Cass. Penale, III, ud. Dep. 23.10.2024, n. 38881
PRINCIPIO DI DIRITTO
Questa Corte ha in passato già chiarito che “la natura sessuale dell’atto deriva dalla sua attitudine ad essere oggettivamente valutato, secondo canoni scientifici e culturali, come erotico, idoneo cioè a incarnare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dal fatto che proprio questo sia lo scopo dell’agente… Secondo la scienza non solo medica, ma anche psicologica, antropologica e sociologica e in base al comune sentire, i genitali, i glutei ed il seno oggettivamente esprimono, più di ogni altra parte del corpo ed in modo più naturale, diretto ed esplicito, la sessualità. Il loro volontario toccamento esprime, con rara immediatezza, la natura “sessuale” del gesto, sicché, indipendentemente dalle intenzioni del suo autore (del tutto irrilevanti ai finì della sussistenza del reato), quando ciò avvenga senza il consenso di chi lo subisce o con l’inganno, viola il diritto dell’individuo di scegliere liberamente la persona con cui condividere questa parte di sé ed integra il delitto di cui all’alt. 609-bis, cod. pen.”
Tale principio si trova affermato anche nella sentenza richiamata in ricorso in cui “il tempo apprezzabile” del contatto fra la mano dell’imputato e il gluteo della vittima viene valorizzato non ai fini dell’integrazione della fattispecie obiettiva del reato ma per desumerne “la sussistenza dell’elemento soggettivo” del reato di violenza sessuale. Tant’è che, subito dopo, viene ribadito che “In tema di violenza sessuale, vanno considerati atti sessuali quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona o ad invadere la sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona, abuso di inferiorità fisica o psichica, in essi potendosi ricomprendere anche quelli insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente (come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci).
“Il comportamento persecutorio complessivo ascrivibile all’imputato … oggettivamente connotato da un intento di natura sessuale” non lasciava dubbio sul fatto che il contato corpore corpori fosse stato finalizzato a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore, non residuando dubbi sull’intenzionalità e sullo scopo della condotta.
Non è, quindi, rinvenibile alcun vizio motivazionale o violazione di legge nel percorso argomentativo che giustifica la sussunzione della condotta accertata nel perimetro della norma incriminatrice contestata.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il primo motivo del ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
1.2. In punto di diritto va osservato che: “La mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo d’impugnazione ex art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente articolato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione” (Sez. 2, n. 884 del 22/11/2023 (dep. 2024) Rv. 285722 – 01).
1.3. Il ricorso ancora non si confronta con la sentenza impugnata che aveva ritenuto che non ricorreva alcuna esigenza dì integrare le emergenze istruttorie risultando “il quadro probatorio disponibile in effetti completo e obiettivamente idoneo ad escludere in modo certo una macchinazione in danno di B.N.”.
1.4. E, in effetti, dalle sentenze dì merito non emerge dato alcuno che consenta di dubitare della veridicità della deposizione di C.D., che ha dichiarato che aveva visto l’imputato “sfiorare con la mano il sedere della G.”, confermando così il toccamento avvertito dalla parte civile e fugando ogni dubbio, anche alla luce della condotta persecutoria ricostruita dai giudici di merito, sulla volontarietà dell’atto e sulle finalità di concupiscenza che lo avevano animato.
1.5. La giurisprudenza di legittimità è, inoltre, “ferma nel ritenere che, nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende comunque inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, non sussistendo pertanto, riaspetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame (Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, R., Rv. 282633 – 01; Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016, H., Rv. 267974 – 01; Sez. 3, n. 23058 del 26/04/2013, Duval Perez, Rv. 256173 – 01)” (Sez. 3, 5433 del 27/10/2022, R., Rv. 284136 – 01, in motivazione).
- Inammissibile risulta anche il secondo motivo d’impugnazione in quando finalizzato a una rivalutazione del complessivo compendio probatorio non consentito in sede di legittimità.
2.1. Premesso che nella prospettazione del ricorrente non è dato rinvenire la norma processuale la cui violazione aveva comportato la denunciata inutilizzabilità delle prove, sembra che la difesa lamenti, in primo luogo, che la condanna per il delitto di stalking sia fondata sugli accadimenti descritti dai testi A., “le commesse del negozio dei cinesi” e C. sebbene tali fatti fossero intervenuti dopo il periodo indicato in contestazione. Sennonché la deduzione difensiva non trova riscontro alcuno nelle sentenze di merito, che collocano i fatti ritenuti significativi riferiti dai testi nel lasso temporale individuato dalla contestazione, e deve ritenersi non emerga neppure dalle deposizioni richiamate, non essendo stato denunciato il travisamento della prova dichiarativa. Va, infine, rilevato che le deposizioni dei genitori della parte civile, la cui valenza significativa è stata contestata in ricorso, sono state dal giudice di merito valorizzate al fine di provare “lo stato di prostrazione in cui cadeva la vittima” e non in relazione ai fatti che quella condizione aveva determinato.
- Manifestamente infondato è anche l’ultimo motivo del ricorso volto a denunciare una violazione del bis in idem che non trova negli atti processuali riscontro alcuno.
3.1. La sentenza del Tribunale di Enna n. 838 del 23/10/2023, infatti, dà atto che non si era tenuto conto delle condotte precedenti al 27/5/2017 proprio il fine di evitare che l’imputato potesse essere nuovamente condannato per i fatti che erano stati oggetto del presente processo.
3.2. In ogni caso, a tutto voler concedere, la denuncia non spiega perché la preclusione derivante dall’esercizio dell’azione penale individuata dalla giurisprudenza della Sezioni unite (n. 34655 del 28/06/2005 Rv. 231800 – 01) opererebbe in questo processo, contraddistinto da un numero di notizia di reato più risalente, e non in quello nel cui ambito è intervenuta la sentenza allegata al ricorso.
3.3. Va, infine, ricordato che non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di cassazione la violazione del divieto del “ne bis in idem” sostanziale, in quanto l’accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito, né è consentito alle parti produrre in sede di legittimità documenti concernenti elementi fattuali (Sez. 2, Sentenza n. 6179 del 15/01/2021, Pane, Rv. 280648 – 01).
3.4. La doglianza sollevata, pertanto, risulta anche tardiva. Dal non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata (f. 1 e 2), emerge che la violazione del bis in idem processuale non aveva costituito motivo di appello. Posto che il ricorrente avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente, in ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o comunque non corretto (cfr: Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 259066), e posto che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata, deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (Sez. 7, ord. n. 27561 del 19/4/2024, Busolli; Sez. 3, 24555 del 4/6/2024, Loviso; Sez. 3, n. 24270 del 9/5/2024, Cobaj).
- Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila.
4.1. L’esito del giudizio comporta, infine, la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile che si liquidano come in dispositivo.