di concentrazione ed effettività della tutela giurisdizionale, che finirebbero con l’essere palmarmente vulnerati da una interpretazione della ridetta locuzione di tipo letterale, e non piuttosto sistematico; ne risulterebbe difatti frazionata la tutela giurisdizionale del privato ablato che sarebbe affidata al GA per quanto concerne il danno (risarcitorio) da occupazione del bene <em>sine titulo</em>, ed al GO per quanto concerne tutte le altre voci di danno (indennitario) menzionate all’art.42 bis ridetto.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio conclude nel senso onde va assunta applicabile la disciplina affiorante dal combinato disposto, rispettivamente, dell’art.133, comma 1, lettera g) del c.p.a. con gli articoli 53 e 54 del T.U. 327.01, dovendo essere ribadita la giurisdizione esclusiva del GA per le controversie, incluse quelle risarcitorie, aventi ad oggetto atti, accordi e comportamenti espressione di esercizio di una funzione pubblica in materia espropriativa, mentre spetta al GO (Corte d’Appello in unico grado) la cognizione delle controversie riguardanti la determinazione e corresponsione delle indennità “espropriative”, ivi compresa quella avvinta appunto ad una “<em>acquisizione sanante</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.6017 alla cui stregua va escluso che tra le “<em>ragionevoli alternative</em>” all'acquisizione coattiva “<em>sanante</em>” del bene privato, cui fa riferimento l'art. 42 bis, d.P.R_n. 327 del 2001, possa annoverarsi anche il rinnovo dell’ordinaria procedura espropriativa, riferendosi la norma esclusivamente alla restituzione del bene al proprietario ovvero alla relativa acquisizione consensuale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 aprile esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1465 onde – in tema di acquisizione sanante – la comunicazione di avvio del pertinente procedimento al privato destinatario non appare necessaria laddove l’adozione di tale provvedimento sia stata già prefigurata al privato medesimo in sede giudiziale, essendone stato pertanto reso edotto con conseguente possibilità di attivarsi facendo constare all'Amministrazione procedente gli elementi che condizionerebbero negativamente l'esercizio del pertinente potere, ovvero i parametri cui l’Amministrazione dovrebbe conformarsi nell’esercitarlo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 aprile esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1466 che, riprendendo quanto già statuito dall’Adunanza Plenaria nella pronuncia 2.05, afferma come l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l'obbligo della PA procedente di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, dovendosi ritenere superata – alla stregua della CEDU e, in particolare, del primo Protocollo addizionale - l'interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del bene effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’Amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza tanto il risarcimento del danno, quanto la restituzione del fondo con annessa riduzione in pristino stato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 maggio esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.100 che torna sulla questione della compatibilità con la Carta costituzionale del nuovo art. 42 bis, d.P.R. n. 327 de 2001, nell’ambito del giudizio di legittimità costituzionale promosso da Tar Lazio, Sez. II, ord., 2 marzo 2015, n. 131, in riferimento agli artt, 3, 24, 42, 97 e 117, comma 1, Cosr., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte, nel registrare come censure identiche a quelle prospettate nel caso di specie dal giudice <em>a quo</em> siano già state oggetto della precedente pronuncia n. 71 del 2015, dichiara manifestamente inammissibili le questioni sollevate peraltro per difetto di rilevanza, siccome emergente dall'ordinanza di rimessione: nella fattispecie concreta, l'adozione del provvedimento ax art. 42 dis costituisce infatti circostanza solo eventuale, non realizzatasi al momento dell'emissione dell'ordinanza medesima, sì da escludere la necessità di fare applicazione, nel caso concreto, della norma sospettata di incostituzionalità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.15283, onde va ribadito che le controvérsie aventi ad oggetto la determinazione e la corresponsione di tutte le indennità previste da 42 bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 devono assumersi devolute alla giurisdizione del GO, con competenza in unico grado della Corte di appello.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3878, alla cui stregua, con riguardo all’acquisizione sanante siccome rimodellata dall’art.42 bis del T.U. 327.01, il riparto di giurisdizione tra GA e GO viene disciplinato dalle norme del codice del processo amministrativo e facendo riferimento all’oggetto della controversia.</p> <p style="text-align: justify;">Devono pertanto distinguersi per il Collegio le azioni che attengono alla sussistenza dei presupposti che la legge prevede per il ricorso a tale strumento e quelle concernenti invece il <em>quantum</em> dell’indennizzo dovuto dalla PA ai sensi del menzionato art.42 bis, onde sussiste da giurisdizione del GO, e non del GA, nella controversia proposta dal privato proprietario di un fondo per l'annullamento della delibera con la quale la Pubblica amministrazione - che lo aveva illegittimamente occupato - ne abbia disposto l'acquisizione sanante ex art, 42 bis, d.P.R. n. 327.01, ove la controversia attenga esclusivamente alla quantificazione dell'importo dovuto in applicazione del ridetto articolo, non venendo in contestazione l'utilizzo, da parte dell’Amministrazione, di tale strumento né la legittimità dello stesso in relazione alla sussistenza dei presupposti normativamente previsti per la adozione di un provvedimento di acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 settembre esce la sentenza della sezione IV del Consiglio di Stato n.3929 alla cui stregua la PA non può acquisire un bene del privato illecitamente occupato giusta acquisizione sanante di cui all’art.42 bis del TU 327.01 – che opera <em>ex nunc</em>, e non <em>ex tunc</em> - laddove già vi sia una sentenza passata in giudicato che ordini la restituzione del bene oggetto del provvedimento ablatorio al privato medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 ottobre esce la sentenza della II sezione del Tar Sicilia, Catania, n.2732, onde va ammessa un'azione <em>per silentium</em> e l'assegnazione alla P.A. di un termine per provvedere all'adozione del provvedimento di cui all’art. 42 bis del T.U. 327.01, o comunque all'adozione di una decisione definitiva idonea a porre rimedio al pregiudizio scaturente dall’illegittima occupazione di un fondo privato.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio nell'attuale quadro normativo, vigente l'art. 42 bis ridetto, le Amministrazioni hanno l'obbligo giuridico di far venir meno l'occupazione <em>sine die</em> e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto, circostanza dalla quale discende la configurabilità in astratto di un obbligo di provvedere, onde l’azione <em>per silentium</em> è validamente esperibile dal privato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.941, alla cui stregua, con riguardo all’acquisizione sanante siccome rimodellata dall’art.42 bis del T.U. 327.01, il riparto di giurisdizione tra GA e GO viene disciplinato dalle norme del codice del processo amministrativo e facendo riferimento all’oggetto della controversia.</p> <p style="text-align: justify;">Devono pertanto distinguersi per il Collegio le azioni che attengono alla sussistenza dei presupposti che la legge prevede per il ricorso a tale strumento e quelle concernenti invece il <em>quantum</em> dell’indennizzo dovuto dalla PA ai sensi del menzionato art.42 bis, onde sussiste la giurisdizione del GO, e non del GA, nella controversia proposta dal privato proprietario di un fondo per l'annullamento della delibera con la quale la Pubblica amministrazione - che lo aveva illegittimamente occupato - ne abbia disposto l'acquisizione sanante ex art, 42 bis, d.P.R. n. 327.01, ove fa controversia attenga esclusivamente alla quantificazione dell'importo dovuto in applicazione del ridetto articolo, non venendo in contestazione l'utilizzo, da parte dell’Amministrazione, di tale strumento né la legittimità dello stesso in relazione alla sussistenza dei presupposti normativamente previsti per la adozione di un provvedimento di acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 marzo esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.7303 alla cui stregua, nel caso di occupazione e trasformazione di area in costanza e sulla base di una valida dichiarazione di pubblica utilità, va dichiarata la giurisdizione del GA sulle relative domande di restituzione e risarcimento, atteso che in materia di espropriazioni rientra nella giurisdizione del GO soltanto quel che riguarda il pagamento delle indennità di occupazione od espropriazione ovvero il risarcimento dei danni cagionati da comportamenti non riconducibili, neppure in via mediata e indiretta, all'esercizio di un potere.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, in applicazione del principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione, la giurisdizione resta del GO anche nel caso in cui la domanda di liquidazione dell'indennità sia stata proposta unitamente a quella, innanzi al GA, di risarcimento del danno perdita del pertinente terreno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 aprile esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1778, alla cui stregua, con riguardo all’acquisizione sanante siccome rimodellata dall’art.42 bis del T.U. 327.01, il riparto di giurisdizione tra GA e GO viene disciplinato dalle norme del codice del processo amministrativo e facendo riferimento all’oggetto della controversia.</p> <p style="text-align: justify;">Devono pertanto distinguersi per il Collegio le azioni che attengono alla sussistenza dei presupposti che la legge prevede per il ricorso a tale strumento e quelle concernenti invece il <em>quantum</em> dell’indennizzo dovuto dalla PA ai sensi del menzionato art.42 bis, onde sussiste la giurisdizione del GO, e non del GA, nella controversia proposta dal privato proprietario di un fondo per l'annullamento della delibera con la quale la Pubblica amministrazione - che lo aveva illegittimamente occupato - ne abbia disposto l'acquisizione sanante ex art, 42 bis, d.P.R. n. 327.01, ove fa controversia attenga esclusivamente alla quantificazione dell'importo dovuto in applicazione del ridetto articolo, non venendo in contestazione l'utilizzo, da parte dell’Amministrazione, di tale strumento né la legittimità dello stesso in relazione alla sussistenza dei presupposti normativamente previsti per la adozione di un provvedimento di acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 agosto esce la sentenza del Tribunale di Agrigento n.1305, onde a seguito dell’innesto nel sistema della nuova ”<em>acquisizione sanante</em>” ex art.42 bis del T.U. 327.01, in presenza di una occupazione illegittima la PA è posta di fronte ad un’alternativa stingente, ovvero da lato la restituzione delle aree occupate (previa relativa riduzione in pristino stato), e dall’altro l’obbligo di disporre appunto l’acquisizione sanante.</p> <p style="text-align: justify;">La pronuncia non lascia spazio dunque a moduli diversi di acquisto della proprietà <em>ex parte publica</em>, con particolare riguardo all’usucapione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 settembre esce la sentenza della I sezione del Tar Calabria, Reggio Calabria, n.760, alla cui stregua non può essere accolta la domanda, avanzata innanzi al G.A., tendente ad ottenere una sentenza che dichiari l’obbligo della P.A. di adottare un provvedimento di acquisizione sanante <em>ex</em> art. 42 <em>bis</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">T.U. n. 327/2001</a> con il relativo pagamento dell’indennizzo e/o risarcimento dovuto al privato ablato ai sensi di legge, nel caso in cui esista un precedente giudicato civile che abbia accertato la già avvenuta perdita della proprietà del terreno in capo alle parti istanti, e in forza del quale sia stato definitivamente liquidato agli aventi diritto il surrogato monetario del bene perduto.</p> <p style="text-align: justify;">In tali fattispecie infatti, per il Collegio, poiché la titolarità del diritto (dominicale) fatto valere in giudizio è elemento costitutivo della domanda, da un lato difetta la prova – ed anzi, risulta l’opposto dagli atti – che le parti istanti sono attualmente proprietarie delle aree controverse; per altro verso, rileva l’efficacia preclusiva del giudicato civile che copre il dedotto e il deducibile ed impedisce una nuova domanda basata sul medesimo irretrattabile rapporto giuridico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4808 onde è illegittimo il provvedimento con il quale un Comune dispone l'acquisizione sanante, ex art. 42-bis, DPR 8 giugno 2001, n. 327, di un'area da esso occupata dopo che una sentenza, passata in giudicato, gli aveva già ordinato di provvedere alla restituzione dell'area pertinente al proprietario; in tal caso deve ritenersi che, in presenza di un cd. giudicato chiuso, con il quale è stato ordinata al Comune la restituzione ai legittimi proprietari dei terreni illegittimamente occupati, l'Amministrazione comunale non ha più il potere di adottare il provvedimento ex art. 42-bis ridetto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.10207 alla cui stregua anche il privato può sollecitare la PA occupante ad adottare un provvedimento di acquisizione sanante, facendo valere in caso di inerzia della parte pubblica i rimedi previsti per il c.d. silenzio inadempimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza della II sezione del Tar Lombardia, Brescia, n.1358, onde sebbene l’art. 42 bis, DPR n 327 del 2001 non preveda espressamente la possibilità di avvio del procedimento su istanza di parte, nulla preclude al proprietario dei terreni occupati di sollecitare in tal senso la PA, il cui obbligo di provvedere scaturirebbe, per conseguenza, direttamente da quello positivizzato, in linea generale, dall'art. 2 della legge 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">L'inerzia dell'Amministrazione rispetto alla diffida all'adozione del provvedimento determinerebbe quindi, per il Collegio, un silenzio-rifiuto avverso cui sarebbe ammissibile la reazione del privato mediante l'apposito giudizio volto a farne valere l'illegittimità. La regolarizzazione dell‘utilizzazione senza titolo ex art. 42 bis, DPR n. 327 del 2001, dunque, non è per il Tar rimessa alla sola iniziativa della Pubblica Amministrazione, ma può essere stimolata anche dall'interessato che, quindi, può esso stesso agire in prima persona per ottenere la definizione della situazione proprietaria ingeneratasi dopo la sopravvenuta illegittimità dell'occupazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5476 che, collocandosi nel copioso filone giurisprudenziale che predica l’eccezionalità della fattispecie di acquisizione sanante ex art.42 bis del TU 327.01, afferma che – nel procedere ad essa - la Pubblica amministrazione è tenuta ad indicare le attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'adozione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, con un percorso motivazionale rafforzato ed assistito da garanzie partecipative rigorose che dimostrino in modo chiaro come l’apprensione coattiva si ponga quale scelta estrema, laddove non siano ragionevolmente praticabili soluzioni alternative.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 novembre esce la sentenza della sezione I del Tar Abruzzo, L’Aquila, n.491, onde non sussiste alcun automatismo tra il criterio di liquidazione dell'indennizzo di cui all'art, 42-bis, D.P.R n. 327 del 2001 (che dovrà utilizzare la PA laddove decida di adottare il provvedimento di acquisizione sanante) ed il risarcimento del danno da occupazione abusiva dell'immobile, attesa la peculiarità dell'istituto di cui all'art. 42-bis, avente chiara natura eccezionale e, quindi, non suscettibile di estensione analogica, nemmeno nella parte in cui stabilisce in via forfettaria la liquidazione (<em>quantum</em>) del danno da occupazione illegittima.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre esce la sentenza della II sezione del Tar Sicilia, Catania, n.2929, onde non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno avanzata dal proprietario di un terreno illegittimamente occupato dalla P.A. per scopi di interesse pubblico, nel caso in cui: a) l’Amministrazione comunale abbia formalmente e tempestivamente adottato un provvedimento di acquisizione sanante ed abbia effettivamente corrisposto l’indennizzo ivi previsto; b) il proprietario, pur dolendosi, sotto il profilo del <em>quantum</em>, della illegittimità del medesimo provvedimento, per mancanza di motivazione e di adeguata comparazione degli interessi coinvolti, abbia omesso di impugnarlo tempestivamente e di specificare le ragioni relative alla asserita erroneità della quantificazione operata dalla P.A.</p> <p style="text-align: justify;">In tal caso infatti, per il Collegio la mancata impugnazione dell’atto lesivo (nella fattispecie, il provvedimento di acquisizione sanante) assume specifico rilievo ai fini dell’insussistenza del nesso di causalità tra fatto lesivo e danno risarcibile poiché – pur nel sostanziale superamento della cd. pregiudiziale amministrativa già all’epoca di proposizione del ricorso introduttivo (anteriore, comunque, all’entrata in vigore dell’art. 30 <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">c.p.a.</a>) – deve escludersi la risarcibilità dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, rinviando al principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., tale da far ritenere come l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisca, nel comportamento complessivo delle parti valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, certamente un fatto di rilievo ai fini del giudizio sulla sussistenza del pregiudizio risarcibile poiché recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 dicembre esce la sentenza della II sezione del Tar Veneto n.1202 che, collocandosi nel copioso filone giurisprudenziale che predica l’eccezionalità della fattispecie di acquisizione sanante ex art.42 bis del TU 327.01, afferma che – nel procedere ad essa - la Pubblica amministrazione è tenuta ad indicare le attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'adozione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, con un percorso motivazionale rafforzato ed assistito da garanzie partecipative rigorose che dimostrino in modo chiaro come l’apprensione coattiva si ponga quale scelta estrema, laddove non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio, Latina, n.121, onde – anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 71 del 30 aprile 2015 , è certamente esperibile il rito di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., quale rimedio e nell'ipotesi dell'inerzia della PA sull'istanza del privato interessato volta a incentivare la scelta di avvalersi, o meno, dell'acquisizione sanante ex art.42-bis, con la precisazione che in base all'art. 31, comma 3, c.p.a. il giudice non può ordinare alla PA. di adottare il provvedimento ex art, 42 bis mentovato, siccome caratterizzato da ampi margini di discrezionalità e non trattandosi certo di attività vincolata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2810, alla cui stregua spelta unicamente al Consiglio comunale l'adozione del provvedimento di acquisizione sanante, in quanto riconducibile al novero dei provvedimenti di acquisizione di cui alla lett. l) dell'art. 42, comma 2, dlgs. 267/2000, onde devono essere adottati con delibera consiliare gli acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del Consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della Giunta, del segretario o di altri funzionari, includendo così anche (e per l’appunto) l'ipotesi di acquisto di immobili disciplinata dall’ art. 42 bis, d P.R. n. 327 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 novembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.28572 alla cui stregua in materia di espropriazione per pubblica utilità, la controversia relativa alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo, globalmente inteso, previsto per la cd. acquisizione sanante di cui all’art. 42-<em>bis</em> del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.P.R. n. 327 del 2001</a> è devoluta alla competenza, in unico grado, della Corte di appello, quale regola generale prevista dall’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità dovute, nell’ambito di un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell’espropriato, dovendosi interpretare in via estensiva l’art. 29 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2204">d.lgs. n. 150 del 2011</a> sull’applicabilità del c.d. “<em>rito sommario di cognizione</em>”, tanto più che tale norma non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto – quale quello della “<em>acquisizione sanante</em>” – introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva .</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 novembre esce la sentenza della sezione II bis del Tar Lazio n.10946, onde va assunta ammissibile l’azione <em>ex</em> art. 31 e 117 <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">c.p.a.</a> (c.d. “<em>silenzio</em>”) intrapresa dai privati proprietari nei confronti di una P.A. che abbia occupato un bene nell’ambito di una procedura espropriativa, azione con la quale sia stato chiesto l’annullamento del silenzio-rifiuto formatosi sull’atto stragiudiziale con il quale i proprietari stessi hanno chiesto alla P.A. di porre termine all’illegittima occupazione del fondo di loro proprietà, e di determinarsi nel senso dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante <em>ex</em> art. 42-<em>bis</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">D.P.R. n. 327/2001</a>, a nulla rilevando che l’art. 42-<em>bis</em> non contempli espressamente la possibilità di avvio del procedimento dalla stessa norma previsto (che normalmente parte d’ufficio) su iniziativa di parte.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.5201 alla cui stregua nella fattispecie scolpita all’art. 42-<em>bis</em> del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.P.R. n. 327 del 2001</a>, l’illecita o illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte della PA per scopi di interesse pubblico costituisce soltanto il presupposto indispensabile, unitamente alle altre specifiche condizioni previste da tale disposizione, per l’adozione – nell’ambito di un apposito procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa Amministrazione – del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per il Collegio che ove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente promosso, attuato e concluso, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del ridetto bene immobile, non può che avere la medesima natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario onde le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 53, comma 2, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.P.R. n. 327 del 2001</a> e dell’art. 133, lettera g), ultima parte, <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">cod. proc. amm.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio chiarisce poi come appartenga alla giurisdizione del GO non solo la controversia relativa alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo previsto in relazione alla fattispecie di acquisizione sanante <em>ex</em> art. 42-<em>bis</em> del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">d.P.R. n. 327 del 2001</a>, ma anche quella avente ad oggetto l’interesse del 5% del valore venale del bene, dovuto, ai sensi del comma 3, ultima parte, di detto articolo, “<em>a titolo di risarcimento del danno</em>”, giacché esso, ad onta del tenore letterale della norma, costituisce per la Corte solo una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al precedente comma 1, secondo un’interpretazione imposta dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale di concentrazione della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti ablatori.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 luglio esce la sentenza della II sezione del Tar Campania, Salerno, n.1205, onde va assunto illegittimo il provvedimento con il quale un Comune abbia disposto, ai sensi dell’art. 42 bis del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.p.r. n. 327 del 2001</a>, l’acquisizione coattiva “<em>sanante</em>” di un fondo privato, illegittimamente occupato per scopi di interesse pubblico, laddove tale provvedimento sia stato adottato dal Dirigente del Settore Patrimonio, Ambiente, e Lavori Pubblici dell’Ente locale di pertinenza.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, la competenza all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante è riservata al Consiglio comunale, giacché riconducibile al novero dei provvedimenti di acquisizione ex art. 42, comma 2, lett. l, <a href="http://www.lexitalia.it/n/1460">d.lgs. n. 267/2000</a>, che dispone doversi adottare con delibera consiliare gli “<em>acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del Consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della Giunta, del segretario o di altri funzionari”</em>, così ricomprendendo anche l’ipotesi di acquisto di immobili disciplinata dall’art. 42 <em>bis</em> del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.p.r. n. 327/2001</a></p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 luglio esce la sentenza della V sezione del Tar Campania n.3979 alla cui stregua va assunto illegittimo il provvedimento con il quale un Comune abbia disposto, ai sensi dell’art. 42 <em>bis</em> del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.p.r. n. 327 del 2001</a>, l’acquisizione coattiva “<em>sanante</em>” al patrimonio comunale di un fondo privato in precedenza illegittimamente occupato per scopi di interesse pubblico, laddove tale provvedimento sia stato adottato in difetto della preventiva comunicazione al proprietario del medesimo fondo di avvio del procedimento <em>ex</em> artt. 7 e segg. della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">legge n. 241 del 1990</a>.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, più in specie, il provvedimento disciplinato dalla suddetta norma non si sottrae all’applicazione delle generali regole di partecipazione procedimentale, il cui rigoroso rispetto si impone, giusta previa comunicazione di avvio del pertinente procedimento onde consentire al privato di interloquire concretamente con la PA procedente prima dell’adozione dell’atto e di esporre le valide soluzioni alternative, anche al fine di addivenire a una eventuale conclusione concordata della vicenda.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Toscana n.1436 alla cui stregua va assunto illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha disposto l’acquisizione sanante - <em>ex</em> art. 42 <em>bis, </em>comma 1°, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.P.R. n. 327/2001</a> - di un immobile occupato abusivamente, sul quale la P.A. ha realizzato delle opere, che sia motivato con riferimento alla stretta connessione delle medesime opere con la funzionalità di una sala cinematografica e alla onerosità della pertinente riduzione in pristino; tale motivazione infatti, per il Collegio, non è per nulla idonea a giustificare la sussistenza delle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che giustificano l’adozione del decreto di acquisizione sanante, che deve essere adottato previa valutazione comparativa con i contrapposti interessi privati, nonché previa verifica dell’assenza di ragionevoli alternative alla pertinente adozione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.30195 alla cui stregua, come dalla Corte di legittimità già in passato affermato, in tema di occupazione illegittima, premesso che la condotta illecita della PA incidente sul diritto di proprietà del privato non può comportare, quale che ne sia la forma di manifestazione (occupazione usurpativa, acquisitiva o appropriativa, vie di fatto), l'acquisizione del pertinente fondo, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione - in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di p. u., decreto di occupazione d'urgenza, ecc.) -, occorre l'allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile "<em>ad usucapionem</em>", ex art. 1141, comma 2, c.c., cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario- possessore, non essendo sufficienti all’uopo né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all'esercizio del possesso, che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso deciso, ad esempio, da Cass. n. 10289 del 27/04/2018, la PA aveva invocato a fondamento dell’<em>animus possidendi</em> un titolo convenzionale ad effetti obbligatori come la promessa di donazione, cui peraltro non era seguita la formalizzazione della donazione, titolo cui poteva al più riconnettersi un effetto traslativo della detenzione che non autorizzava l'alterazione dello stato di fatto, con conseguente insussistenza del possesso utile ai fini dell'usucapione.</p> <p style="text-align: justify;">L'affermato principio - in discontinuità applicativa di altro e precedente che voleva che la P.A. responsabile di un'occupazione illegittima potesse efficacemente eccepire l'usucapione ventennale allo scopo di fare cessare l'illecito permanente e di acquisire senza oneri la proprietà del bene in ragione della cd. retroattività reale propria dell'usucapione (Cass. 19294/2006, Cass. n. 3153/1998) - si fa carico di più recenti sviluppi normativi della materia e della giurisprudenza sui primi affermatasi.</p> <p style="text-align: justify;">Come quindi ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, l'occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42 bis cit., in quanto definisce un illecito permanente, non vale ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell'usucapione, nel conseguito effetto, altrimenti, di reintrodurre nell'ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Cons. di Stato, sez. IV, nn. 3838/2017, n. 329/2016, 3988/2015).</p> <p style="text-align: justify;">A tale affermazione, di stretto legame con le previsioni convenzionali ed i principi propri della giurisprudenza di Strasburgo, si coniuga il rilievo della capacità di diritto privato della PA destinato per la Corte ad essere declinato nel senso dell'assoggettamento della stessa alle conseguenze ripristinatorie e risarcitorie previste dal diritto comune là dove la PA medesima sia autrice di un illecito e, ancora, nel senso della tipicità dei modi con cui la Pubblica Amministrazione può acquistare la proprietà dei beni nell'ambito del procedimento espropriativo.</p> <p style="text-align: justify;">In difetto di alcuna espressa previsione, di norma dall'esercizio illegittimo di poteri di imperio la PA non può ricavare un utile, divenendo proprietaria del bene, senza erogare alcunché al privato spogliato. Nell'indicata premessa anche l'usucapione ventennale (cui si fa cenno incidentalmente in Cass. n.22929/2017 e su cui interviene anche SU Cass. n. 735/2015) resta quindi subordinata nella relativa integrazione all'evidenza che la PA deduca e dimostri in suo favore l'interversione del possesso in discontinuità con il precedente titolo, non essendo sufficienti né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all'esercizio del possesso, che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 che esprime il seguente principio di diritto “<em>per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis TU Espropri, l’illecito permanente dell’Autorità viene meno nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la relativa restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva: la rinuncia abdicativa non può dunque essere ravvisata</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio si trova ad affrontare la questione riguardante la configurabilità, nel nostro ordinamento giuridico, della rinuncia abdicativa quale atto implicito ed implicato nella proposizione, da parte di un privato illegittimamente espropriato, della domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario derivante dall’illecito permanente costituito dall’occupazione di un suolo da parte della P.A., a fronte della irreversibile trasformazione del fondo.</p> <p style="text-align: justify;">La questione, infatti, non riguarda l’ammissibilità in generale dell’istituto della rinuncia abdicativa, che conosce un vivace dibattito in altri settori dell’ordinamento. Infatti, benché il Legislatore non abbia espressamente disciplinato in una norma <em>ad hoc</em> la rinuncia abdicativa, la prevalente tradizionale dottrina ne afferma la sua ammissibilità.</p> <p style="text-align: justify;">Trattasi di un negozio giuridico unilaterale, non recettizio, con il quale un soggetto, il rinunciante, nell’esercizio di una facoltà, dismette, abdica, perde una situazione giuridica di cui è titolare, <em>rectius</em> esclude un diritto dal suo patrimonio, senza che ciò comporti trasferimento del diritto in capo ad altro soggetto, né automatica estinzione dello stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Gli ulteriori effetti, estintivi o modificativi del rapporto, che possono anche incidere sui terzi, sono, infatti, solo conseguenze riflesse del negozio rinunziativo, non direttamente ricollegabili all’intento negoziale e non correlate al contenuto causale dell’atto, tant’è che la rinuncia abdicativa si differenzia dalla rinuncia cd. traslativa proprio per la mancanza del carattere traslativo-derivativo dell’acquisto e per la mancanza di natura contrattuale, con la conseguenza che l’effetto in capo al terzo si produce <em>ipso iure</em>, a prescindere dalla volontà del rinunciante, quale mero effetto di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Per il suo perfezionamento non è, pertanto, richiesto l’intervento o l’espressa accettazione del terzo né che lo stesso debba esserne notiziato.</p> <p style="text-align: justify;">La tesi della rinuncia abdicativa deriva dai principi affermati in tema dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 9 febbraio 2016, n. 2, intervenuta peraltro per la diversa finalità di chiarire quali siano i poteri del commissario ad acta nominato per l’esecuzione dei provvedimenti occorrenti ad ottemperare ad un giudicato amministrativo relativo ad una vicenda di acquisizione cd. sanante ex art. 42-bis. TUEs.</p> <p style="text-align: justify;">La tesi in discussione è stata per la prima volta organicamente e sistematicamente ammessa dalla giurisprudenza amministrativa con la sentenza del CGA 25 maggio 2009, n. 486 ed è stata ricostruita negli stessi termini dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 19 gennaio 2015, n. 735), per i casi devoluti alla giurisdizione del giudice civile, nei giudizi instaurati prima della entrata in vigore della legge n. 205-2000, che ha poi previsto la giurisdizione amministrativa esclusiva in materia espropriativa.</p> <p style="text-align: justify;">L’orientamento favorevole evidenzia che tale linea ricostruttiva presenta, sul piano pratico, aspetti favorevoli per il privato espropriato.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, infatti, valorizza il principio di concentrazione della tutela ricavabile ex art. 111 Cost., quale corollario del principio di ragionevole durata del processo, che sarebbe pregiudicato dalla sua segmentazione in una fase amministrativistica relativa al giudizio sulla legittimità degli atti espropriativi e in una fase civilistica per la determinazione del quantum da corrispondere al soggetto espropriato.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, offre maggiori garanzie di compensare integralmente l’utilità (<em>rectius</em>: il bene) perduto dal privato, poiché, il quantum deve essere corrisposto al soggetto espropriato a titolo di risarcimento del danno (che è ordinariamente integrale) e non a titolo di indennizzo (che invece, come è noto, è solo parametrato al valore del bene perduto).</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, poiché il risarcimento del danno è connesso alla proposizione della relativa domanda da parte del privato in giudizio, che implica rinuncia abdicativa, è da tale momento che si verifica un debito di valore, con tutte le note implicazioni in tema di interessi legali e rivalutazione.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza Plenaria ritiene tuttavia che l’ipotesi ricostruttiva della rinuncia abdicativa, quanto meno nella materia in esame, non possa essere condivisa.</p> <p style="text-align: justify;">Essa, invero, sul piano strutturale e normativo, si espone a un triplice ordine di obiezioni; e segnatamente:</p> <p style="text-align: justify;">– non spiega esaurientemente la vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante;</p> <p style="text-align: justify;">– la rinuncia viene ricostruita quale atto implicito, secondo la nota dogmatica degli atti impliciti, senza averne le caratteristiche essenziali;</p> <p style="text-align: justify;">– soprattutto, e in senso decisivo e assorbente, non è provvista di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato con forza sia a livello costituzionale (art. 42 Cost.), sia a livello di diritto europeo. Viene ricordato, infatti, sotto questo profilo, che occorre evitare, in materia di espropriazione cd. indiretta, di ricorrere a istituti che in qualche modo si pongano sulla falsariga della cd.occupazione acquisitiva, cui la giurisprudenza fece ricorso negli anni Ottanta del secolo scorso per risolvere le situazioni connesse a una espropriazione illegittima di un terreno che avesse tuttavia subìto una irreversibile trasformazione in forza della costruzione di un’opera pubblica. E’ noto che tale istituto non può più trovare spazio nel nostro ordinamento a seguito delle ripetute pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ne hanno evidenziato la contrarietà alla Convenzione Europea, in particolare per quanto riguarda l’art. 1 del primo protocollo Addizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda la prima obiezione (mancata spiegazione esauriente della vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante), si deve rilevare, infatti, che se l’atto abdicativo è astrattamente idoneo a determinare la perdita della proprietà privata, non è altrettanto idoneo a determinare l’acquisto della proprietà in capo all’Autorità espropriante.</p> <p style="text-align: justify;">Nel diritto privato, è discusso se l’art. 827 c.c. possa essere la base legale di una dichiarazione di rinuncia del proprietario di un diritto reale immobiliare, a parte i casi previsti dalla legge, ed effettivamente tale norma prevede che gli immobili che non sono in proprietà di alcuno spettino al patrimonio dello Stato, quale effetto giuridico conseguente ad una determinata situazione di fatto (vacanza del bene).</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, tale acquisto, peraltro a titolo originario e non derivativo, si realizzerebbe in capo allo Stato e non in capo all’Autorità espropriante, attuale occupante e in possesso del bene, che sarebbe del tutto esclusa dalla vicenda giuridica pur avendone costituito la causa efficiente tramite l’illecita apprensione del bene del privato.</p> <p style="text-align: justify;">La spiegazione dell’effetto traslativo, pertanto, sarebbe del tutto eccentrica rispetto al rapporto amministrativo che viene innescato dall’Amministrazione espropriante, rendendo evidente l’artificiosità della soluzione teorica proposta.</p> <p style="text-align: justify;">Né l’effetto traslativo può essere recuperato attraverso l’ordine di trascrizione della sentenza di condanna al risarcimento del danno (e, quindi, della sua rinuncia abdicativa implicita a favore dell’Amministrazione espropriante), atteso che, come è noto, le vicende della trascrizione si pongono solo sul piano dell’opponibilità verso terzi degli atti giuridici dispositivi di diritti reali, ma non disciplinano la validità e l’efficacia giuridica degli stessi. Se l’atto non è in sé idoneo a determinare il passaggio del bene in capo all’Amministrazione espropriante non potrà già di per sé essere trascrivibile e all’eventuale ordine del giudice contenuto nella sentenza non potrebbe riconoscersi base legale.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda la seconda obiezione (rinuncia abdicativa quale atto implicito, ma carenza in tale rinuncia delle caratteristiche essenziali degli atti impliciti), si deve ricordare che la rinuncia abdicativa, se riferita al ricorso giurisdizionale, non viene effettuata dalla parte, né personalmente, né attraverso un soggetto dotato di idonea procura.</p> <p style="text-align: justify;">Nel campo del diritto amministrativo, come è noto, è ammessa la sussistenza del provvedimento implicito quando l’Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò che emerge dalla dogmatica degli atti impliciti nel diritto amministrativo è inequivocabilmente la sussistenza di un atto formale, perfetto e validamente emanato il quale contiene “per implicito” un’ulteriore volontà provvedimentale, oltre a quella espressa <em>claris verbis</em> nel testo del provvedimento medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">E’ evidente, in questa ricostruzione, che non sussistono violazioni del principio di legalità dell’azione amministrativa perché la volontà amministrativa esiste ed è contenuta in un atto avente tutte le caratteristiche previste dalla legge per conferirle validità, con la peculiarità che detta volontà è ricavabile da un’interpretazione non meramente letterale dell’atto.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di specie, tuttavia, l’istituto della rinuncia abdicativa si pone come radicalmente estraneo alla teorica degli atti impliciti che, così come ricordato, riguarda solo gli atti amministrativi e non gli atti del privato.</p> <p style="text-align: justify;">Né è possibile, evidentemente, utilizzare lo stesso paradigma per ricondurre la volontà di chiedere il risarcimento del danno alla volontà di abdicare alla proprietà privata.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, sul piano sostanziale, non sembra che da una domanda risarcitoria sia possibile univocamente desumere (null’altro che) la rinuncia del privato al bene: la domanda risarcitoria, infatti, denuncia inequivocabilmente un illecito di cui la parte richiede la riparazione; ma a fronte della pluralità di strumenti offerti dall’ordinamento nonché in presenza di una disciplina legale del procedimento espropriativo, la domanda risarcitoria non può costituire univoca volontà espressa di rinuncia al bene.</p> <p style="text-align: justify;">Sul piano formale, poi, va considerato che la domanda di risarcimento del danno contenuta nel ricorso giurisdizionale amministrativo è una domanda redatta e sottoscritta dal difensore e non dalla parte proprietaria del bene che ha la disponibilità dello stesso e che è l’unico soggetto avente la legittimazione ad abdicarvi, in quanto atto incidente e dispositivo di un bene immobiliare proprio della parte.</p> <p style="text-align: justify;">Né è, altrettanto evidentemente rinvenibile una procura a vendere (rectius: a rinunciare) nel mandato difensivo della parte al proprio difensore, che non contiene neppure implicitamente una legittimazione al difensore a rinunciare al diritto di proprietà del proprio assistito.</p> <p style="text-align: justify;">Ma, al di là delle criticità che appalesa l’adesione alla teoria della rinuncia abdicativa nella materia in questione, il Collegio ritiene decisiva, per la soluzione del quesito posto, la terza ed ultima obiezione (assenza di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove è centrale il principio di legalità), di cui deve rimarcarsi il carattere assorbente per escludere l’operatività della rinuncia abdicativa quale strumento legalmente idoneo a definire l’assetto degli interessi coinvolti in una vicenda di espropriazione cd.indiretta.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, si deve ricordare in primo luogo che, ai sensi dell’art. 42, commi 2 e 3 Cost., la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge (che, peraltro, “ne determina i modi di acquisto”) e può essere, “nei casi preveduti dalla legge”, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.</p> <p style="text-align: justify;">La rinuncia abdicativa non costituisce uno dei casi previsti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Anzi, in una certa prospettiva, sembra richiamare l’ormai tramontato istituto dell’occupazione acquisitiva, di cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha evidenziato la contrarietà alla Convenzione Europea.</p> <p style="text-align: justify;">Come è noto, l’istituto della c.d. occupazione “appropriativa” o “acquisitiva”, che determinava l’acquisizione della proprietà del fondo a favore della pubblica amministrazione per “accessione invertita”, allorché si fosse verificata l’irreversibile trasformazione dell’area, è un istituto di origine pretoria, sorto con la sentenza della Corte di Cassazione 26 febbraio 1983, n. 1464.</p> <p style="text-align: justify;">L’istituto, che pure rispondeva, nel silenzio della legge, all’esigenza pratica e sistematica di definire l’assetto proprietario di un bene illegittimamente occupato e il conseguente assetto degli interessi, risultava peraltro evidentemente privo di base legale ed è stato pertanto ritenuto illegittimo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la conseguenza che, attualmente, il mero fatto dell’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non assurge a titolo di acquisto, non determina il trasferimento della proprietà e non fa venire meno l’obbligo dell’Amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso.</p> <p style="text-align: justify;">L’istituto della rinuncia abdicativa, di chiara matrice pretoria, finirebbe per presentare gli stessi problemi e dubbi interpretativi entrando in eliminabile tensione con i principi enunciati dalla Corte Europea e con le guarentigie apprestate al diritto di proprietà dalla nostra Carta Costituzionale.</p> <ol style="text-align: justify;" start="7"> <li>E’ nel delineato contesto normativo che il legislatore nazionale è intervenuto per regolare la fattispecie in esame, fornendo per ciò stesso una base legale, sistematica e coerente, alla disciplina ivi prevista, dapprima con l’art. 43 TUEs. (approvato con il d.P.R. n. 327-2001 ed entrato in vigore il 30 giugno 2003) e poi, dopo la dichiarazione della sua incostituzionalità per eccesso di delega, con l’art. 42-bis (introdotto nel testo unico dall’art. 34, comma 1, L. n. 111 del 2011).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Infatti, per i casi di occupazione <em>sine titulo</em> di un fondo da parte della Autorità devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è in vigore la specifica disciplina prevista dall’art. 42-bis del testo unico sugli espropri, che ha in dettaglio individuato i poteri e i doveri della medesima Autorità, nonché i poteri del giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 42-bis, in particolare:</p> <p style="text-align: justify;">– prevede che l’Autorità che utilizza <em>sine titulo</em> un bene immobile per scopi di interesse pubblico, dopo aver valutato, con un procedimento d’ufficio (che può essere sollecitato dalla parte in caso di inerzia), gli interessi in conflitto, adotti un provvedimento conclusivo del procedimento con cui sceglie se acquisire il bene o restituirlo, al fine di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto;</p> <p style="text-align: justify;">– in altri termini, vincola l’Amministrazione occupante all’esercizio del potere ed attribuisce alla stessa un potere discrezionale in ordine alla scelta finale, all’esito della comparazione degli interessi;</p> <p style="text-align: justify;">– comporta che, nel caso di occupazione <em>sine titulo</em>, l’Autorità commette un illecito di carattere permanente;</p> <p style="text-align: justify;">– esclude che il giudice decida la ‘sorte’ del bene nel giudizio di cognizione instaurato dal proprietario;</p> <p style="text-align: justify;">– a maggior ragione, non può che escludere che la ‘sorte’ del bene sia decisa dal proprietario e che l’Autorità acquisti coattivamente il bene, sol perché il proprietario dichiari di averlo perso o di volerlo perdere, o di volere il controvalore del bene. Come se il proprietario del bene fosse titolare di una sorta di diritto potestativo a imporre il trasferimento della proprietà, mediante rinuncia al bene (implicita o esplicita che sia), previa corresponsione del suo controvalore (non rileva, sotto questo profilo, se a titolo risarcitorio o indennitario).</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 42-bis ha, quindi, definito in maniera esaustiva la disciplina della fattispecie, con una normativa autosufficiente, rispetto alla quale non trovano spazio elaborazioni giurisprudenziali che, se forse giustificate in assenza di una base legale, non si giustificano più una volta che intervenga un’esplicita disciplina normativa, ritenuta conforme al diritto europeo e alla Costituzione, che viene a costituire la base legale espressa della fattispecie in questione.</p> <p style="text-align: justify;">La fattispecie di cui al predetto art. 42-bis è evidentemente delineata in termini di potere-dovere: non implica certo che l’Amministrazione debba necessariamente procedere all’acquisizione del bene, ma impone che essa eserciti doverosamente il potere di valutare se apprendere il bene definitivamente o restituirlo al soggetto privato, secondo una concezione di potere-dovere, o doverosità di certe funzioni, che è nota da tempo nel tessuto del diritto amministrativo e che discende dai noti principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.).</p> <p style="text-align: justify;">Già l’art. 43, poi dichiarato incostituzionale, peraltro, aveva consapevolmente introdotto nel sistema norme di chiusura, volte ad attribuire all’autorità amministrativa il potere di dare a regime una soluzione al caso concreto quando gli atti del procedimento divengano inefficaci per decorso del tempo o siano annullati dal giudice amministrativo, consentendo ‘una legale via d’uscita per gli illeciti già verificatisi’: analoghe considerazioni valgono, dunque, per l’art 42-bis che ne ha ereditato lo scopo e la funzione.</p> <p style="text-align: justify;">Ad avviso dell’Adunanza Plenaria, dunque, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis una rigorosa applicazione del principio di legalità, in materia affermato dall’art. 42 della Costituzione e rimarcato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, richiede una base legale certa perché si determini l’effetto dell’acquisto della proprietà in capo all’espropriante. E se la norma non prevede alcun riferimento a un’ipotesi di rinuncia abdicativa – che, peraltro, così delineata, avrebbe tutti i caratteri strutturali e gli effetti di una rinuncia traslativa - è stato per converso introdotto nell’ordinamento una disciplina specifica e articolata che attribuisce all’amministrazione una funzione autoritativa in forza della quale essa può scegliere tra restituzione del bene o acquisizione della proprietà nel rispetto dei requisiti sostanziali e secondo le modalità ivi previsti. Nessuna norma attribuisce per contro al soggetto espropriato, pur a fronte dell’illegittimità del titolo espropriativo, un diritto, sostanzialmente potestativo, di determinare l’attribuzione della proprietà all’amministrazione espropriante previa corresponsione del risarcimento del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, poiché l’art. 42-bis dispone che il titolo di acquisto possa essere l’atto di acquisizione (espressione di una scelta dell’autorità), si ritiene che non si possa attribuire alcun rilievo a tal fine a un atto diverso, vale a dire al successivo atto di liquidazione del danno, peraltro emanato in esecuzione di una sentenza; in altre parole, né dall’art. 42-bis né da altra norma può ricavarsi l’attribuzione dell’effetto giuridico di rinuncia abdicativa alla fattispecie complessa derivante dalla coesistenza della sentenza di condanna e dell’atto di liquidazione del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, per l’art. 42-bis l’autorità può acquisire il bene con un atto discrezionale, in assenza del quale scattano gli ordinari rimedi di tutela, compreso quello restitutorio, non residuando alcuno spazio per giustificare la perdurante inerzia dell’amministrazione, che non solo apprende in modo illecito il bene del privato, ma che attraverso una propria omissione (non esercitando il potere all’uopo previsto dalla legge) finirebbe per ottenere la proprietà del bene stesso ancora una volta al di fuori delle procedure legali previste dall’ordinamento.</p> <p style="text-align: justify;">La scelta, di acquisizione del bene o della sua restituzione, va effettuata esclusivamente dall’autorità (o dal commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo, all’esito del giudizio di cognizione o del giudizio d’ottemperanza, ai sensi dell’art. 34 o dell’art. 114 c.p.a): in sede di giurisdizione di legittimità, né il giudice amministrativo né il proprietario possono sostituire le proprie valutazioni a quelle attribuite alla competenza e alle responsabilità dell’autorità individuata dall’art. 42-bis.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, il giudice amministrativo, in caso di inerzia dell’Amministrazione e di ricorso avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a., può nominare già in sede di cognizione il commissario ad acta, che provvederà ad esercitare i poteri di cui all’art. 42-bis d.P.R. n. 327-2001 o nel senso della acquisizione o nel senso della restituzione del bene illegittimamente espropriato.</p> <p style="text-align: justify;">Qualora, invece, sia invocata solo la tutela (restitutoria e risarcitoria) prevista dal codice civile e non si richiami l’art. 42-bis, il giudice deve pronunciarsi tenuto conto del quadro normativo sopra delineato e del carattere doveroso della funzione attribuita dall’articolo 42bis all’amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Non sarebbe peraltro ammissibile una richiesta solo risarcitoria, in quanto essa si porrebbe al di fuori dello schema legale tipico previsto dalla legge per disciplinare la materia ponendosi anzi in contrasto con lo stesso. Il che non significa che il giudice possa nondimeno, ove ne ricorrano i presupposti fattuali, accogliere la domanda.</p> <p style="text-align: justify;">A ben vedere, infatti, la domanda risarcitoria, al pari delle altre domande che contestino la validità della procedura espropriativa, consiste essenzialmente nell’accertamento di tale illegittimità e nella scelta del conseguente rimedio tra quelli previsti dalla legge. E’ infatti la legge speciale, nel caso di espropriazione senza titolo valido, a indicare quali siano gli effetti dell’accertata illegittimità: il trasferimento non avviene per carenza di titolo e il bene va restituito. La restituzione può essere impedita dall’amministrazione, la quale è tenuta, nell’esercizio di una funzione doverosa (e non di una mera facoltà di scelta) a valutare se procedere alla restituzione del bene previa riduzione in pristino o all’acquisizione del bene nel rispetto di tutti i presupposti richiesti dall’articolo 42 bis e con la corresponsione di un’indennità pari al valore del bene maggiorato del 10 per cento (e quindi con piena e integrale soddisfazione delle pretese dell’espropriato).</p> <p style="text-align: justify;">Ad ogni modo, l’ordinamento processuale amministrativo offre un adeguato strumentario per evitare, nel corso del giudizio, che le domande proposte in primo grado, congruenti con quello che allora appariva il vigente quadro normativo e l’orientamento giurisprudenziale di riferimento assurto a diritto vivente, siano di ostacolo alla formulazione di istanze di tutela adeguate al diverso contesto normativo e giurisprudenziale vigente al momento della decisione della causa in appello, quali la conversione della domanda ove ne ricorrano le condizioni, la rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 Cod. proc. amm. o l’invito alla precisazione della domanda in relazione al definito quadro giurisprudenziale, in tutti i casi previa sottoposizione della relativa questione processuale, in ipotesi rilevata d’ufficio, al contraddittorio delle parti ex art. 73, comma 3, Cod. proc., a garanzia del diritto di difesa di tutte le parti processuali.</p> <p style="text-align: justify;">Resta poi fermo che la qualificazione delle domande proposte in giudizio passa attraverso l’interpretazione dei relativi atti processuali, rimessa al giudice investito della decisione della controversia nel merito.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 febbraio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 che si pronuncia su quattro quesiti, e precisamente:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) se il giudicato civile, sull’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo, precluda o meno l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio, col mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare;</li> <li>b) se la formazione del giudicato interno – sulla statuizione del TAR per cui il giudicato civile consente l’attivazione di un ordinario procedimento espropriativo – imponga nella specie di affermare che sussiste anche il potere dell’Amministrazione di imporre la servitù di passaggio ex art. 42 bis, comma 6;</li> <li>c) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista anche quando la sentenza (nella specie, del giudice civile) non abbia espressamente precluso l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto;</li> <li>d) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista solo in relazione ai giudicati formatisi dopo la pubblicazione della sentenza della Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, ovvero anche in relazione ai giudicati formatisi in precedenza.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Prima di rispondere a tali questioni la Plenaria deve, innanzi tutto, verificare l’applicabilità (o meno) dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001 anche al di fuori dei casi in cui vi sia stato un procedimento espropriativo e questo non si sia concluso o si sia concluso con un provvedimento poi annullato dal giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Ed infatti, la verifica della “compatibilità” del decreto di acquisizione ex art. 42-bis con un giudicato restitutorio, in specie formatosi su sentenza del giudice civile dichiarativa della nullità di un contratto di compravendita (o, se si preferisce, la possibilità di esercizio del potere ex art. 42-bis pur in presenza di una sentenza passata in giudicato che ordina la restituzione del bene), presuppone la previa risoluzione del problema costituito dall’ambito di applicazione del medesimo art. 42-bis (se esso possa, cioè, applicarsi anche in ipotesi diverse da quelle ritenute dalla sentenza impugnata) di modo che:</p> <p style="text-align: justify;">– se si considera tale disposizione applicabile (come vuole l’ordinanza) “ad ogni caso in cui – per qualsiasi ragione – un bene immobile altrui sia utilizzato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico”, allora (e solo allora) potrà verificarsi se, più specificamente, il potere conferito dall’art. 42 bis potrà essere esercitato anche in presenza di un giudicato restitutorio (e, ancor più specificamente, in presenza di una sentenza declaratoria della nullità di un contratto di compravendita);</p> <p style="text-align: justify;">– se, invece, si considera l’art. 42 bis limitato “solo a vicende in cui la P.A. agisce nella sua veste di autorità”, allora appare evidente come nessuno dei quesiti posti dall’ordinanza di rimessione potrebbe essere esaminato nel merito.</p> <p style="text-align: justify;">In definitiva, la prospettazione dei quesiti così come articolata si fonda su un presupposto (l’ambito “ampio” di applicazione dell’art. 42 bis), assunto come “acquisito”, mentre esso deve essere oggetto di necessaria verifica nella presente sede.</p> <p style="text-align: justify;">E ciò anche al fine di evitare che – non esaminando tale presupposto logico-giuridico dei quesiti espressamente formulati – si possa pervenire ad una implicita (e dunque non chiara) adesione, da parte della Adunanza Plenaria, alla tesi della positiva sussistenza di quello che si è definito l’ambito “ampio” di applicazione dell’art. 42 bis (la cui applicabilità potrebbe essere eventualmente esclusa per ragioni specifiche, ma non per una sua propria limitazione ontologica).</p> <p style="text-align: justify;">Così impostata la questione sottoposta a giudizio, ne consegue che solo nel caso in cui l’art. 42 bis sia ritenuto applicabile in tutti i casi in cui “<em>per qualsiasi ragione un immobile altrui sia utilizzato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico</em>”, si potrà passare all’esame dei quesiti espressamente sottoposti all’esame dell’Adunanza Plenaria, secondo il seguente ordine logico-giuridico:</p> <p style="text-align: justify;">– in primo luogo, occorre verificare se il giudicato civile “precluda o meno l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio, con mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare (quesito sub a), e ciò anche nel caso in cui la sentenza non abbia espressamente precluso l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis (quesito sub c);</p> <p style="text-align: justify;">– in secondo luogo (presupponendo i quesiti innanzi citati risolti in senso negativo per l’applicabilità dell’art. 42 bis), se la formazione di un giudicato interno sulla statuizione della sentenza impugnata circa la attivazione di un ordinario procedimento espropriativo, “imponga nella specie di affermare che sussiste anche il potere dell’amministrazione di imporre la servitù di passaggio ex art. 42 bis, co. 6” (quesito sub b);</p> <p style="text-align: justify;">– da ultimo – e solo se tutti i precedenti quesiti ricevano risposta negativa – se è possibile limitare temporalmente la preclusione del giudicato restitutorio ai soli giudicati formatisi dopo la pubblicazione della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2/2016.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza Plenaria ritiene che l’art. 42 bis DPR 8 giugno 2001 n. 327 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) trovi applicazione in tutti i casi in cui un bene immobile altrui sia nella disponibilità e sia stato utilizzato dall’amministrazione pubblica per finalità di pubblico interesse, pur in assenza di titolo.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 42 bis citato (recante “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico), prevede, per quel che interessa nella presente sede:</p> <p style="text-align: justify;">“<em>1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><em> Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira…(Omissis)…</em></li> <li><em> Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia…</em>.”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">La stessa formulazione letterale dell’art. 42 bis induce a ritenere che questa disposizione, lungi dal poter trovare applicazione solo nei casi in cui “<em>la P.A. agisce nella sua veste di autorità, sia pure senza un valido titolo</em>”, deve essere invece intesa come una “disposizione di chiusura” del sistema.</p> <p style="text-align: justify;">Argomentando, in particolare, dal comma 1 dell’art. 42 bis, può affermarsi che tale articolo trova, quindi, possibile applicazione in tutti i casi in cui un bene immobile, che si trovi nella disponibilità dell’amministrazione, sia stato da questa utilizzato (o sia da questa in corso di utilizzazione), e dunque modificato nella sua consistenza materiale, per finalità di pubblico interesse; finalità che denota l’agire dell’amministrazione quale pubblica autorità.</p> <p style="text-align: justify;">Già la stessa rubrica dell’articolo (pur nei limiti di ausilio all’interpretazione propri della stessa) è indicativa della predisposizione di un rimedio “generale” per i casi di “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, senza limitare l’ambito del medesimo articolo alle ipotesi connesse all’esercizio di un potere amministrativo specifico (segnatamente di tipo ablatorio).</p> <p style="text-align: justify;">Più esplicitamente in tal senso, il comma 1 rende possibile l’esercizio del potere, previsto dall’art. 42 bis, a tutti i casi in cui l’amministrazione “utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”.</p> <p style="text-align: justify;">Dal comma 1 dell’art. 42 bis si evince che i presupposti fondanti il potere di acquisizione siano unicamente due, cioè l’avvenuta modifica del bene immobile e la sua utilizzazione per scopi di interesse pubblico, senza che assumano alcun rilievo le circostanze che hanno condotto alla occupazione sine titulo e alla riconducibilità di tali circostanze a vicende di natura privatistica o pubblicistica.</p> <p style="text-align: justify;">A ciò va aggiunto che il comma 2, lungi dal restringere l’ambito di applicazione dell’art. 42 bis ai casi connessi con l’esercizio di un potere amministrativo (quale che ne sia la legittimità), afferma come il provvedimento di acquisizione possa essere adottato “anche” quando siano stati annullati l’atto di vincolo preordinato all’esproprio, l’atto di dichiarazione della pubblica utilità dell’opera ovvero il decreto di espropriazione; in tal modo – attraverso l’uso della locuzione “anche” – si esclude proprio una applicazione della norma limitata ai soli casi di illegittimo esercizio in concreto del potere amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Anche il comma 4, nel descrivere il contenuto del provvedimento di acquisizione, impone che questo debba recare “l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio”, senza limitare tale indicazione a una o più specifiche forme di “indebita utilizzazione”.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza Plenaria (sent. 9 febbraio 2016 n. 2) ha già affermato come l’art. 42 bis “<em>introduce una norma di natura eccezionale</em>” e che l’acquisizione ivi prevista “<em>costituisce una delle possibili cause legali di estinzione di un fatto illecito</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Tale articolo “configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell’infrastruttura realizzata sine titulo”.</p> <p style="text-align: justify;">La natura di “norma di chiusura”, propria dell’art. 42-bis – desumibile anche dai principi (ora riportati) già espressi da questa Adunanza Plenaria – rende evidente la finalità di ricondurre nell’alveo legale del sistema tutte le situazioni in cui l’amministrazione, quale che ne sia la causa, si trovi ad avere utilizzato la proprietà privata per ragioni di pubblico interesse, ma in difetto di un valido titolo legittimante.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che il dato letterale della norma non osta all’applicazione dell’art. 42 bis nelle ipotesi in cui il difetto di titolo si manifesti per intervenuta declaratoria di nullità ovvero per annullamento del contratto di compravendita.</p> <p style="text-align: justify;">La possibilità di consentire l’applicazione dell’art. 42 bis (e, quindi, del decreto di acquisizione) in tutte le ipotesi in cui per qualsiasi ragione un bene immobile altrui sia utilizzato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico, oltre a non essere impedita dal dato letterale della disposizione, risulta coerente anche con un inquadramento logico-sistematico della disposizione medesima, nell’ambito di una più generale riflessione sull’attività amministrativa e sugli strumenti ad essa inerenti.</p> <p style="text-align: justify;">A fronte del testo dell’art. 42 bis che richiede che l’utilizzazione sine titulo del bene deve essere comunque intervenuta “per scopi di interesse pubblico”, giova ricordare che l’attività della pubblica amministrazione risulta costantemente funzionalizzata alla cura, tutela, perseguimento dell’interesse pubblico, sia che a tali fini vengano esercitati poteri pubblicistici ad essa conferiti – e dei quali l’interesse pubblico costituisce, al tempo stesso, la causa dell’attribuzione e la giustificazione dell’esercizio in concreto – sia che vengano utilizzati strumenti propri del diritto privato, in un contesto generale già delineato attraverso l’esercizio di potestà pubbliche.</p> <p style="text-align: justify;">Tale affermazione, che può essere ritenuta ormai principio acquisito dall’ordinamento, trova il suo riscontro nell’art. 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241, che, nell’enunciare i “principi generali dell’attività amministrativa”, prevede che la stessa si effettui sia mediante l’esercizio di poteri autoritativi, sia ricorrendo ad istituti di diritto privato (“salvo che la legge non disponga diversamente”).</p> <p style="text-align: justify;">L’azione amministrativa che si concretizza nell’emanazione di provvedimenti amministrativi, ovvero quella che si svolge, in forma paritetica, attraverso la sottoscrizione di accordi con i soggetti privati (art. 11 l. n. 241/1990, in particolare attraverso gli accordi sostitutivi di provvedimento), così come la stessa azione che utilizza direttamente strumenti disciplinati dal diritto privato (in specie, contratti), partecipa dell’unica (ed unificante) ragione di interesse pubblico, che la sorregge e giustifica., rappresentandone la causa in senso giuridico.</p> <p style="text-align: justify;">Con la precisazione che, mentre nelle prime due ipotesi le finalità di pubblico interesse sono implicite nello stesso ricorso ad atti “tipici”, quali il provvedimento amministrativo o l’accordo (procedimentale o sostitutivo), nella terza ipotesi il ricorso ad atti di diritto privato (e, segnatamente, contratti tipici e nominati previsti dal codice civile) in tanto può essere ricondotta all’ambito di una azione amministrativa funzionalizzata, in quanto essa si iscriva, anche in ossequio al principio di legalità dell’azione amministrativa, in un contesto di finalità di interesse pubblico, previamente definito mediante l’esercizio dei poteri all’uopo occorrenti e obiettivamente accertabile.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio tale più generale immanenza dell’interesse pubblico, anche in ipotesi ulteriori rispetto a quella di natura provvedimentale, ha già fatto più volte affermare alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la irriducibilità degli accordi di cui all’art. 11 della l. n. 241/1990 a meri “strumenti di matrice civilistica”.</p> <p style="text-align: justify;">Si è a tal fine osservato che “fermi i casi di contratti di diritto privato (per i quali trovano certamente applicazione le disposizioni del codice civile), nei casi invece di contratto ad oggetto pubblico l’amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale posizione di supremazia; tali contratti non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato, ma meramente dai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti”, sempre “in quanto compatibili” e salvo che “non diversamente previsto”.</p> <p style="text-align: justify;">Orbene, alle ipotesi costituite da accordi tra amministrazione e privati – e specificamente accordi sostitutivi aventi contenuto patrimoniale (cui, secondo una definizione comunemente invalsa, può attribuirsi il nomen di “contratti ad oggetto pubblico”, in quanto disciplinanti aspetti patrimoniali connessi all’esercizio di potestà: v. Cons. Stato, sez. IV, n. 2256/2017 cit.) – ben possono affiancarsi le ipotesi in cui l’amministrazione stipuli contratti di diritto privato in un quadro che – pur non caratterizzato dallo svolgimento di un procedimento amministrativo o in sostituzione di questo – risulta tuttavia già delineato dal precedente esercizio di poteri pubblici, con i quali si è già provveduto ad individuare le finalità di pubblico interesse da perseguire.</p> <p style="text-align: justify;">Con riguardo ai cd. contratti ad oggetto pubblico ed ai cd. contratti ad evidenza pubblica, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare come la finalità di pubblico interesse ne determini diversamente il contenuto.</p> <p style="text-align: justify;">Nei primi (contratti ad oggetto pubblico), la predetta finalità “non costituisce (né lo potrebbe) una “immanenza” esterna alla convenzione/contratto, ma essa – in quanto la Pubblica Amministrazione persegue sempre nella sua azione interessi pubblici, in conformità al principio di legalità, quale che sia il modulo utilizzato – conforma il contratto medesimo, ed in particolare – proprio in ragione delle definizioni che il diritto privato ne offre – gli elementi essenziali della causa e dell’oggetto”.</p> <p style="text-align: justify;">Nei secondi (contratti ad evidenza pubblica) – laddove non è presente una regolazione degli aspetti patrimoniali dell’esercizio della potestà, ma sono presenti solo procedimenti antecedenti al contratto, volti ad individuare il soggetto contraente con la pubblica amministrazione – tuttavia “una volta scelto il contraente, il contratto stipulato successivamente alla fase di evidenza pubblica non rifluisce “immediatamente” nella più generale disciplina del codice civile e delle ulteriori disposizioni che eventualmente regolano il rapporto patrimoniale consensualmente instaurato tra privati. Ciò è a tutta evidenza negato dalla stessa presenza di una (copiosa) disciplina speciale che normalmente assiste il momento genetico e quello funzionale del contratto, e che non può che giustificarsi se non in ragione della “particolare natura” dello stesso; laddove tale “particolare” natura non è costituita dall’esservi la pubblica amministrazione quale soggetto contraente, bensì dall’essere la causa e l’oggetto del contratto differentemente conformati, in ragione delle finalità di interesse pubblico perseguite con il contratto, e dunque con l’adempimento delle obbligazioni assunte per il tramite delle rispettive prestazioni (a seconda dei casi, l’opus o il servizio)”.</p> <p style="text-align: justify;">In definitiva, ulteriormente riflettendo sui risultati cui è già pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato in riferimento a speciali categorie di contratti, ben può affermarsi che nei casi in cui la pubblica amministrazione – dopo avere individuato per il tramite di un generale e preventivo atto di esercizio di potestà, anche in ossequio al principio di legalità, la finalità di pubblico interesse – decida di perseguire quest’ultima non già attraverso procedimenti amministrativi tipici ed esercizio di poteri provvedimentali, bensì ricorrendo a ordinari modelli privatistici (nei limiti consentiti dall’ordinamento), la predetta finalità di interesse pubblico resta immanente al contratto ed al rapporto così posto in essere.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò comporta, di conseguenza, che, laddove la finalità di pubblico interesse non risulta (o non risulta più) essere perseguita (o perseguibile) per il tramite del contratto, non può escludersi, in generale, che l’amministrazione possa intervenire sul rapporto insorto (ovvero sulle conseguenze di fatto di un rapporto comunque cessato) per il tramite dell’esercizio di poteri pubblicistici.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto precisato, si osserva che la pluralità delle modalità di scansione dell’attività amministrativa funzionalizzata, come innanzi illustrata, non consente una “divaricazione” così netta, come quella sostenuta dal primo giudice; come se il perseguimento dell’interesse pubblico possa essere individuato solo nell’attività amministrativa mediante esercizio di poteri autoritativi, o come se, in una sorta di non previsto “principio di alternatività sostanziale”, una volta intrapresa la via del diritto privato non possa più essere utilizzata quella disciplinata dal diritto pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò comporta che l’art. 42 bis ben può trovare applicazione anche in casi di utilizzazione del bene sine titulo, non ostando a ciò (nei sensi innanzi esposti) la sussistenza (o preesistenza) di un rapporto svoltosi sotto l’egida del diritto privato.</p> <p style="text-align: justify;">A maggior conferma di quanto esposto, occorre osservare che:</p> <p style="text-align: justify;">– per un verso, non sussistono particolari dubbi in ordine all’applicabilità dell’art. 42 bis alle ipotesi di utilizzazione del bene per effetto di contratto di cessione volontaria (art. 20 DPR n. 327/2001) successivamente dichiarato nullo o annullato; contratto che, pur presentando evidenti aspetti di connessione con il procedimento espropriativo, tuttavia determina autonomamente e in via derivativa, come un comune contratto di compravendita, il trasferimento del diritto di proprietà;</p> <p style="text-align: justify;">– per altro verso, se l’art. 42 bis è applicabile ai casi di cd. occupazione usurpativa (dove, per effetto della mancanza o del sopravvenuto annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, manca proprio l’atto che sancisce, nel rispetto del principio di legalità, la sussistenza del potere di sacrificare la proprietà privata: v. Corte Cost., 11 maggio 2006 n. 191), e dunque in un caso in cui l’utilizzazione del bene immobile si configura ab initio come fatto illecito (e, escludendosi l’esercizio di un potere coerente con l’art. 42 Cost, l’amministrazione si configura come un “privato” usurpatore), a maggior ragione potrà trovare applicazione il medesimo art. 42 bis laddove il preesistente “rapporto tra privati” si connette ad un contratto di compravendita dichiarato nullo o annullato, cioè ad un titolo astrattamente valido a disporre il trasferimento del bene. E ciò a maggior ragione laddove la finalità pubblica che attraverso il contratto di compravendita si intende perseguire risulti dalla previsione delle realizzande opere pubbliche nello strumento urbanistico vigente.</p> <p style="text-align: justify;">Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, ed in disparte la possibilità (o meno) di ricondurre lo specifico contratto di compravendita stipulato ad un accordo di cessione, appare evidente come tale contratto si configuri come uno strumento attuativo di finalità di pubblico interesse definite dall’atto di pianificazione urbanistica adottato in esercizio del relativo potere; atto mediante il quale è stato definito (anche) il quadro delle opere pubbliche necessarie alla comunità locale, in coerenza con quanto espressamente previsto dall’art. 8, comma 1, lett. a), DPR n. 327/2001.</p> <p style="text-align: justify;">Ed allora appare altrettanto evidente come ben possa trovare applicazione l’art. 42 bis del Testo unico espropriazioni, anche nei casi in cui l’amministrazione perda la disponibilità del bene per vicende inerenti alla validità ed efficacia del contratto di compravendita (che essa ha stipulato in alternativa al procedimento espropriativo, ma sotto l’egida della medesima finalità di pubblico interesse).</p> <p style="text-align: justify;">L’intervenuto riconoscimento dell’applicazione “ampia” dell’art. 42 bis – cioè in tutti i casi in cui “per qualsiasi ragione un immobile altrui sia utilizzato (sine titulo) dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico” – rende necessario l’esame dell’ulteriore questione sottoposta dall’ordinanza di rimessione, e cioè se il giudicato civile “precluda o meno l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio, con mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare (quesito sub a), e ciò anche nel caso in cui la sentenza non abbia espressamente precluso l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis (quesito sub c).</p> <p style="text-align: justify;">Al fine di proseguire l’indagine sulle questioni rimesse all’Adunanza Plenaria occorre a questo punto verificare la sussistenza ed il “perimetro” della preclusione all’esercizio del potere di cui all’art. 42 bis per effetto di una sentenza coperta da giudicato, che abbia disposto la restituzione del bene al privato.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte Costituzionale, con sentenza 30 aprile 2015 n. 71, nello scrutinarne la legittimità costituzionale, ha affermato come l’art. 42 bis, “<em>ha certamente reintrodotto la possibilità, per l’amministrazione che utilizza senza titolo un bene privato per scopi di interesse pubblico, di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la riduzione in pristino stato), attraverso un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile. Tale atto sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni, e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma . . . Il nuovo meccanismo acquisitivo presenta significative differenze rispetto all’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni. La nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto in giurisprudenza sull’art. 43 appena citato, dispone espressamente che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato)</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">In definitiva, secondo la Corte, ciò che differenzia l’attuale art. 42 bis, dal previgente (e dichiarato costituzionalmente illegittimo) art. 43 è, innanzi tutto, l’esclusione di ogni effetto di “sanatoria”.</p> <p style="text-align: justify;">Laddove il citato art. 43 prevedeva “un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato”, l’attuale art. 42 bis consente l’acquisto della proprietà solo con effetto ex nunc al momento dell’emanazione del decreto di acquisizione.</p> <p style="text-align: justify;">A sua volta, l’Adunanza Plenaria, con sentenza 9 febbraio 2016 n. 2, ha affermato, in particolare, quanto segue:</p> <p style="text-align: justify;">– sul piano generale, l’art. 42-bis “configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell’infrastruttura realizzata sine titulo”;</p> <p style="text-align: justify;">– un elemento caratterizzante l’istituto di cui all’art. 42 bis è rappresentato dalla “impossibilità che l’Amministrazione emani il provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato che abbia disposto la restituzione del bene al proprietario”;</p> <p style="text-align: justify;">– non sorge alcun problema (nel senso di un effetto inibitorio collegato al giudicato) “ nel caso in cui il giudicato (amministrativo o civile) disponga espressamente, sic et simpliciter, la restituzione del bene”;</p> <p style="text-align: justify;">– nel caso in cui il giudicato si presenta, per effetto dell’assenza di una domanda reipersecutoria, come “puramente cassatorio, per scelta (e a tutela) del proprietario . . .non si produrrebbe l’effetto inibitorio dell’emanazione del provvedimento ex art. 42-bis”;</p> <p style="text-align: justify;">– se, nonostante la proposizione di domanda restitutoria, per svariate ragioni processuali, “il giudicato continua a non recare la statuizione restitutoria, comunque l’Amministrazione potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis non sussistendo la preclusione inibente dianzi richiamata”.</p> <p style="text-align: justify;">11.4. Alla luce dei principi desumibili dalle sentenze innanzi riportate, può affermarsi, per quel che interessa nella presente sede:</p> <p style="text-align: justify;">– per un verso, che, perché possa prodursi l’effetto preclusivo derivante dal giudicato restitutorio, occorre che la sentenza preveda espressamente, in accoglimento di una specifica domanda avanzata in tal senso dal ricorrente o dall’attore, la condanna dell’amministrazione alla restituzione del bene;</p> <p style="text-align: justify;">– per altro verso, che l’effetto preclusivo, in quanto derivante, come si è detto, da una espressa condanna alla restituzione del bene, si realizza con riguardo al provvedimento ex art. 42 bis, co. 2, comportante l’acquisizione dello stesso alla proprietà pubblica (in particolare, al patrimonio indisponibile della medesima) e non può, quindi, inibire anche l’adozione del diverso provvedimento di imposizione di servitù, di cui al successivo comma 6.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto a questo secondo aspetto, la sentenza coperta da giudicato in senso sostanziale, ex art. 2909 c.c., fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione (causa petendi) e il bene della vita che ne forma oggetto (cd. petitum mediato).</p> <p style="text-align: justify;">Appare, dunque, evidente come, se oggetto del petitum è il recupero del bene alla piena proprietà e disponibilità del soggetto privato originariamente proprietario, non rientra nell’ambito oggettivo del giudicato, e dunque non si pone in contrasto con lo stesso, un provvedimento che, senza incidere sulla titolarità del bene, imponga sullo stesso ex novo (e, quindi, ex nunc) una servitù, trattandosi di ipotesi affatto diversa da quella inibita dal giudicato e assolutamente coerente con, e anzi presupponente, il mantenimento della proprietà in capo al privato.</p> <p style="text-align: justify;">La risposta fornita al primo quesito rende superfluo esaminare:</p> <p style="text-align: justify;">– sia il secondo quesito (sub lett. b: “se la formazione del giudicato interno – sulla statuizione del TAR per cui il giudicato civile consente l’attivazione di un ordinario procedimento espropriativo volto all’acquisto della proprietà – imponga di affermare che sussiste anche il potere dell’Amministrazione di imporre la servitù di passaggio ex art. 42 bis, comma 6”) – quesito che peraltro prospetta un caso puntuale risolvibile, ove occorra, in via interpretativa nell’ambito del singolo giudizio;</p> <p style="text-align: justify;">– sia il terzo quesito (sub lett c: “se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista anche quando la sentenza (del giudice civile) non abbia espressamente precluso – per la estraneità della questione rispetto all’oggetto del giudizio – l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto”). La risposta a tale ultimo quesito – essendosi già affermata la possibilità di adozione del decreto impositivo di servitù, ex art. 42 bis DPR n. 327/2001:</p> <p style="text-align: justify;">– per un verso, non appare rilevante ai fini della definizione del giudizio;</p> <p style="text-align: justify;">– per altro verso, lungi dal costituire un mero “caso di specie” nell’ambito della più ampia definizione dell’ambito oggettivo del giudicato restitutorio, in realtà tende ad “aggirare” l’ostacolo da questo rappresentato, posto che, nella prospettazione, tutte le volte in cui non vi sarebbe, non già l’espressa condanna alla restituzione del bene, ma (in più) l’espressa inibizione dell’esercizio dei poteri ex art. 42 bis, non si produrrebbe violazione del giudicato esercitando detti poteri.</p> <p style="text-align: justify;">Tale operazione ermeneutica, però, prescinde dalla definizione della controversia, in quanto comporta una più generale riconsiderazione della tematica del giudicato restitutorio e dei suoi effetti inibitori relativamente all’applicazione dell’art. 42 bis che risulta, quale che ne sia l’esito, “sovrabbondante” nella presente sede, dove è sufficiente, per la definizione del giudizio, avere ammesso la possibilità di emanazione del decreto di imposizione di servitù, ai sensi del comma 6 dell’art. 42 bis.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, la soluzione offerta con i due principi di diritto enunciati rende superfluo affrontare il quarto quesito (“qualora ritenga di affermare che si sia in presenza nella specie di una sentenza tale da comportare un ‘giudicato restitutorio preclusivo’ l’Adunanza Plenaria ‘moduli la portata temporale’ della regola affermata dalla precedente sentenza n. 2 del 2016”); quesito peraltro avanzato espressamente in via meramente subordinata dalla stessa ordinanza di rimessione.</p> <p style="text-align: justify;">Vengono quindi enunciati i seguenti principi di diritto:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>A) L’art. 42 bis del DPR 8 giugno 2001 n. 327 si applica a tutte le ipotesi in cui un bene immobile altrui sia utilizzato e modificato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, e dunque quale che sia la ragione che abbia determinato l’assenza di titolo che legittima alla disponibilità del bene.</li> <li>B) Il giudicato restitutorio (amministrativo o civile), inerente all’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo, non preclude l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù, in esercizio del potere ex art. 42 bis, comma 6, DPR 8 giugno 2001 n. 327, poiché questo presuppone il mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1252 onde ormai deve escludersi che la mera trasformazione irreversibile di un suolo con la realizzazione di un'opera pubblica costituisca circostanza idonea a trasferire in capo all'Amministrazione la proprietà delle aree in assenza di un regolare provvedimento di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;">L'occupazione senza titolo costituisce un illecito permanente, al quale consegue l'obbligo del risarcimento del danno per la perdita di possesso e l'obbligo di far cessare l'illegittima compromissione del diritto di proprietà, tutelabile mediante un'azione imprescrittibile.</p> <p style="text-align: justify;">L'irreversibile trasformazione del bene illegittimamente occupato costituisce infatti illecito di natura permanente ai sensi dell'art. 2043 c.c., che perdura fino alla rimozione del manufatto ed alla restituzione del bene o fino alla emanazione del provvedimento di acquisizione, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria decorre solo dal momento di cessazione dell'illecito.</p> <p style="text-align: justify;">Per il profilo in esame non è poi condivisibile la tesi del possibile affidamento collegato al precedente istituto dell'occupazione acquisitiva.</p> <p style="text-align: justify;">Nessuna ipotesi di overruling può rinvenirsi nel caso di specie, tenuto conto che tale principio riguarda il mutamento di giurisprudenza, nell'interpretazione di una norma o di un sistema di norme, idoneo a vanificare l'effettività del diritto di azione e di difesa e il carattere, se non proprio repentino, quanto meno inatteso, o comunque privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, quali possono essere quelli di un, sia pur larvato, dibattito dottrinale o di un qualche significativo intervento giurisprudenziale sul tema.</p> <p style="text-align: justify;">Si deve affermare che non si possono richiamare i principi sulla portata irretroattiva delle statuizioni oggetto della overruling, poiché una tale tutela può spettare a chi versi in una situazione di legittimo affidamento, ciò che si deve in radice negare quando si possegga consapevolmente un bene altrui senza alcun titolo; inoltre, la giurisprudenza della Corte Europa dei diritti dell'uomo preclude di attribuire un qualsiasi beneficio all'Autorità che occupi senza titolo un bene altrui.</p> <p style="text-align: justify;">Relativamente alla domanda di risarcimento, va poi evidenziato che risulta incontestato che il procedimento espropriativo a suo tempo non si è mai concluso.</p> <p style="text-align: justify;">La determinazione del danno ha pertanto considerato il periodo decorrente dal momento in cui l'occupazione dell'area è divenuta illegittima fino a quello in cui l'Ente concedente dell'autostrada, che utilizza l'area, ne disporrà l'acquisizione ai sensi dell'art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">D'altra parte, la quantificazione del risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell'occupazione illegittima, per il periodo intercorrente tra la data dell'occupazione e quella in cui vi è stata l'acquisizione della proprietà da parte dell'Amministrazione, in caso di totale difetto di prova, può essere calcolata, ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dal citato art. 42 bis, e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno in tale periodo, oltre rivalutazione e interessi legali.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, si richiama la più recente giurisprudenza della Sezione, per la quale: a) qualora si dovesse ritenere rilevante nell'attuale ordinamento, la 'rinuncia abdicativa', quale atto unilaterale, la stessa comunque si dovrebbe estrinsecare in una esplicita dichiarazione, basata sulla consapevolezza di essere titolare del bene e sulla mera volontà di dismettere il diritto e di perdere la qualità di proprietario (e non sulla richiesta di una somma di denaro, a titolo risarcitorio, posta in rapporto di sostanziale sinallagmaticità con il trasferimento del diritto dominicale); b) diversamente, infatti, si introdurrebbe nel sistema la possibilità che, con un atto unilaterale, sia pure sotto forma di azione giudiziale, la parte perverrebbe alla produzione di effetti patrimonialmente rilevanti non solo nella propria sfera giuridica, ma anche nella sfera giuridica dell'Amministrazione, soggetto che, invece, non ha manifestato alcuna volontà volta all'acquisizione del diritto. In sostanza, non sembra che una tale dichiarazione, produttiva dei conseguenti effetti, si possa desumere dalla proposizione di una domanda risarcitoria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 aprile esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 8237 onde, in tema di conflitto di giurisdizione avente ad oggetto una controversia relativa ad un'ipotesi di cd. sconfinamento, ossia nel caso in cui la realizzazione dell'opera pubblica abbia interessato un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai provvedimenti amministrativi di occupazione e di espropriazione, oltre che dalla dichiarazione di pubblica utilità, l'occupazione e la trasformazione del terreno da parte della pubblica amministrazione costituisce un comportamento di mero fatto, perpetrato in carenza assoluta di potere, che integra un illecito a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (cd. occupazione usurpativa), onde l'azione di risarcimento del danno che ne consegue rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.</p> <p style="text-align: justify;">A tale conclusione, peraltro condivisa dal Consiglio di Stato, non è di ostacolo il disposto dell'articolo 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, introdotto dal d.l. n. 98 del 2011, conv., con modif., dalla I. n. 111 del 2011, sulla cd. acquisizione sanante: tale norma, infatti, disciplina i presupposti per l'adozione del relativo provvedimento e la misura dell'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale conseguente alla perdita definitiva dell'immobile, risultando, quindi, ininfluente in ordine ai criteri attributivi della giurisdizione sulle domande di risarcimento da occupazione "sine titulo".</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della c.d. “<em>acquisizione sanante</em>” in generale, con riguardo all’originario art.43 del T.U. 327.01?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>occorre muovere dalla CEDU, i cui principi entrano in decisa rotta di collisione con forme di espropriazione che non siano quelle legittime, ed in particolare con la c.d. espropriazione “<em>diretta</em>” o “<em>sostanziale</em>”, priva cioè di un idoneo titolo giustificativo, come in Italia accade nelle fattispecie di occupazione c.d. “<em>appropriativa</em>” o, peggio, “<em>usurpativa</em>”;</li> <li>proprio questa circostanza ha sospinto il legislatore del T.U. degli espropri a configurare <em>ex lege</em> la c.d. “<em>acquisizione sanante</em>”, altrimenti detta “<em>occupazione provvedimentale</em>”;</li> <li>attraverso questo strumento all’uopo predisposto dal legislatore, la PA si vede affidato il potere discrezionale di acquisire la proprietà delle cose occupate nell’interesse pubblico ma senza un titolo legittimante, giusta atto ablativo a carattere formale in qualche modo succedaneo rispetto al provvedimento di esproprio, e che comunque esclude un acquisto della proprietà della <em>res</em> di volta in volta considerata in via di mero fatto;</li> <li>in sostanza, previa valutazione degli interessi in conflitto (siccome coinvolti nella singola vicenda ablatoria), la PA già nel disegno originario di cui all’art.43 del T.U. 327.01 può con apposito provvedimento formale “<em>acquisire</em>” la <em>res esproprianda</em> al proprio patrimonio indisponibile, quand’anche faccia difetto un titolo valido ed efficace all’uopo e, dunque, con effetto “<em>sanante</em>” rispetto a tale vizio, onde è un “<em>atto</em>”, e non un “<em>fatto</em>” (peraltro illecito) a legittimare lo spostamento del dominio dal privato al pubblico; tale atto va “<em>senza indugio</em>” trascritto nei registri immobiliari, a fini di pertinente pubblicità;</li> <li>si tratta di una scelta connotata da discrezionalità, dacché l’acquisizione sanante viene configurata dalla legge come alternativa rispetto all’eventuale restituzione dell’area illecitamente occupata; tale scelta appare peraltro sindacabile in sede giurisdizionale dal GA, dovendosi peraltro tener conto che, in caso di opzione per l’acquisizione sanante, il privato che perde la proprietà va reso destinatario di un ristoro economico;</li> <li>perche la PA possa adottare il provvedimento di acquisizione sanante occorre che essa sia entrata, come chiarisce illuminata dottrina, in “<em>fisica aderenza</em>” con l’immobile oggetto dell’ablazione, onde anche il riferimento all’”<em>utilizzazione</em>” del bene di cui alla rubrica dell’originario art.43 non può che intendersi come “<em>occupazione</em>”, tanto nel caso in cui sia la PA medesima a prendere l’iniziativa autonoma di “<em>acquisire</em>” in sanatoria, quanto in quello in cui già penda un processo e la PA proceda su sollecitazione del GA;</li> <li>secondo una prima variante a carattere “<em>eso-processuale</em>” dell’istituto di cui all’originario art.43, comma 1, è la PA occupante – laddove utilizzi un bene immobile privato per fini di interesse pubblico modificandolo (senza dunque dover per forza giungere ad una pertinente, irreversibile trasformazione) e, ad un tempo, in difetto (<em>ab origine</em> ovvero per annullamento <em>ex post</em>) di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità, ovvero di un valido ed efficace provvedimento di esproprio - ad “<em>acquisire in sanatoria</em>” e ad offrire contestualmente in via amministrativa un ristoro al privato danneggiato, senza che sia questi a doversi attivare nei confronti della PA; si tratta di un atto che assorbe in sé, con effetti “<em>sintetici</em>”, tanto la dichiarazione di pubblica utilità (dell’opera realizzanda) quanto il decreto di esproprio e che – in questo preciso prisma decisionale – implica una discrezionalità della PA che va esercitata in via eccezionale ed al cospetto di una tutt’affatto peculiare rilevanza dell’interesse pubblico rispetto al giustapposto interesse privato, non potendosi risolvere in una mera alternativa alla legittima procedura ablativa ordinaria; l’Amministrazione non può dunque procedere ad una “<em>acquisizione sanante</em>” in modo superficiale, dovendo piuttosto esercitare il proprio potere valutando tutte le diverse possibili alternative rispetto all’adozione del provvedimento acquisitivo “<em>sanante</em>”, il quale finisce col palesarsi illegittimo ogni qual volta la PA possa soddisfare l’interesse pubblico “<em>altrimenti</em>” rispetto alla soluzione ablatoria del bene privato; in questa fattispecie è unicamente il provvedimento adottato dalla PA a produrre, ad un tempo, l’effetto traslativo del bene dalla sfera privata a quella pubblica e la determinazione del risarcimento del danno che sarà dovuto al privato ablato (“<em>prima si prende e poi si paga</em>”);</li> <li>stando ad una seconda variante di cui all’originario art.43, comma 3, a carattere “<em>endo-processuale</em>”, qualora il proprietario privato abbia impugnato il provvedimento acquisitivo già adottato dalla PA, ovvero comunque chieda la restituzione del proprio bene illecitamente occupato <em>ex parte publica</em>, la PA (o comunque chi utilizza il bene) può chiedere al GA che, in caso di fondatezza del ricorso o della domanda del privato, sia disposta la sola condanna “<em>per equivalente</em>” al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene (“<em>reale</em>”) senza alcun limite di tempo; in questa diversa fattispecie, si è al cospetto di una scissione tra la previa sentenza del GA, che determina l’importo risarcitorio dovuto al privato, ed il successivo provvedimento acquisitivo della PA, che presuppone peraltro il già intervenuto pagamento del risarcimento al privato ablato (“<em>prima si paga e poi si prende</em>”); la norma pone peraltro – a valle delle note sentenze della Corte costituzionale 204.04 e 191.06 - un problema di riparto di giurisdizione tra GA e GO nella particolare ipotesi in cui il privato chieda la restituzione del proprio fondo occupato sulla base di una previa dichiarazione di pubblica utilità non seguita poi, nei termini <em>ex lege</em> divisati, da un decreto di esproprio, dacché in simili evenienze sembrerebbe difettare quel “<em>potere</em>” che è imprescindibilmente alla base di una (legittima) giurisdizione esclusiva del GA;</li> <li>per quanto concerne la concreta determinazione del <em>quantum</em> risarcitorio dovuto al privato, l’originario art.43, comma 6, prevede che – salvo il caso in cui la legge disponga altrimenti – il danno va determinato in misura corrispondente al valore del bene utilizzato; in particolare, qualora si tratti di terreno edificabile, si applicano le disposizioni dell’articolo 37, comma da 3 a 7, del Testo Unico 327.01, aggiungendo gli interessi moratori con decorrenza dal giorno in cui il terreno privato sia stato occupato <em>sine titulo</em>;</li> <li>dal punto di vista del termine prescrizionale dell’azione risarcitoria, il provvedimento di acquisizione sanante interrompe un illecito della PA a carattere permanente (occupazione <em>sine titulo</em> del bene privato), onde alla proprietà del privato si sostituisce quella dell’Amministrazione; in simili fattispecie (viene adottato dalla PA un provvedimento di acquisizione sanante ex art.43, comma 1), l’azione risarcitoria privata vede dunque il proprio termine prescrizionale iniziare a correre non già dal giorno in cui è scaduta l’occupazione pubblica legittima, ovvero ancora dal momento della irreversibile trasformazione del bene privato, quanto piuttosto dalla notifica del provvedimento di acquisizione sanante adottato dalla PA, e dunque da quando il privato sa che il proprio bene, dal punto di vista dominicale, è passato alla mano pubblica.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della c.d. “<em>acquisizione sanante</em>” con riguardo al periodo successivo alla declaratoria di incostituzionalità dell’art.43 del T.U. 327.01?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 2010 – con conseguente elisione dell’acquisizione sanante dal sistema ordinamentale vigente, quale strumento <em>extra ordinem</em> di acquisto della proprietà dell’area e dell’opera alla mano pubblica - si è venuto a creare un vuoto normativo, che occorre colmare;</li> <li>da una parte si invoca l’applicazione degli istituti civilistici di acquisto della proprietà, con particolare riguardo all’accessione ed alla specificazione;</li> <li>sul crinale più pubblicistico, si contendono il campo: c.1) chi assume applicabile la figura dell’accordo di cui all’art.11 della legge 241.90, che presuppone l’incontro tra consenso del privato e potere della PA espropriante; c.2) chi trova la soluzione tutta all’interno del micro-sistema espropriativo, invocando l’applicabilità della cessione volontaria del bene espropriando di cui all’art.45 del TU 327.01, che avrebbe foggia di autentico diritto potestativo del privato espropriando, da lui esercitabile fino al giorno in cui viene eseguito il decreto di esproprio.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della nuova “<em>acquisizione sanante</em>” di cui all’art.42 bis del T.U. 327.01?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il legislatore approfitta della pronuncia della Consulta per varare un nuovo e maggiormente equilibrato bilanciamento dei contrapposti interessi – rispettivamente, pubblico e privato – che campeggiano a seguito dell’occupazione <em>sine titulo</em> di aree private da parte della PA;</li> <li>più nello specifico, la PA ha interesse a conservare l’opera ormai realizzata, mentre il privato, per parte sua, ha interesse (quanto meno) ad un ristoro a fronte dell’illecito subito dall’Amministrazione;</li> <li>a tal fine, viene tenuto conto del fatto che la Corte costituzionale non ha assunto illegittimo dal punto di vista della Carta l’istituto dell’acquisizione sanante in sé considerato, quanto piuttosto il fatto che essa sia stata introdotta nell’ordinamento giusta eccesso di delega legislativa da parte del Governo;</li> <li>viene dunque innestata nel sistema – stavolta attraverso il congegno del decreto legge e della successiva legge di conversione - una figura analoga alla precedente;</li> <li>punto di partenza della fattispecie è sempre una PA che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, avendolo tuttavia modificato senza un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità dell’opera realizzata o in corso di realizzazione;</li> <li>in simili casi, la PA interessata può disporre che tale bene, e l’opera che su di esso insiste, sia acquisito al proprio patrimonio indisponibile, tuttavia con effetti <em>ex nunc</em> (e, dunque, non in via retroattiva), corrispondendo ad un tempo al privato che ne è stato fino ad allora proprietario un indennizzo per il pregiudizio subito, tanto patrimoniale quanto non patrimoniale (e, dunque, personale); può farlo ormai solo la PA di propria iniziativa, e non anche il GA adito dal privato che abbia contestato l’illecita apprensione del proprio fondo chiedendone la restituzione, come era invece previsto dall’originario art.43, comma 3, del T.U. 327.01, che consentiva la “<em>paralisi</em>” della ridetta azione restitutoria privata;</li> <li>la operatività espressamente prevista <em>ex nunc</em> sembra escludere in modo reciso la possibilità di disporre da parte della PA l’acquisizione sanante anche quando sia già intervenuto un giudicato del GA che abbia disposto la restituzione del bene occupato <em>sine titulo</em> al privato proprietario (e, dunque in via retroattiva), come invece affermato da parte della giurisprudenza precedente;</li> <li>l’acquisizione sanante viene additata come provvedimento, e dunque come atto autoritativo ed imperativo, a forte caratterizzazione pubblicistica;</li> <li>dal punto di vista del ristoro garantito al privato, non si discorre più genericamente di risarcimento del danno, quanto piuttosto di pregiudizio patrimoniale (pari al valore venale del bene ablato) e non patrimoniale (personale, secondo la giurisprudenza anche nella relativa connotazione morale), quest’ultimo dovendo trovare un ristoro, a titolo di indennizzo - si è dunque al cospetto di un c.d. atto lecito dannoso - pari forfettariamente al 10% del valore venale del bene ablato (art.42 bis, comma 1);</li> <li>per tutto il periodo di occupazione del bene privato <em>sine titulo</em>, è invece dovuto al privato il risarcimento del danno (trattandosi di occupazione illecita), che – superandosi il previo e generico riferimento agli interessi moratori - viene ora quantificato <em>ex lege</em> in modo ancora una volta forfettario ed in misura pari al 5% annuo sul valore determinato a titolo di capitale secondo i criteri di cui al comma 1, sempre che dagli atti procedimentali non affiori la prova di una diversa consistenza del danno risarcibile in parola; stante la natura innovativa dell’art.42 bis laddove prevede la indennizzabilità anche del pregiudizio non patrimoniale subito dal privato ablato, <em>a fortiori</em> viene assunta ristorabile tale voce di danno con riguardo al risarcimento per la previa, illecita occupazione del fondo poi passato alla mano pubblica; dal punto di vista delle componenti, la natura di illecito “<em>aquiliano</em>” generalmente riconosciuta all’illecito da occupazione illegittima del fondo privato ne fa conseguentemente discendere un debito risarcitorio della PA “<em>di valore</em>” (e non già di valuta), onde sul crinale del danno emergente la somma dovuta – determinata con riferimento alla data di irreversibile trasformazione del bene privato – va rivalutata all’attualità sulla base degli indici Istat, mentre sul crinale del lucro cessante scattano gli interessi legali sulla somma ridetta, siccome rivalutata anno per anno sulla base degli indici Istat, non avendo avuto il relativo titolare la possibilità di farla fruttare altrimenti per il non averla avuta in disponibilità;</li> <li>la nuova acquisizione sanante scatta non già solo quando difetti del tutto il provvedimento espropriativo (decreto di esproprio), ma financo nel caso in cui tale provvedimento vi sia stato e sia stato annullato, ed anche allorché sia stato al momento ancora solo impugnato al fine di ottenerne dal GA la caducazione; del pari, la PA può provvedere ai sensi dell’art.42 bis anche quando sia stato gravato innanzi al GA l’atto (di piano) che impone sul terreno pertinente il vincolo preordinato all’esproprio, o quello successivo (ma ancora anteriore al decreto di esproprio) giusta il quale sia stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera realizzanda su suolo privato; nondimeno, laddove vi sia giudizio pendente avverso i richiamati atti della procedura espropriativa, la PA può adottare il provvedimento di acquisizione sanante solo dopo aver ritirato, giusta spendita del proprio potere di autotutela, gli atti gravati innanzi al GA; una autentica novità rispetto al vecchio art.43 del TU 327.01 è proprio quella che attribuisce alla PA il potere di adottare “<em>liberamente</em>” – previo esercizio del potere di autotutela - l’acquisizione sanante anche laddove penda innanzi al GA già un giudizio, introdotto su iniziativa del privato, avverso gli atti della procedura espropriativa, senza dover attendere una pronuncia giurisdizionale e, anzi, dando la stura ad una eventuale pronuncia di cessazione della materia del contendere laddove appunto un giudizio sia già pendente; in precedenza, per poterlo fare, la PA doveva invece far partire un apposita sequenza infra-processuale volta a previamente ottenere dal GA la declaratoria di impossibile restituzione del bene al privato la cui domanda fosse riconosciuta fondata, con condanna della PA al solo risarcimento del danno: solo una volta ottenuta tale declaratoria e tale condanna solo “<em>per equivalente</em>”, la PA avrebbe potuto procedere all’acquisizione sanante;</li> <li>la “<em>nuova</em>” acquisizione sanante – oltre a recare l’indicazione delle circostanze che hanno condotto la PA alla occupazione <em>sine titulo</em> dell’area, della data in cui quest’ultima ha preso abbrivio, nonché dell’ammontare dell’indennizzo (con pertinente pagamento disposto entro il termine di 30 giorni) – deve poi esplicitare la motivazione in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'adozione, valutate comparativamente rispetto ai contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla relativa adozione;</li> <li>il provvedimento di acquisizione sanante viene notificato al privato (anche se l’art.42 bis, a differenza del vecchio art.43, non specifica più che tale notifica debba avvenire nelle forme degli atti del c.p.c.) e reca seco il passaggio del diritto di proprietà alla mano pubblica che, tuttavia, nel “<em>nuovo corso</em>” è sospensivamente condizionato al pagamento delle somme dovute o al relativo deposito; è la PA acquirente a dover provvedere alla trascrizione dell’acquisto nei registri immobiliari;</li> <li>la fattispecie in cui ad essere “<em>acquisito</em>” alla mano pubblica sia un diritto di servitù piuttosto che il diritto dominicale pieno è disciplinato al comma 6 dell’art.42 bis, che “<em>accorpa</em>” quanto l’art.43 prevedeva in due comma distinti (il comma 5 e il comma 6 bis), ovvero l’ipotesi di acquisizione sanante di una servitù in generale e quella, specifica, di acquisizione sanante del diritto di servitù da parte di soggetti privati o pubblici titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze, ovvero svolgenti, in base all’art.3 della legge 166.02 (che tuttavia il nuovo art.42 bis – come segnala la dottrina in senso critico - non richiama più esplicitamente), servizi di interesse pubblico nel settore dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’acqua e dell’energia;</li> <li>laddove il terreno oggetto di acquisizione sanante sia stato utilizzato dalla PA per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convezionata, ovvero laddove esso sia stato attribuito in uso speciale a soggetti privati per finalità di interesse pubblico, viene confermata l’operatività dell’acquisizione sanante ridetta, con la precisazione onde il pertinente provvedimento è di competenza della medesima autorità che ha occupato il terreno coinvolto; in queste evenienze peraltro la liquidazione forfettaria dell’indennizzo per il privato ablato, in rapporto al pregiudizio non patrimoniale subito, è pari al 20% del valore venale del bene;</li> <li>dal punto di vista diacronico, l’art.42 bis – così scongiurando vuoti di disciplina - si applica anche (comma 8) ai fatti anteriori alla relativa entrata in vigore, e quand’anche sia già intervenuto in passato (magari prima della sentenza della Corte costituzionale che ha messo “<em>fuori gioco</em>” il vecchio art.43) un provvedimento di acquisizione sanante poi ritirato o annullato; quello che tuttavia è imprescindibile è la nuova valutazione dell’attualità dell’interesse pubblico a disporre la pertinente acquisizione e la relativa prevalenza sull’interesse privato, prevedendosi un conguaglio per il caso in cui delle somme siano state già erogate al privato che perde la proprietà del bene, cui va aggiunto l’interesse legale;</li> <li>infine, la PA che adotta il provvedimento di acquisizione sanante ne deve dare comunicazione, entro 30 giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di pertinente copia integrale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In che modo l’istituto dell’“<em>acquisizione sanante</em>” intercetta quello, puramente civilistico, dell’usucapione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>quando la PA – nel contesto di una procedura espropriativa - occupa continuativamente (possesso) un fondo privato <em>sine titulo</em>, e non provvede ad alcun provvedimento “<em>formale</em>” di acquisizione (“<em>sanante</em>”) nel termine di 20 anni, potrebbe in teoria scattare la fattispecie civilistica dell’acquisto della proprietà del bene occupato, a titolo originario, per usucapione;</li> <li>si distinguono in proposito diverse opzioni giurisprudenziali: b.1) il possesso continuato ed ininterrotto per 20 anni fa acquisire il fondo alla PA per usucapione, dovendo assumersi a quel punto estinte tanto la tutela reale (restitutoria) quanto quella obbligatoria (risarcimento del danno), dacché viene radicalmente meno il connotato di illiceità del contegno tenuto <em>ex parte publica</em>; b.2) non sono ammesse espropriazioni indirette o larvate, onde l’usucapione della PA sottende seri dubbi di coerenza con la Costituzione e, tramite il relativo art.117, con la CEDU.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare a proposito della giurisdizione del GO in materia espropriativa e, in particolare, di acquisizione sanante?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="327"> <li>spettano al GO tutte le controversie concernenti la determinazione e la corresponsione dell’indennità dovuta al privato in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa (art.53, comma 2, T.U. 327.01), ivi compreso l’indennizzo “<em>globale</em>” avvinto ad una acquisizione “<em>sanante</em>” ex art.42 bis; spettano altresì al medesimo GO le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alla stima per apposizione di vincoli espropriativi (art.39, comma 3, T.U. 327.01)</li> <li>in particolare, in caso di opposizione alla stima la competenza funzionale è della Corte d’Appello del luogo in cui è ubicato il bene oggetto di ablazione, ex art.54 del T.U. 327.01;</li> <li>la Corte d’Appello si pronuncia eccezionalmente in unico grado;</li> <li>entro 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio, o da quella della stima peritale se successiva, va notificata alla PA citazione di opposizione alla stima, che non dà nondimeno l’abbrivio ad un giudizio impugnatorio, quanto piuttosto ad un giudizio di accertamento del <em>quantum</em> dell’indennità dovuta, la cui determinazione si chiede al GO; i 30 giorni decorrono anche dall’inserzione nel foglio degli annunci legali della Provincia dell’avviso di deposito della relazione di stima da parte dell’Ufficio tecnico delle espropriazioni; per quanto riguarda il terzo che vi abbia interesse, il termine previsto a pena di decadenza (art.23, comma 5, T.U. 327.01) per opporsi alla stima è quello di 30 giorni successivi alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale o nel Bollettino della Regione in cui è ubicato il bene ablato dell’estratto del relativo decreto di esproprio (da trasmettersi all’uopo entro 5 giorni dalla relativa adozione); del pari con citazione si spicca opposizione alla stima per apposizione di vincoli espropriativi, entro 30 giorni dalla notificazione dell’atto di stima (in difetto di tale notifica, decorsi 2 mesi dal provvedimento che reitera il pertinente vincolo, il proprietario può adire all’uopo direttamente la competente Corte d’Appello);</li> <li>la legittimazione attiva spetta al privato espropriato, al promotore dell’espropriazione ed al terzo che ne abbia interesse;</li> <li>la legittimazione passiva spetta: f.1) laddove agisca il proprietario ablato, alla PA espropriante, al promotore dell’espropriazione ed eventualmente al beneficiario dell’espropriazione stessa; f.2) laddove agisca il promotore dell’espropriazione, alla PA espropriante e al proprietario ablato;</li> <li>laddove manchi una specifica istanza di riduzione dell’indennità formulata, se del caso, in via riconvenzionale, il GO deve limitare la propria decisione alla richiesta dell’opponente di conseguire una indennità più elevata rispetto a quella determinata in via amministrativa, con conseguente decisione giurisdizionale meramente determinativa che ha alla base una globale rivalutazione dell’immobile ablato.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>