Cassazione, terza Sezione penale, sentenza del 13.10.2023, n. 41577
PRINCIPI DI DIRITTO
Afferma la Corte che il consenso sessuale può essere espresso da un soggetto che abbia compiuto i quattordici anni; se così è, occorrerà poi accertare se quel consenso è viziato; se, invece, il minore è soggetto infraquattordicenne, egli non è in grado di prestare alcun valido consenso sessuale sicché è ultronea l’indagine diretta a verificare eventuali vizi di formazione di un consenso che, per legge, non è validamente prestato.
Atteso che nel caso di specie, la minore al momento dei fatti era soggetto infraquattordicenne e la richiesta di materiale pornografico proveniva altrettanto pacificamente dall’imputato, la Corte sostiene che non era affatto necessario da parte della Corte di merito accertare la sussistenza, da parte dell’imputato medesimo, di una condotta induttiva, tale da viziare il consenso della minore, per l’assorbente ragione che la medesima non aveva ancora raggiunto l’età per prestare un valido consenso sessuale.
Relativamente alla fattispecie di violenza sessuale la Corte ribadisce che ne integra la condotta chi per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, induca la stessa al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non la mera tranquillità.
Di conseguenza, per la Corte, sono punibili quelle condotte in cui, anche a distanza, il reo aveva costretto o indotto la vittima a compiere su sé stessa atti sessuali di autoerotismo o giochi erotici.
La Corte, ribadisce che per la consumazione del reato di violenza sessuale, non è affatto necessario che l’agente sia presente o assista, anche mediante l’utilizzo di strumenti di videochiamata, nel momento in cui il minore, in ciò indotto dalla richiesta dell’agente medesimo, compie su di sé atti sessuali.
In relazione all’applicazione dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, la Corte ribadisce che non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo.
LA QUESTIONE IN FATTO
La Corte di appello di Brescia riformava parzialmente la sentenza, emessa dal G.U.P del Tribunale di Brescia all’esito del giudizio abbreviato, appellata dall’imputato, riqualificando il fatto di cui al capo 2) – originariamente contestato come violazione dell’art. 609- quater c.p. (atti sessuali con minorenne) – ai sensi dell’art. 609 bis c.p., comma 2, art. 609 ter c.p., riducendo a due anni e mesi dieci di reclusione la pena inflitta a carico del medesimo, confermando nel resto la decisione impugnata, la quale aveva stabilito la penale responsabilità dell’imputato per i delitti di pornografia minorile (capo I) e di detenzione di materiale pornografico (capo 3). La riduzione di pena non derivava dalla riqualificazione del fatto di cui al capo 2, ma dal fatto che la Corte di Appello di Brescia aveva ritenuto la sussistenza del delitto di detenzione di materiale pornografico (capo 3) limitatamente a due raffigurazioni (foglio 197 e 188), escludendo altre foto effigianti ragazze, non essendovi certezza della loro minore età
Contro la sentenza della Corte di Appello di Brescia era proposto ricorso per Cassazione dalla difesa dell’imputato deducendo i seguenti due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, il difensore deduceva la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) nella parte in cui la sentenza impugnata in relazione al delitto di cui all’art. 600- ter c.p. (pornografia minorile) afferma che l’autoproduzione di materiale pedopornografico da parte della minore sia ascrivibile all’opera di induzione da parte dell’imputato. Sul punto rappresentava la difesa che il messaggio sms in cui l’imputato aveva rivelato alla minore che, dopo un allenamento, nel vederla si era eccitato a casa e si era masturbato – messaggio che, secondo la Corte di merito, spiegherebbe la metamorfosi del rapporto tra l’imputato e la minore da superficiale a una vera e propria relazione – non era presente nella copia forense estrapolata dalla polizia postale; di conseguenza, sosteneva la difesa, si sarebbe in presenza di un travisamento della prova, sotto il profilo dell’utilizzo di una prova inesistente. Inoltre, la difesa con il primo motivo lamentava che il giudice di merito non aveva tenuto di conto di altri messaggi che per contro sconfessavano l’induzione, e di aver accolto una nozione di “induzione” che è stata riferita dalla giurisprudenza di legittimità all’art. 600 bis c.p. (prostituzione minorile) e, che, quindi, ad avviso della difesa, non erano pertinenti al delitto in esame. Sosteneva, infatti, la difesa che il concetto di induzione richiamato in ambito di prostituzione minorile non poteva essere esteso alla fattispecie di produzione di materiale pedopornografico, senza incorrere nel divieto di estensione analogica dell’art. 600 bis c.p.
In relazione, invece, al delitto di cui al capo 2 ( 609 bis c.p., comma 2 e 609 ter c.p.) la difesa lamentava vizio di motivazione e di travisamento della prova, in quanto i giudici di seconde cure attribuivano valore determinante a un sms tra l’imputato e la minore non presente agli atti, non considerando lo sticker, marcatamente di natura erotica, inviato dalla minore. Si aggiungeva, in ogni modo, la carenza di prova della simultaneità tra gli eventuali atti di autoerotismo e la realizzazione delle fotografie costituenti la produzione di materiale pornografico, che si assumeva essere stato inviato all’imputato. Per la difesa dell’imputato non era da ravvisare il delitto in esame in mancanza sia del contatto fisico, sia del contatto video, quest’ultimo elemento che consente al soggetto inducente di fruire, nella comunicazione telematica, delle immagini della vittima nel compimento di atti che coinvolgano la corporeità sessuale della stessa, aventi lo scopo di eccitare o soddisfare il proprio istinto sessuale. Ad avviso della difesa la Corte di merito nel riqualificare il fatto originariamente contestato ai sensi dell’art. 609 quater c.p. nella più grave ipotesi di cui all’art. 609 bis c.p. avrebbe violato sia il principio di correlazione tra accusa e sentenza, sia l’art. 6 CEDU.
Circa, invece, il delitto di cui al capo 3 (detenzione di materiale pornografico) la Corte di merito, sosteneva la difesa, si era limitata unicamente all’accertamento dell’elemento oggettivo del reato senza accertare la sussistenza del dolo.
Con il secondo motivo, la Difesa, eccepiva la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’ipotesi di minore gravità di tutti i reati in esame. In particolare, relativamente ai capi 1 e 2 la Corte di appello non avrebbe tenuto in considerazione una serie di elementi, quali la sussistenza di un legame sentimentale, la condotta provocatoria della minore, la mancanza di contatto fisico, l’assenza di una tendenza predatoria; quanto, invece, al capo 3 che si trattava, invece, di due sole immagini.
LA SOLUZIONE ADOTTATA DALLA CORTE
Secondo la Corte di Cassazione il ricorso è infondato.
- In primo luogo deve essere rigettata l’istanza di rinvio dell’odierna udienza.
2.1. Va premesso che, con ordinanza del 25 maggio 2023, la Corte di appello di Brescia ha rigettato l’istanza di accesso ai programmi di giustizia ripartiva ex D.Lgs. n. 150 del 2002, artt. 44 ss. in relazione all’art. 129-bis c.p.p. e art. 45-ter disp. Att. c.p.p., presentata dal difensore dell’imputato, sul presupposto che le norme sulla giustizia ripartiva entreranno in vigore il 30 giugno 2023, sicché, sino a tale data, non è possibile accedere a detti programmi, non essendo neppure operative le relative strutture, e che, essendo pendente il ricorso per cassazione, non è nemmeno possibile, in assenza di una norma che lo preveda espressamente, la sospensione o il differimento del processo, come pure richiesto dal difensore in via subordinata.
2.2. Ciò posto, non può essere accolta l’odierna istanza di rinvio, in quanto, come già correttamente rilevato dalla Corte di appello, le norme in esame entreranno in vigore il 30 giugno 2023.
Non è nemmeno ipotizzabile, come prospettato dal difensore, pena una ventilata questione di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento, una lesione dei diritti di difesa, i quali sono adeguatamente tutelati dalla disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 94, comma 2-bis, come introdotto dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, a tenore del quale le disposizioni in materia di giustizia ripartiva “si applicano nei procedimenti penali e nella fase dell’esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Il che significa che, entro sei mesi dal 30 giugno 2023, possono avanzare istanza di accesso ai programmi di giustizia ripartiva ex D.Lgs. n. 150 del 2002, art. 44 ss. anche i condannati, posto che, come emerge dalla disposizione appena indicata, essa si applica anche alla “fase dell’esecuzione della pena”: locuzione che evidentemente evoca i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, il che fuga ogni sospetto di illegittimità costituzionale, in relazione all’art. 3 Cost., della disposizione transitoria.
- Venendo al merito della vicenda, ad avviso della Corte la materialità dei fatti non è messa in discussione.
Secondo quanto concordemente accertato dai giudici di merito, è pacifico che la minore, all’epoca tredicenne, nel periodo febbraio-agosto 2020 abbia inviato all’imputato, aiutante istruttore del corso di pallavolo frequentato dalla ragazzina, varie fotografie e diversi video che la ritraevano nuda, in varie pose e con modalità indicate dall’imputato medesimo, materiale poi rinvenuto, archiviato, all’interno dell’applicazione whatsapp scaricata sul telefono cellulare del C.
- Con il primo motivo, quanto al delitto di cui al capo 1), la difesa contesta, sotto più profili, la sussistenza di una condotta induttiva, posto che la Corte di appello non solo avrebbe dato un peso decisivo a un messaggio che non sarebbe presente agli atti, ma avrebbe omesso di valutare una serie di messaggi intercorsi tra i due, ampiamente riportati nel ricorso, che, per contro, smentirebbero la ritenuta induzione e che accrediterebbero, invece, la tesi del consenso, da parte della minore, degli atti sessuali e del successivo invio all’imputato delle foto che la ritraevano in pose erotiche, anche in considerazione della relazione amorosa che, a dire della difesa, era insorta tra i due.
4.1. Si tratta di una prospettiva errata, in ciò sviata dalla motivazione laddove, dopo aver fatto ampio richiamo alla giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, alla sentenza delle Sezioni Unite n. 4616 del 28/10/2021, argomenta la sussistenza di una condotta induttiva quale elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, n. 1, e ciò sul presupposto che, per effetto di quella condotta, il consenso della minore sia viziato e, quindi, non sia stato validamente prestato.
Ad avviso della Corte, i giudici di merito, invero, non si sono avveduti che, all’epoca dei fatti (febbraio-agosto 2000), la persona offesa, nata il 2 luglio 2007, al momento dei fatti era certamente minore di anni quattordici, con la conseguenza che nemmeno era in grado di esprime alcun valido consenso sessuale.
4.2. Come osservato dalla Sezioni Unite nell’indicata sentenza n. 4116 (par. 4.2.1.), la disposizione principale per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale è rappresentata dall’art. 609-quater c.p., norma che assume carattere di generalità per i reati di pornografia e di prostituzione minorile (art. 600-ter c.p., comma 5, art. 602-ter c.p., comma 6, art. 609-undecies c.p.).
In particolare, il comma 1, recita così: “Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609-bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici”.
Orbene, il dato di partenza è che il consenso sessuale può essere espresso da un soggetto che abbia compiuto i quattordici anni; se così è, occorrerà poi accertare se quel consenso è viziato; se, invece, il minore è soggetto infraquattordicenne, egli non è in grado di prestare alcun valido consenso sessuale sicché è ultronea l’indagine diretta a verificare eventuali vizi di formazione di un consenso che, per legge, non è validamente prestato.
4.3. Ne segue, afferma la Corte, che, poiché, pacificamente, la minore, al momento dei fatti per cui è processo, era soggetto infraquattordicenne e che la richiesta di materiale pornografico proveniva altrettanto pacificamente dall’imputato, non era affatto necessario accertare la sussistenza, da parte dell’imputato medesimo, di una condotta induttiva, tale da viziare il consenso della minore, per l’assorbente ragione che la medesima non aveva ancora raggiunto l’età per prestare un valido consenso sessuale.
- Infondate sono secondo la Corte anche le censure relative al capo 2).
5.1. Va premesso che la Corte di merito, immutato il fatto, lo ha solo diversamente qualificato nella fattispecie di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, aggravata ai sensi dell’art. 609-ter c.p., per essere la violenza stata commessa in danno di persona infradiciottenne, senza che ciò abbia comportato alcuna conseguenza sul terreno sanzionatorio.
5.2. Orbene, la decisione della Corte di appello è conforme all’univoco indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non sussiste la violazione del divieto di reformatio in peius qualora, ancorché sia proposta impugnazione da parte del solo imputato, il giudice di appello, senza aggravare la pena inflitta, attribuisca al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica a condizione, tuttavia, che si tratti di un punto della decisione al quale si riferiscano i motivi di gravame (cfr., da ultimo, Cass. sez. IV, 3 16/03/2023, n. 17192; Cass. Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, F., Rv. 284025).
Si rammenta, inoltre, che per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione dell’art. 521 c.p.p., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va di conseguenza esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (per tutti, cfr. S.U., 17 maggio 2010 n. 36551, Carelli, Rv.248051; conf., ex plurimis, Cass. Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042; Cass. Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423; Cass. Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007, Dimartino, Rv. 237517; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Cass. Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946; Cass. Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 271607).
La nozione strutturale di “fatto” contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p. va perciò coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice), risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 1, 18 giugno 2013 n. 35574, Rv. 257015; Sez. 4, 15 gennaio 2007 n. 10103, Rv. 236099), il che non è dato riscontrare nel caso in esame.
5.3. La questione, invero, involge anche quella della prevedibilità di un simile sviluppo per l’imputato. Secondo l’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius” del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, n. 11235 del 27/02/2019, Rv. 276125; Cass. Sez. 2, n. 39961, del 19/07/2018, Rv. 273922; Cass. Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014 Rv. 260585).
Secondo la Corte, nel caso di specie, la Corte di appello ha correttamente spiegato che “il fatto di avere posto in essere un’attività di induzione allo scopo di intrecciare una relazione amoroso sessuale con la minore, anche mediante invio di fotografie e video, non è diverso da quello contestato e sulle circostanze fattuali non vi è dubbio che l’imputato ha avuto modo di difendersi ed argomentare le proprie ragioni” (p. 20 della sentenza impugnata).
5.4. Nel merito, la Corte di appello, con motivazione ampia e priva da aporie logiche, ha spiegato le ragioni della qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 609-bis c.p., comma 2, e art. 609-ter c.p.
La Corte di merito, infatti, ha evidenziato che la vittima era una ragazzina “di neanche 13 anni”, mentre l’imputato “era un uomo di quasi trent’anni, in una posizione di evidente superiorità, sia per età, che per il ruolo di allenatore di pallavolo di R., sia per l’esperienza assai diversa da quella della ragazzina, che era davvero poco più di una bambina”. La Corte d’appello non ha mancato di evidenziare, all’esito di un giudizio di merito che non pare sindacabile nella sede di legittimità, come nella ragazzina fosse “costante la preoccupazione di assecondare i desiderata dell’imputato forse per non deluderlo e certamente anche per il trasporto che nutriva per lui”.
Questa premessa, sostiene la Corte, accertata nel corso del giudizio di merito, ha costituito la corretta chiave di lettura dei numerosissimi messaggi intervenuti tra l’imputato e la vittima e ha permesso al collegio di merito di ravvisare l’esistenza di una condotta “di vera e propria induzione, di persuasione insistente, fatta anche di blandizie, di paroline amorevoli allo scopo di determinare la minore alla decisione di fotografarsi nuda” e di compiere su di sé atti sessuali, assecondando le richieste dell’imputato.
La ricostruzione operata dalla Corte di merito appare alla Corte pienamente conforme all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui integra il reato di violenza sessuale la condotta di chi, per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, induca la stessa al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non la mera tranquillità (Sez. 3, n. 41951 del 05/07/2019, Rv. 277053; nello stesso senso, Cass. Sez. 3, n. 25822 del 09/05/2013, T., Rv. 257139, relativa a fattispecie di condotta perfezionatasi mediante una comunicazione telematica, attraverso la quale il reo aveva indotto le vittime minorenni a compiere su sé stesse atti sessuali di autoerotismo).
Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. 3, n. 11958 del 22/12/2010 – dep. 2011, C., Rv. 249746) che ai fini della definizione di atti sessuali di cui all’art. 609-bis c.p. non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, ma è sufficiente che l’atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato e idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell’individuo nella prospettiva dell’agente di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale. Di conseguenza, sono state ritenute punibili quelle condotte in cui, anche a distanza, il reo aveva costretto o indotto la vittima a compiere su sé stessa atti sessuali di autoerotismo o giochi erotici (Cass. Sez. 3, n. 11958 del 22/12/2010 -dep. 2011, C., Rv. 24974601; Cass. Sez. 3, n. 41951 del 05/07/2019, P, Rv. 277053-01, relative a condotte poste in essere ai danni di un minore).
5.5. Al proposito, non coglie nel segno per la Corte l’argomentazione secondo cui, per la sussistenza del reato, occorre che soggetto richiedente assista, anche mediante comunicazione telematica, al compimento di atti che coinvolgano la corporeità sessuale della persona offesa.
Tale impostazione, la quale, a ben vedere, sottende la concezione secondo cui, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del delitto in esame, sia necessario che l’agente sia mosso da concupiscenza – la quale verrebbe, appunto soddisfatta solo se l’agente medesimo assiste al compimento degli atti sessuali -, appare, ad avviso della Corte, errata alla luce sia della natura del bene tutelato, ossia la libertà sessuale della persona offesa – la cui protezione, anche in forza di vincoli derivanti dal recepimento di direttive internazionali, è tanto più intensa nel caso di soggetti minori – sia della corretta descrizione dell’elemento soggettivo del reato, che non esige anche il dolo specifico.
Coerentemente alla natura del bene tutelato e alla centralità della persona offesa, unica titolare del diritto, la Corte afferma che né il dolo specifico (“al fine di”), né alcun movente esclusivo (“al solo scopo di”) contribuiscono alla tipizzazione dell’offesa, la quale è soggettivamente ascrivibile all’agente a titolo di dolo generico. La valorizzazione di atteggiamenti interiori sposterebbe, infatti, il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola.
Ribadisce la Corte che ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è perciò necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell’atto posto in essere volontariamente, a prescindere dallo scopo perseguito (Cass. Sez. 3, n. 3648 del 03/10/2017, dep. 25/01/2018, T., Rv. 272449; Cass. Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 21/05/2015, P.G. in c. C., Rv. 263738).
Di conseguenza, conclude la Corte, per la consumazione del reato, non è affatto necessario che l’agente sia presente o assista, anche mediante l’utilizzo di strumenti di videochiamata, nel momento in cui il minore, in ciò indotta dalla richiesta dell’agente medesimo, compie su di sé atti sessuali.
- Con riguardo, infine, al delitto di cui al capo 3), la lamentata violazione di legge non era stata dedotta con l’atto di appello, in cui, relativamente a tale capo, si era unicamente invocata l’assoluzione non essendo prova che i soggetti ritratti nei video fossero minorenni, motivo che, come si è detto, la Corte di merito ha, per larga parte, accolto.
- Per la Corte anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
7.1. Premesso che l’attenuante della “minore gravità” era stato richiesta per i soli delitti di cui ai capi A) e B) – ed entro in questi limiti il motivo può essere scrutinato – si rammenta che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di violenza sessuale, l’attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L, Rv. 277615; Cass. Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Cass. Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S, Rv. 260501 ed altre prec. Conf.).
Si è precisato, inoltre, che l’attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo (Cass. Sez. 3, n. 21458 del 29/01/2015 – dep. 22/05/2015, T., Rv. 263749; Cass. Sez. 3, n. 24250 del 13/05/2010 – dep. 24/06/2010, D. e altri, Rv. 247286; Sez. 3, n. 2001 del 13/11/2007 -dep. 15/01/2008, R., Rv. 238847), perché la tale reiterazione approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, sicché non è compatibile con la “minore gravità” del fatto (Cass. Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 – dep. 22/02/2016, P.G. in proc. D, Rv. 266272), a meno che detta condotta, in ragione della occasionalità o, comunque, delle non significativa reiterazione nei riguardi del medesimo soggetto passivo, non sia tale da compromettere maggiormente in danno del medesimo l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (Cass. Sez. 3, n. 13729 del 22/11/2018 – dep. 29/03/2019, C, Rv. 275188).
7.2. Nel caso in esame, secondo la Corte di legittimità, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi appena ricordati, negando i presupposti per la qualificazione dei fatti di cui ai capi 1) e 2) in termini di “minore gravità” in considerazione della protrazione della condotta illecita, che non è stata certo occasionale ma si è dipanata, con intensità crescente, per diversi mesi e con contatti pressoché quotidiani.
- Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Cass. Pen., III, ud. Dep. 13.10.2023, n. 41577
COMMENTO
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione affronta nuovamente il delicato tema del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale.
Il delitto di violenza sessuale commessa ai danni di persona infraquattordicenne di cui agli artt. 609-bis, comma secondo, n. 1 aggravato dall’art. 609-ter, comma primo, n. 1, c.p., si distingue dalla fattispecie a forma libera di atti sessuali con minorenne per la presenza di una condotta di induzione, ossia per l’attività di persuasione del minore succube e passivamente tollerante, che manca nel reato disciplinato dall’art. 609-quater c.p., nel quale il consenso del minore è viziato dalla condizione di inferiorità dovuta all’età.
L’elemento caratterizzante il reato di violenza sessuale è l’assenza del consenso, la costrizione ovvero l’induzione del soggetto, che viene privato della libertà di autodeterminarsi.
Nel caso affrontato dalla Corte i reati contestati all’imputato erano i seguenti: al capo 1 l’art. 600 ter c.p. ( pornografia minorile); al capo 2 originariamente il reato di cui alll’art. 609 quater c.p. (atti sessuali con minorenne), riqualificato dai giudici di merito nella sentenza d’appello parzialmente riformata nel reato di cui all’art. 609 bis c.p., comma secondo, n. 1 e 609 ter c.p. (violenza sessuale con l’aggravante nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici); Capo 3 detenzione di materiale pedopornografico ex art. 600 quater c.p.
La Corte di Appello accertata la condotta induttiva dell’imputato riteneva integrate le fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p. e 609 bis c.p. e 609 ter c.p., sul presupposto che per effetto di tale condotta il consenso della minore fosse stato viziato, e, quindi non validamente prestato ( di qui anche la riqualificazione del reato da 609 quater c.p a 609 bis c.p.).
La Corte di Cassazione, sul punto, osserva che non era necessario l’accertamento da parte dei giudici di una condotta induttiva dell’imputato tale da viziare il consenso della minore, per l’assorbente ragione che la medesima non aveva ancora raggiunto l’età per presentare un valido consenso sessuale.
Come noto il legislatore opera più volte la distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne in rapporto alla gradualità dello sviluppo del minore. Questa differenziazione si coglie anzitutto nell’art. 609-quater, c.p., richiamato dalla Corte nella sentenza in esame, norma che assume carattere di generalità per i reati di pornografia e di prostituzione minorile (art. 600- ter, comma 5, c.p.; art. 602- ter, comma 6, c.p.; art. 609- undecies c.p.).
In particolare, l’art. 609 quater comma 1 dispone che “Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici”.
Ne deriva che il consenso sessuale può essere espresso solo da un soggetto che abbia compiuto i quattordici anni, per il quale occorrerà accertare se quel consenso è stato viziato, tuttavia la tutela rafforzata del minore per la fascia di età ricompresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di età comporta la necessità di una più specifica analisi dei fattori di condizionamento della sua volontà nell’assentire le richieste dell’adulto.
Sul piano sistematico e concettuale non è possibile pervenire ad una assimilazione del minore infraquattordicenne a quello ultra quattordicenne ma infrasedicenne, ma è indubbio che anche per quest’ultimo è molto elevato il rischio di condizionamento per il grado di maturità necessariamente limitato in quella fase dello sviluppo psico-fisico.
Quando, invece, il minore è infraquattordicenne quest’ultimo non è in grado di prestare alcun valido consenso sessuale, pertanto è ultronea l’indagine diretta a verificare eventuali vizi di formazione di un consenso che, per legge, non è validamente prestato.
Sulla scia di questo ragionamento la Corte di Cassazione con questa sentenza sembra affermare che per il delitto di cui all’art. 600 ter c.p. se il minore è infraquattordicenne e la richiesta di materiale pornografico proviene pacificamente dall’imputato, l’utilizzazione ( nella forma dell’induzione) del minore da parte di quest’ultimo è sempre presunta, dal momento che il minore non può prestare un valido consenso sessuale.
La Corte di Cassazione, ha condiviso inoltre le ragioni di riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 609 bis comma 2 e art. 609 ter c.p, anziché dell’originario art. 609 quater c.p. in quanto nel giudizio di merito era accertata la condotta induttiva da parte dell’imputato nei confronti della ragazzina all’epoca tredicenne “fatta anche di blandizie, di paroline amorevoli allo scopo di determinare la minore alla decisione di fotografarsi nuda e di compiere su di sé atti sessuali, assecondando le richieste dell’imputato”.
Dalla sentenza in esame, quindi, si potrebbe evincere che sia per il reato di cui all’art. 600 ter c.p. che per il reato di cui all’art. 609 bis comma 2 c.p. nei confronti di un minore infraquattordicenne, non essendo quest’ultimo considerato in grado di prestare un consenso sessuale valido, non è necessario indagare sull’eventuale sussistenza del consenso, poiché si presume che il minore non possa fornire un consenso effettivo, indipendentemente dalla presenza o meno dell’induzione.
In ogni modo secondo la scrivente, atteso che l’accertamento del consenso per il minore di anni quattordici è irrilevante, in quanto non valido, occorre fare delle considerazioni in ordine all’accertamento della condotta induttiva.
La Corte nel caso di specie per il delitto di pornografia minorile ex art. 600 ter c.p. nei confronti di soggetto infraquattordicenne, ha ritenuto che l’accertamento della condotta induttiva (utilizzazione del minore ) non era necessaria, in quanto presunta dal momento che il minore infraquattordicenne non può prestare un valido consenso ad atti sessuali, essendo, di fatto, sempre incapace di autodeterminarsi, quindi di fatto a prescindere coartato.
Per quanto concerne, invece, il delitto di violenza sessuale su minore infraquattordicenne, a parere della scrivente, la condotta induttiva non può considerersi presunta, ma deve essere accertata ( come del resto nel caso di specie affrontato dalla Corte). Se così non fosse, dinanzi ad atti sessuali con minori infraquattordicenni ritenuta la condotta induttiva presunta sarebbe sempre integrata la fattispecie di violenza sessuale, e mai quella di cui all’art. 606 quater c.p. comma 1 n. 1), svuotandone completamente la portata applicativa ( anche se la pena prevista è la medesima).
Mentre il bene giuridico tutelato nel reato di cui all’art. 609 quater c.p. è l’integrità psicofisica del minore nella prospettiva di un corretto sviluppo della su sessualità, il reato di cui all’art. 609 bis c.p. tutela la libertà di autodeterminazione del soggetto. Inoltre, nell’art. 609 quater si incrimina una condotta consensuale, ben lontana dalla fattispecie di costrizione o induzione prevista per il reato più grave di violenza sessuale.
A parere della scrivente il delitto di violenza sessuale commesso ai danni di persona infraquattordicenne, e per tali ragioni in condizioni di inferiorità psichica, si distingue dalla fattispecie a forma libera di atti sessuali con minorenne per la presenza di una condotta di induzione, che invece manca nel reato disciplinato dall’art. 609 quater c.p., ove la condotta è priva di qualsiasi forma di persuasione o sopraffazione del minore.
Da ultimo la Corte di Cassazione con la sentenza in oggetto ribadisce che per integrare gli atti sessuali ex art. 609-bis c.p., non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, bensì è sufficiente che l’atto coinvolga la corporeità sessuale della persona offesa e risulti idoneo a compromettere, quale bene primario, la libertà dell’individuo a fronte del soddisfacimento o eccitamento sessuale. È integrato, infatti, il delitto di violenza sessuale anche da condotte, prive di contatto fisico, commesse esclusivamente con l’uso di strumenti telematici ( come nel caso di specie), qualora idonee a compromettere il bene primario della libertà individuale della persona offesa.
Viene altresì specificato che per la consumazione del reato di violenza sessuale non è affatto necessario che l’agente sia presente o assista, anche mediante l’utilizzo di strumenti in videochiamata, nel momento in cui il minore, a ciò indotto dalla richiesta dell’agente medesimo, compia su di sé atti sessuali.
Ultimo aspetto da osservare attiene all’applicazione dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, che non è ravvisabile, specifica la Corte, nel caso di specie per la protrazione della condotta illecita, che non era stata nei confronti della vittima certamente occasionale, ma si era dipanata in maniera reiterata con intensità crescente per diversi mesi, negando i presupposti per la qualificazione dei fatti di cui al capi 1 e 2 in termini di “minore gravità”.
Francesca Anedda, Avvocato del libero Foro di Livorno